di Laura Valente Introduzione Nel breve romanzo L’invenzione di Morel, piccolo pilastro della fantascienza contemporanea costruito nel 1940 dallo scrittore argentino Adolfo Bioy Casares, il naufrago protagonista si muove su un’isola che crede disabitata. Sulla vetta di una collina, qualcuno prima di lui ha lasciato un segno del proprio passaggio costruendo alcuni piccoli edifici, ora abbandonati. Tra questi, quello che il narratore chiama “il museo”. Giorno dopo giorno, nel corso di esplorazioni sempre più allucinate, il naufrago assiste ad uno spettrale ripopolamento di quel luogo, che inizia a riempirsi di figure umane che sembrano non percepire la sua presenza. Fino alla spiegazione del fenomeno: le persone che vede sono ologrammi, immagini registrate dei precedenti visitatori che lì, nel “museo”. continuano a compiere i gesti, le conversazioni, le interazioni di una volta. Quel breve tratto della loro esistenza è stato registrato dall’inventore Morel, convinto che riprodurre all’infinito quei momenti basti a riportare in vita anche l’essenza più intima – l’anima – di quei simulacri per adesso solo in esposizione.
di Cristina Cenedella
In questa sede intendo presentare, a undici anni dalla sua inaugurazione e seppur velocemente, l’ideazione e l’attività del museo Martinitt e Stelline di Milano, declinando questa breve presentazione dal punto di vista della sua funzione didattica e di educazione. Non ci sarebbe davvero stato bisogno di un nuovo museo nel panorama milanese, se non per due ragioni: la prima è relativa alla necessità di ricordare la storica peculiarità di Milano, tramandata in tante fonti diverse, cioè la sua propensione all'assistenza e alla fondazione di luoghi pii, di hospitalia, di enti benefici, argomento negletto dai percorsi museali oggi esistenti; la seconda è relativa alla necessità, proprio nel panorama cittadino, di avere un museo storico (di cui comunque Milano difetta) con un itinerario museologico dedicato particolarmente alla didattica e all’educazione.
di Lucia Cammarota
La Digital Revolution sta cambiando il mondo. Se Giacomo Leopardi ci metteva in guardia dalla fiducia cieca nelle “magnifiche sorti e progressive”, non possiamo che rimanere affascinati di fronte all’esperimento fantascientifico (e inarrestabile) di Elon Musk sull’interfaccia brain-computer, o di fronte agli occhiali intelligenti Orion, tanto voluti da Mark Elliot Zuckerberg, che sostituiranno lo smartphone, mentre la Banca Centrale Europea, basandosi sulle nuove piattaforme di blockchain, immetterà sul mercato il denaro digitale in un mondo dove anche le cose prendono vita grazie all’Internet of things. Nuove paure ma anche infinte opportunità: per il lavoro, per la vita stessa.
di Carmine Aymone Simmo lazzari felici/gente ca nun trova cchiù pace/ quanno canta sse dispiace/ sempe pronta a se vuttà pe’ nu perdere l’addore… A sei anni dalla morte di Pino Daniele si continua a respirare la sua musica attraverso le sue opere e attraverso gli omaggi e le rivisitazioni fatte dai suoi colleghi. Napoli, ma non solo, perde un pezzo di sé, la notte tra il 4 e il 5 gennaio del 2015, quando il cuore del suo mascalzone latino Pino Daniele cessa di battere, gettando tutti nello sconforto. Pino se ne va nel primo mese del calendario, come prima di lui Giorgio Gaber, Fabrizio De Andrè, Ivan Graziani. La mattina dopo Napoli, l’Italia tutta, si risveglia col groppo alla gola. di Gaetano Cantone
PRIMA PARTE Premessa I DALL’EUROPEA FIRMITAS ALL’IMAGO URBIS AMERICANA.* II SEGNI DELLA CIVILTÀ URBANA NELL’ICONOGRAFIA DEL NOVECENTO PREMESSA La modernità si è presentata all’immaginario di quegli uomini a cavallo tra due secoli – che apparivano, in ogni caso, figli di un Ottocento irrigidito – come risolutiva condizione d’esistenza di fazioni contrapposte ed immerse nella difesa o della tradizione o della nuova era disposta al cambiamento pioneristico. La vivezza di un secolo come il XIX, guerreggiante sempre ma pur innovativo, non solo si connota per il riassetto della divisione delle classi sociali su scala planetaria per quanto riguarda almeno l’Occidente, ma si fa carico anche della sistemazione dell’universo conosciuto con piglio burocratico. Mettere assieme ciò che permane con ciò che s’intravede appena, dal futuro, è appartenuto in maniera determinata alla ridefinizione dell’umano che ha attraversato buona parte dell’Ottocento. di Rossella Del Prete
“si perdoni a un povero studioso di storia questo grido di artista!” «La ricerca storica è per me uno spazio di gioia e di passione intellettuale. Provo sempre un brivido prima di entrare in un archivio o in una biblioteca: cosa troverò? […] Che fortuna aver potuto leggere tante storie interessanti, alcune divertenti, altre da far gelare il sangue, alcune sorprendenti, altre familiari…» [N. Zemon Davis, La passione della storia, 2007, p. 174]. di Leonardo Cantone
Will Eisner definisce il fumetto come “arte sequenziale” e Scott McCloud approfondisce tale definizione parlando di «immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore». Leslie Fiedler (1955) parla di “arte per post-letterati” inserendo in tale definizione la narrazione a fumetti. Questa peculiare modalità narrativa si configura come forma espressiva mista, poiché fonde testo scritto e immagine all’interno di un’unica forma di mediazione. Tale caratteristica segna uno dei punti forti del fumetto, nascendo come forma ibrida facilmente accessibile dalla cultura piccolo borghese. |
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