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di Candida Carrino
Quest'anno l’Archivio di Stato di Napoli a pieno titolo si è inserito nelle Giornate Nazionali di ApritiModa 2020, incontro tradizionalmente destinato alle maisons della moda che aprono le loro case per incontrare il pubblico. L’invito della manifestazione che si è tenuta nelle giornate di sabato 24 e domenica 25 ottobre era: “Vieni a scoprire dove nasce il saper fare italiano”. E chiaramente per gli organizzatori della manifestazione i luoghi nascosti e segreti non potevano che essere riferibili esclusivamente a quelli delle firme della moda italiana: Fendi, Caraceni, Trussardi, Zegna, Furla per citarne solo alcune. Non è stato semplice convincerli che l’Archivio di Stato di Napoli poteva trovarsi a suo agio tra Antonio Marras e Aspesi, così come con tutti gli altri. Proprio perché il nostro saper fare di oggi, il genio e la creatività affondano le radici in un passato che i nostri documenti narrano, a saperli leggere. Le storie e i racconti sono del tutto simili a quelli della modernità e costituiscono il punto di partenza di quella nostra capacità e perizia, che ci ha visto e che ci vede primeggiare in tutto il mondo. ![]()
![]() di Aglaia McClintock La Via Appia, la regina viarum, in primo luogo ci costringe a visualizzare il paesaggio che essa struttura. In un celebre capitolo di Notre-Dame de Paris, “Questo ucciderà quello” (“Il libro ucciderà l’edificio”, “La stampa ucciderà la Chiesa”, “La tipografia ucciderà l’architettura”) Victor Hugo faceva osservare che l’architettura è stata la prima grande scrittura dell’umanità, dai dolmen, alle piramidi, ai templi, alle cattedrali gotiche. Sino al XV secolo e alla scoperta della stampa, l’architettura è stata il grande libro dell’umanità, la principale espressione dell’uomo attraverso i diversi stadi di sviluppo, sia come forza, sia come intelligenza. I monumenti di pietra sono il modo più naturale e duraturo per “iscrivere nel suolo” la memoria, quando “la parola, nuda e instabile” rischierebbe di perdersi lungo il cammino. Per Victor Hugo: ![]()
di Raffaella Salvemini
“Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua” (Elsa Morante) Quando la Morante scrisse L’isola d’Arturo (1957) non pensava che Procida potesse diventare Capitale Italiana della Cultura 2022. Eppure in questa partita mi piace pensare alla metafora dello “scorfano” che non rinuncia alle sue peculiarità e accetta la sfida. A ben vedere, il progetto culturale dall’ambizioso titolo “la cultura non isola” non confligge affatto con la sua stessa complessa identità ovvero di microcosmo inserito da sempre in un ampio sistema di scambi via mare. ![]()
di Arianna Petricone, Martina Ramella Gal
Il sito seriale «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)» è iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO dal 25 giugno 2011 [1]. Comprende le più significative testimonianze monumentali longobarde esistenti su tutto il territorio italiano, laddove si estendevano i domini dei più importanti Ducati Longobardi. I Beni compresi nel Sito sono, ognuno per la propria tipologia, il modello più significativo o meglio conservato tra le numerose testimonianze diffuse sul territorio nazionale e rispecchiano l’universalità della cultura longobarda nel momento del suo apice. Ne fanno parte: l’area della Gastaldaga e il complesso episcopale a Cividale del Friuli (UD); l’area monumentale con il Monastero di San Salvatore - Santa Giulia a Brescia; il Castrum con la Torre di Torba e la Chiesa di Santa Maria Foris Portas a Torba e a Castelseprio (VA); la Basilica di San Salvatore a Spoleto (PG); il Tempietto del Clitunno a Campello sul Clitunno (PG); il Complesso di Santa Sofia a Benevento e il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo (FG). ![]()
di Guido Borà
La crisi economica causata dall’emergenza sanitaria da Covid-19 sta colpendo duramente le economie a livello globale sia in termini congiunturali sia in termini tendenziali. In tutti i Paesi, specie a vocazione turistica come quelli nell’area del Mediterraneo, si prevede una contrazione severa del PIL nel 2020. Il World Travel & Tourism Council (WTTC) [1] stima una contrazione del contributo del comparto viaggi e turismo al PIL. A doppia cifra nei Paesi dipendenti in percentuale maggiore dal turismo e dai flussi esteri: Croazia -21,3 punti percentuali (p.p.), Cipro -12,3 p.p., Malta -11,9 p.p. e Grecia -11,6 p.p. In altri, dove sistemi economici sono di dimensioni maggiori, la contrazione sarà minore sebbene essa sia di un’ampiezza mai verificatasi prima d’ora negli anni dopo la Seconda guerra mondiale. Spagna -7,4 p.p., Italia -5,4 p.p. e Francia -4.5 p.p. (vedi Figura 1). In questo difficile contesto, nell’ambito del quale interi comparti economici rischiano di uscire fortemente ridimensionati, le città d’arte e di cultura stanno pagando il tributo più pesante. ![]()
di Giulio Baffi
La grande auto nera e solenne che attraversa la città silenziosa. Al lato due file di motociclette della Polizia Urbana della capitale. I pochi passanti sui marciapiedi della insolitamente deserta Via del Corso si fermano e salutano. Qualcuno fa il segno della Croce, qualcuno si lancia nel gesto di un saluto familiare, quasi allegro, ma trattenuto e appannato dalla malinconia. Forse avrebbe avuto piacere a vedere la sua amata città in questa sua ultima passeggiata, ricordando gli applausi a cui era abituato, i sorrisi, le strette di mano, le richieste di selfie che sempre ed in gran quantità gli riservava quel suo pubblico, amato e riamato con la passione dei prediletti. ![]()
![]() di Antonio Ciaschi Il libro in recensione nasce a seguito di un confronto tra studiosi di varie discipline organizzato lo scorso 6 dicembre 2018 in occasione dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale. In questi ultimi decenni le politiche di valorizzazione di queste preziose testimonianze del passato sono state centrali nelle politiche di sviluppo dell’Unione Europea con un duplice fine: da una parte si è incoraggiata l’affermazione di una identità rispettosa delle singole diversità culturali che compongono il mosaico geopolitico continentale e dall’altra si sono potuti innescare virtuosi processi di sviluppo territoriale, come ad esempio il turismo culturale. ![]()
![]() di Maria Venuso «Il Seicento non s’identifica con nessuna grande forma culturale, neppure con il Barocco, come spesso si fa. Esso è piuttosto un assai complesso periodo d’intensa gestazione civile o, come oggi si amerebbe dire, “un laboratorio”, in cui i frammenti di una forma epocale trascorsa, il Rinascimento, vengono agitati in un potente frullatore sperimentale, per essere restituiti composti in nuova forma, la civiltà dei “lumi”, all’ormai matura razionalità critica e ai nuovi travagli che fatalmente le toccano». Questo l’incipit della Prefazione di Aldo Masullo alla Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento; al grande filosofo è toccato – per usare ancora una volta le sue parole – il «privilegio di salutare per primo» questi due imponenti tomi, poco prima che salutasse egli stesso, per sempre, la comunità scientifica tutta, impreziosendo ancor più questa ricchissima pubblicazione a cura di Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione (Turchini Edizioni 2020) [1]. ![]()
![]() di Carmine Aymone Simmo lazzari felici/gente ca nun trova cchiù pace/ quanno canta sse dispiace/ sempe pronta a se vuttà pe’ nu perdere l’addore… A sei anni dalla morte di Pino Daniele si continua a respirare la sua musica attraverso le sue opere e attraverso gli omaggi e le rivisitazioni fatte dai suoi colleghi. Napoli, ma non solo, perde un pezzo di sé, la notte tra il 4 e il 5 gennaio del 2015, quando il cuore del suo mascalzone latino Pino Daniele cessa di battere, gettando tutti nello sconforto. Pino se ne va nel primo mese del calendario, come prima di lui Giorgio Gaber, Fabrizio De Andrè, Ivan Graziani. La mattina dopo Napoli, l’Italia tutta, si risveglia col groppo alla gola. ![]()
di Alba La Marra
La teatralità del presepe Sir John Brennox, alias Papa Giovanni Paolo III nella serie “The New Pope” di Paolo Sorrentino, passeggiando nelle Catacombe con Sophie, l’arguta responsabile della comunicazione del Vaticano, le confessa che è diventato prete perché la religione è una straordinaria narrazione, è una storia dall’incredibile successo in quanto Dio è il protagonista più popolare di sempre. E la cosa più interessante di questo racconto è che indaga incessantemente sul mistero più grande di tutti, la natura dell’uomo. Difficile non essere d’accordo con il raffinato “pontefice”. E, se tanto mi dà tanto, mi viene da pensare che non può essere meno di successo una narrazione parallela, quella della nascita del figlio di Dio, Gesù. |
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Gennaio 2021
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