di Giulio Baffi La grande auto nera e solenne che attraversa la città silenziosa. Al lato due file di motociclette della Polizia Urbana della capitale. I pochi passanti sui marciapiedi della insolitamente deserta Via del Corso si fermano e salutano. Qualcuno fa il segno della Croce, qualcuno si lancia nel gesto di un saluto familiare, quasi allegro, ma trattenuto e appannato dalla malinconia. Forse avrebbe avuto piacere a vedere la sua amata città in questa sua ultima passeggiata, ricordando gli applausi a cui era abituato, i sorrisi, le strette di mano, le richieste di selfie che sempre ed in gran quantità gli riservava quel suo pubblico, amato e riamato con la passione dei prediletti. Gigi Proietti si allontana così da noi e dal suo tempo, lo guardiamo come attraverso le lenti di un cannocchiale rovesciato e intanto, invece, la sua immagine cresce e si dilata nello spazio e nella memoria e il suo sorriso sembra esplosione familiare ed amica. Altre volte, tante volte, così l’abbiamo visto e applaudito. Così è la vita di un attore. E quella di Gigi Proietti non fa eccezione, se non per la sua enorme presenza nel mondo dello spettacolo italiano tra teatro, cinema e televisione. Versatile come pochi, capace di recitare, cantare, mimare, mettere in scena, insegnare, scrivere, inventare, il suo grande successo lo ha reso volto familiare per un pubblico enorme, personaggio prediletto per tanti. Attore e capocomico di grande coraggio e di geniali intuizioni. Che non sono certo caratteristiche da poco e costituiscono l’eccezionalità del suo percorso e la ricchezza della sua carriera, il motivo del suo enorme successo di pubblico, l’affetto grande e profondo di una gran parte del mondo dello spettacolo. Giovane di età, di formazione e di comportamenti, di quelli cioè che l’hanno seguito nelle sue scelte e di quelli che con lui hanno imparato ad amare il lavoro nel complesso segmento dell’universo-spettacolo. Dentro questo mondo lui si è mosso con coraggio e passione partendo alla conquista di spazi fisici e mentali, disponibile all’eresia ed attento all’ortodossia di umori, di amori, di invenzioni, modellandosi addosso personaggi imprevisti e imprevedibili, comportamenti esemplari, umori dispari per sentimenti e passioni. Capace di sorprendere sempre, lontano dalla prevedibilità, attore d’irresistibile fascino, uomo di naturale e forte simpatia, è morto a ottant’anni, nel giorno del suo compleanno. Era nato infatti il 2 novembre del 1940 nel cuore della Roma antica, in Via Giulia. La scuola, il liceo, l’università, sono state le tappe obbligate, come l’oratorio in cui già sembrava il più dotato tra i suoi compagni per ironia e rapido coraggio allo scherzo. Oggi che Proietti non c’è più, i cronisti più pigri lo ricordano in qualche film e citano certi suoi personaggi, inventati alla grande, ma in qualche modo facili da ricordare nel percorso segnato dal suo grande talento che gli permetteva di saltare in alto più di altri, come un atleta della parola e del gesto. Il battesimo del teatro glielo diede Giancarlo Cobelli, un grande regista capace di invenzioni magnifiche e di provocazioni eccellenti che insegnava nel CUT romano, un Centro Universitario Teatrale tra i tanti che in quegli anni, era l‘inizio degli anni Sessanta, andavano cercando e proponendo talenti e percorsi non necessariamente ortodossi per i linguaggi del palcoscenico. È in quell’incubatore intelligente che Proietti recita Aristofane e Durrenmatt, e intanto canta e suona nei night romani cercando anche di guadagnare qualcosa con il doppiaggio, meta di tanti attori e per lui territorio di altra invenzione, e di permanenza poi lungo tutta la vita. Con quella sua voce tanto riconoscibile eppure tanto capace di rimodellarsi su quella di altri attori ben famosi del gran mondo del cinema e su temperamenti di personaggi mai cancellati dalla memoria di noi spettatori innamorati. Il Teatro Stabile di Roma lo seduce con la non facile scrittura di Pistilli, di Gozzi, di Shakespeare. E quella passione per il mondo irresistibile del Bardo, nata presto e alimentata con tanto lavoro, non lo lascerà mai come un motivo silenzioso vissuto per intere giornate, settimane, mesi, anni, fino a quando, non riuscirà a vedere la costruzione di quel Globe Theater realizzato in pochi mesi - era il 2003 - all’interno dei giardini di Villa Borghese e diretto per diciassette anni. Qui la sua idea di insegnante per giovani talenti ed il suo percorso d’eredità felice si è dipanato ed è cresciuto. Ma prima furono gli anni lieti e faticosi delle rinunce e dei sogni difficili del “Teatro del 101”, insieme ad Antonio Calenda, Genny Gazzolo, Piera Degli Esposti, Paila Pavese, amici inseparabili diventati presenza forte nella sua vita colta e coraggiosa, studiando come mettere in scena il teatro difficile di Bertolt Brecht, di Jean Genet, di Boris Vian, di Corrado Augias, di Apollinaire, di Picasso, di De Rojas. Romano nelle ossa, nell’ironia beffarda e nella parlata, salta ogni ostacolo, cercando la scrittura delle drammaturgie del mondo con Moravia e Gombrowitz, e ancora con il non facile “Coriolano” di Shakespeare, con scelte dichiaratamente d’impegno sociale, se non politico, che in quella fine degli anni Sessanta erano, per il pubblico dell’Italia borghese di quel tempo, segno inquietante di un’avanguardia culturale. E fu il tempo della televisione, dell’amicizia con Ugo Gregoretti, altro spirito inquieto per intelligenza d’invenzioni, e con il suo “Circolo Pickwick”, dei “Grandi camaleonti” di Federico Zardi. E fu la scoperta dei versi impertinenti di Petrolini, che l’alimentarono poi per tutta la vita, e quella della commedia musicale chiamato dai grandi Garinei&Giovannini a sostituire Domenico Modugno in “Aleluja brava gente” al fianco di Renato Rascel, inventando e cantando per veleggiare, al cinema, verso il “Brancaleone alle crociate” di Monicelli e il “Bubù di Montparnasse” di Bolognini. Se il cinema apre volentieri le porte al talento di Proietti la televisione le porte le spalanca, e lo introduce nel suo salotto buono, affidandogli personaggi che gli italiani hanno amato per decenni. Come quel Maresciallo Rocca entrato a fare parte della quotidiana avventura domestica nazionale, cerniera generazionale dello spettacolo televisivo, modello di comportamento e di invenzione, ma soprattutto personaggio simpatico oltre ogni dire, non meno del suo Bruno Palmieri, giornalista protagonista di “Una pallottola nel cuore”. È in questa capacità di lasciare che gli modellassero quei suoi personaggi, rendendolo capace di modellarli a sua volta sull’immaginario di migliaia di italiani e mantenendo sempre ben alto il livello di riflessione civile, che Proietti ha vinto questa ed altre sue battaglie, scommesse, creazioni, in una misura che mai, nemmeno per un momento, sceglieva lo sconto facile e l’ammiccare equivoco. Ma certo è stato il suo “Kean” a dargli la misura della gran fatica da “mattatore” già conquistata con le strepitose performances di “A me gli occhi please”, e poi di tante “Serata d’onore” richieste, attese, regalate ad un pubblico in delirio di affetto e di stupito divertimento e condensate in televisione nelle costruzioni magnifiche dello storico “Cavalli di battaglia” in cui è riuscito a condensare gli umori di una vita d’attore straordinario e regista di teatro e di lirica per titoli e messe in scena appassionanti che, in macchiette strepitose, ha colto l’eredità di Petrolini, di Fabrizi, di Sordi, di Trilussa e di Gioacchino Belli, e di tanti geniali protagonisti dello spettacolo e della cultura impertinente di una intelligenza geniale e caustica. Fu il “Gastone” languido e snob, fu il protervo “Nerone”, fu “Meo Patacca” e “Gaetanaccio” a farlo eroe di un popolo stupito per amore e risate. Ma se dovessi dire chi mi viene in mente se chiudo gli occhi e ripenso al Proietti gentile che ho incontrato tante volte in teatro, mi balza agli occhi il volto rimbambito di quel nonno che prova a raccontare una fiaba di cui non regge il fil e s’incaglia e s’affanna a rincorrere il filo del racconto e l’intreccio impossibile in una iperbolica rincorsa di Pinocchi, Biancaneve, Cappuccetti e lupi altrettanto scimuniti. Gran fatica d’attore, tante volte richiesta, tante volte concessa, tante volte applaudita. Personaggio creato chissà quando e ripetuto inventando sempre nuovi percorsi, ma eguale ogni volta. Soggiogato dal quel suo ritmo perfetto, dai tempi comici ipnotici, dalla tenera cattiveria di quel suo scombinato racconto. Me lo cerco ogni volta che il cuore e il desiderio divertito mi spinge nei territori disegnati da Proietti, generoso come pochi, amico in trionfo sui social, forte nei segmenti magnifici del suo delirio incontenibile d’attore di una razza superiore ed unica, di una scuola grande che ha fatto grande questi suoi anni di spettacolo, lasciando al suo pubblico lo stupore e l’amore che si avvertivano in silenzio, come un sussulto, tra le strade semideserte della sua città… mentre il feretro avanzava, scortato dalla guardia d’onore a testimoniare l’orgoglio e l’affetto del suo pubblico sterminato.
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