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Il museo Martinitt e Stelline di Milano tra multimedialità e didattica delle fonti.

30/10/2020

 
ilgiornaledikinetès_ottobre2020_cenedella.pdf
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di Cristina Cenedella

In questa sede intendo presentare, a undici anni dalla sua inaugurazione e seppur velocemente, l’ideazione e l’attività del museo Martinitt e Stelline di Milano, declinando questa breve presentazione dal punto di vista della sua funzione didattica e di educazione. Non ci sarebbe davvero stato bisogno di un nuovo museo nel panorama milanese, se non per due ragioni: la prima è relativa alla necessità di ricordare la storica peculiarità di Milano, tramandata in tante fonti diverse, cioè la sua propensione all'assistenza e alla fondazione di luoghi pii, di hospitalia, di enti benefici, argomento negletto dai percorsi museali oggi esistenti; la seconda è relativa alla necessità, proprio nel panorama cittadino, di avere un museo storico (di cui comunque Milano difetta) con un  itinerario museologico dedicato particolarmente alla didattica e all’educazione.
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Il museo Martinitt e Stelline è stato quindi dedicato alla storia dei due più antichi e famosi orfanotrofi cittadini, quello maschile detto dei Martinitt e quello femminile detto delle Stelline. Il museo non è tradizionale: i pochissimi reperti materiali custoditi sono accompagnati dalle migliaia di documenti d'archivio, ancora conservati negli archivi storici dei due enti. Il museo Martinitt e Stelline, in effetti, è un archivio prima di un museo; ma il documento d’archivio è il tramite eccezionale per raccontare e far comprendere i dati storici, non un oggetto musealizzato da mostrare in bacheca. 
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Questo per il fatto che aprire il proprio archivio e trasformarlo in un museo doveva rispondere ad alcune domande di base: Come rendere visivamente accattivanti, i documenti d’archivio?
Come farli parlare, come farli “toccare” senza comprometterne la conservazione?
Come fornire al fruitore i codici di accesso (ad esempio la paleografia per la lettura) per la comprensione dei documenti dell’archivio?
Insomma, il quesito principale era quello di come trasmettere un contenuto storico da un contenente non semplice, come il documento.
 
La risposta agli storici (non necessariamente anche museologi) è stata fornita dalla metodologia espositiva utilizzata nei musei scientifici di nuova generazione, ossia un allestimento che si snodi tra la multimedialità e l’interazione.
Nel museo Martinitt e Stelline, infatti, i documenti degli archivi storici parlano ai diversi pubblici attraverso una sorta di “viaggio” multisensoriale, non solo multimediale, non solo interattivo…Una sorta di “tuffo” nel tempo…
 
Nel 1997 Bruno Bettelheim si chiedeva come potesse un  museo proporsi al pubblico per meglio assolvere ai propri compiti educativi e la risposta fu “abituare la gente a meravigliarsi, a lasciarsi incantare […] soprattutto i bambini, a dare loro la possibilità di provare meraviglia”. Ed è questo proprio l’approccio con cui il museo Martinitt e Stelline si porge: meraviglia e sorpresa.

Gli adulti possono entrare in un museo ove non solo è lecito “toccare” ma è anche obbligatorio; i più piccoli, immedesimandosi nelle vite di altri ragazzi vissuti uno o due secoli prima, si identificano in una sorta di gioco di ruoli. Il rivivere le storie e le narrazioni delle “vite degli altri”, scoprendole man mano, e riportando tali storie in continuo raffronto con la propria realtà, consente una immersione diretta nella storia e nelle storie. Il museo Martinitt e Stelline, infatti, si distingue per l’impiego innovativo e stimolante di installazioni multimediali; orientando la tecnologia alla fruizione culturale, consente l’interazione del pubblico con il patrimonio culturale, attraverso  una  metodologia  interattiva, semplice  e  accattivante.

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Neil e Philip Kotler, nel 2004, scrivevano che i musei possono offrire al pubblico 6 tipi di approccio:
​
•       Esperienza ricreativa (attività libere, non strutturate, giocose e divertenti)
•       Esperienza socializzante (fare della visita al museo una occasione di incontro con  amici)
•       Esperienza educativa (acquisire informazioni, comprendere e riflettere, sperimentare laboratori)
•       Esperienza estetica (osservare la bellezza degli oggetti, compararla con i modelli e altri esempi)
•       Esperienza celebrativa (ricordare la storia di personaggi e momenti storici particolari; comprendere la catena di cause ed effetti, le trasformazioni e la continuità della storia e del tempo)
•       Esperienza emozionante (trovare negli oggetti una meraviglia, un fascino rapitore)
 
Gli ultimi due punti riassumono bene il percorso espositivo e le esperienze didattiche al museo Martinitt e Stelline. Sono personalmente convinta, infatti, che un museo storico debba svolgere in prima istanza una funzione didattica ed educativa e che le opere d'arte esposte debbano esplicare una funzione narrativa ancor prima che artistica.
 
Fin dalla sua istituzione è immediatamente emersa la naturale vocazione didattica di questo museo, che attraverso l'uso della multimedialità e dell’interazione garantisce  a chiunque (per età e formazione) l'accesso al sapere. Le attività  didattiche  si  muovono  sulla  scorta  del  metodo  espositivo: immersive e interattive. Con  il  fine  primario  di  stimolare  i  discenti  ad  una  riflessione  critica  sul  metodo  storico.
 
E  questa riflessione viene articolata non solo grazie all’utilizzo dei documenti d’archivio, bensì anche mediante l’uso delle diverse tipologie di fonti presenti nello stesso museo:  iconografiche (dipinti, incisioni), fotografiche, documentarie, librarie (la biblioteca dell’orfanotrofio), sonore (spartiti e musiche d’epoca);  oggettistiche (mobili, tessili).

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Proprio dalla particolare metodologia dell’esposizione museologica, si svolge l'attività di ricerca e sperimentazione sulla cosiddetta didattica delle fonti, facendo del museo un centro di sperimentazione in un campo sufficientemente  inesplorato.

Non si è trattato, infatti, di creare laboratori inerenti specificamente l’utilizzo delle fonti per l’insegnamento delle discipline storiche; le fonti dei ricchi archivi museali hanno dato il la all’elaborazione di laboratori volti non tanto a una o l’altra disciplina, quanto all’utilizzo delle fonti nel loro complesso. Ovvero la fonte in quanto tale (quella d’archivio, unitamente ai dipinti, alle fotografie, agli arredi, ai volumi di biblioteca), la fonte tout court, la fonte che ha delle necessità di approccio peculiari e specifiche, la fonte che necessita di una capacità critica e di valutazione particolare per essere utilizzata (le cosiddette extrafonti).


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Sono stati sviluppati laboratori didattici rivolti a tutta la popolazione: dai bambini delle scuole primarie, ai liceali e agli universitari, sino agli anziani, frequentatori dell’università della terza età, con un'attenzione particolare agli studenti delle scuole dell’obbligo, ma anche agli universitari di facoltà eterogenee e al pubblico adulto.
Il museo Martinitt e Stelline, in linea con le principali definizioni della mission delle istituzioni museali (ICOM), non solo fa ricerca, ma soprattutto sperimentazione e didattica, attraverso la creazione di laboratori che possono rientrare nei piani dell’offerta formativa.
 
Le fonti storiche, quindi, non sono più fonti  per pochi addetti del settore, capaci di leggere, decodificare e interpretare i documenti; le fonti del museo propongono l’immedesimazione e l’immersione in un determinato periodo storico, con il duplice scopo di fornire strumenti per la didattica della storia e allo stesso tempo la consapevolezza delle fonti stesse come beni culturali, alle quali attingere per la comprensione non solo del passato, ma del presente e del futuro.
 
Il museo, da questo punto di vista, ha affrontato un problema importante, ovvero l'accostamento con difficoltà a musei e a istituzioni che conservano un patrimonio pur importante, ma che presuppone l’utilizzo di codici interpretativi per essere fruito e apprezzato nella sua interezza.
Il museo vuole presentare un’offerta culturale che possa essere fruibile da tutti rendendo così la cittadinanza attiva attraverso il coinvolgimento delle scuole, delle associazioni, dei fruitori in generale. Solo attraverso la memoria storica si raggiunge, infatti, una coscienza di sé, della propria società e dell’ambito sociale in cui si vive, permettendo una crescita responsabile e consapevole.
Non solo “educazione e diletto” (ICOM 2004) ma anche il “portare a casa” una metodologia di analisi del dato storico, della testimonianza del passato e del bene culturale fruito.
 
 
Bibliografia
Museums in a digital age, a c. R.Parry, School of museum studies university of Leicester,  2010.
F. Cirifino, E. Giardina, P. Rosa, a c. , Studio Azzurro. Musei di narrazione,  percorsi interattivi e affreschi multimediali, Cinisello Balsamo 2011.
E. Nigris, S. C. Negri, F. Zuccoli, a c. , Esperienza e didattica, Roma 2007.
A. Andreini, a c., Il museo che accoglie,  Giunta Regione Toscana, 2010.
N. e P. Kotler, Marketing dei musei, Torino 2004.


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Cristina Cenedella

Milanese, archivista storica per passione e professione, è direttore del Museo storico e responsabile degli Archivi storici del Museo Martinitt Stelline a Milano.


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