di Davide Iannelli
Lo scorso 14 marzo, in occasione della GIORNATA NAZIONALE DEL PAESAGGIO 2021, si è svolto un partecipato webinar sulla pagina facebook di Kinetès - Arte Cultura Ricerca Impresa, dal titolo: "Il paesaggio come patrimonio culturale. Il Matese come risorsa”. A guardar bene, il tema scelto appare, se non in controtendenza, almeno in parte dissonante con la beatificazione, in corso sui media e nelle dichiarazioni spesso interessate sulla transizione ecologica, di tutto ciò che va sotto il comune denominatore di energie rinnovabili. È invece del tutto in sintonia con la previsione Costituzionale art.9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
di Alessia Frisetti
Le zone montane della nostra penisola, in particolar modo le aree appenniniche, non includendo grandi centri urbani, custodiscono ancora molti paesaggi storici tuttora ben riconoscibili. Tali comparti geografici sono, quindi, paradigmatici per lo studio delle dinamiche insediative che si sono sovrapposte dall’antichità ad oggi. Questi paesaggi sono ricchi di piccoli e medi borghi d’altura, spesso nati dallo sviluppo di originari castelli medioevali, ma anche di abitazioni rurali sparse, collegate alle attività produttive tipiche della montagna quali allevamento, estrazione e lavorazione delle materie prime. Architettura rurale, produzioni e aspetti tradizionali del vivere in altura sono al centro di questo convegno che, attraverso una lettura multidisciplinare, vuole accendere nuovamente i riflettori sulle nostre montagne, puntando l’attenzione sulla valorizzazione della memoria storica che favorisca il recupero dei caratteri peculiari di questi contesti al fine di contrastarne l’abbandono.
di Giovanni Cafiero
Il piano per Campi Alto nel contesto della transizione ecologica Il Piano Particolareggiato per La Frazione di Campi Alto in Comune di Norcia ha ad oggetto la disciplina urbanistico-edilizia degli edifici e spazi aperti all’interno dell’area identificata dal Commissario di Governo e dall’Ufficio Speciale Ricostruzione della Regione Umbria[1] e la definizione delle strategie per la rigenerazione sociale ed economica del Borgo dopo il terremoto del 2016. Dopo il sisma, il Borgo, che si estende per una superficie di circa 41.000 mq, a causa della vastità dei crolli è stato classificato zona rossa, cioè area interdetta all’accesso. Su una volumetria complessiva di circa 63.000 mc, di cui circa 12.000 mc destinati a edifici speciali - le splendide chiese e il palazzetto storico che ospita il Rifugio del Parco Nazionale dei Monti Sibillini - sono crollati interamente circa 13.500 mc, pari circa al 21% dell’abitato, di cui circa 3.000 mc relativi a edifici speciali, gli edifici simbolo della storia e della comunità del Borgo.
Natalino Russo, giornalista e fotografo, naturalista e speleologo, è autore di saggi, articoli e libri i cui contenuti variano dalla letteratura di viaggio, alla narrazione geo-storica, alla cultura del cammino e dell'esplorazione.
Dai ghiacci della Norvegia alle grotte del Messico, la sua scrittura intreccia annotazioni geografiche, pensieri da antropologo, approfondimenti storici e osservazioni da biologo. In questo libro dedicato al Matese, vera "montagna sacra" nella biografia di Natalino Russo, la narrazione si lascia andare alla poesia. L’Autore lo fa nel modo che gli è più congeniale, offrendo al lettore immagini selezionate dalle migliaia che egli ha realizzato nel corso degli anni. Nell'uso del mezzo fotografico – manifestando la propria attenzione al disegno delle ombre e dei riflessi luminosi, più che alla forma – egli esprime una inclinazione e un pensiero, allo stesso tempo antico e modernissimo, che è in fondo all’origine stessa della “scrittura della luce”.
di Camillo Campolongo e Lorenzo Piombo
Matese è pien di neve, e se lo tocca giamai del mio bel sole il vivo raggio, vedrem crescere il laco in nova foggia[1] Il matesino Lodovico Paterno così esalta nelle sue rime il massiccio montuoso, ora collocato tra i maggiori monumenti d’Italia (Pianser di Roma i sette colli, e pianse il buon Vesevo, / e pianse il gran Matese, / di duol crollando la silvosa fronte)[2], ora celebrato nella sua regale maestosità: Il Re de' nostri Monti, / l'alto Matese, a cui gelate nevi / ancor, quando in Leone il Sole alberga / copron il mento, e la canuta testa[3].
di Cesare Crova Lo studio dell’architettura medievale, in particolare di quella fortificata, ha ricevuto negli ultimi quarant’anni un apporto fondamentale dall’analisi delle dinamiche insediative e delle tecniche costruttive, attenta alla natura materiale e tecnica del manufatto. L’indagine sugli svolgimenti che hanno determinato le fasi dell’incastellamento e lo studio delle tecniche edilizie che li accompagnano, ha permesso di acquisire un patrimonio di conoscenze utile sia da un punto di vista storiografico che alla conoscenza dei fattori politici, economici, sociali e culturali del fenomeno, sia dal punto di vista della conservazione. La datazione delle murature, soprattutto in architetture scarsamente documentate, è un argomento sul quale il dibattito è piuttosto ampio e necessita ancora di studi analitici che consentano di dare risposte affidabili sulle molteplici fasi di accrescimento degli antichi edifici. Da ciò deriva, in primo luogo, la necessità di svolgere un capillare censimento dei beni architettonici esistenti sul territorio, volto a conoscere, valutare e documentare tutto il patrimonio dell’edilizia storica, in particolare quella minore, minacciata dall’indifferenza e dalla speculazione. Con l’opera di Pierre Toubert sull’incastellamento nel Lazio meridionale e la Sabina, si è aperto un diverso modo di leggere il processo di formazione dei castra in età medievale, dandogli connotati strutturali, economici e sociali[1]. Il lavoro del Toubert, pur interessando una zona circoscritta d’Italia, è geniale per la descrizione del modello e degli effetti del grande accentramento, dove il castello, inteso quale circuito provvisto di mura, ha un ruolo centrale nella storiografia medievale, divenendo la spia per comprendere lo svolgimento nazionale, regionale e locale delle società del periodo[2]. É iniziata così una ricerca molto ampia nel campo delle fondazioni castrali, che ha generato una ricca e diversificata serie di contributi, da cui sono emerse le differenti fenomenologie che hanno guidato il processo di incastellamento su tutto il territorio nazionale. A questa, si sono aggiunti gli studi, in ambito toscano, di Tiziano Mannoni che ha aperto l’importante filone di ricerca sulla lettura stratigrafica degli elevati, a cui ha fatto seguito, in area laziale, quello promosso da Giovanni Carbonara che a partire dal 1996 ha visto produrre numerosi lavori, legati allo studio delle tecniche costruttive e della loro importanza ai fini della conservazione, aprendo così al ruolo multidisciplinare legato ai progetti di restauro. A questi, si aggiungono studi paralleli, condotti sia in ambito accademico, nelle Università del Molise, di Napoli “Suor Orsola Benincasa” e di Aversa “Luigi Vanvitelli”, che a livello centrale dal Ministero della Cultura, che hanno amplificato il dibattito in corso sulla storia urbana fra antichità e medioevo, sulle direttrici di scambi commerciali e delle produzioni in area mediterranea negli stessi periodi storici, proponendo contributi in particolare da giovani studiosi, indice dell’interesse che l’argomento possa avere un futuro promettente. Il lavoro sulle tecniche costruttive promosso nella scuola romana, nella sua ultima fase ha fatto da corollario a quello dell’indagine sull’incastellamento e trova un interessante punto di contatto con quello condotto da Alessia Frisetti nel territorio campano, già Terra di Lavoro, in continuità con quello realizzato da chi scrive per la parte laziale e alto campana della provincia normanna[3]. La Valle del Volturno nel Medioevo affronta lo studio del territorio che abbraccia, in particolare, le attuali provincie di Benevento, Caserta e Isernia, indagandone lo sviluppo sia dal punto di vista dell’incastellamento, che da quello delle tecniche costruttive, con l’occhio dell’archeologo, quindi attento sia allo studio diretto dei siti indagati, che indiretto con quello delle fonti d’archivio. Si delineano in questo modo dinamiche insediative che si ricollegano al resto del territorio nazionale, anche se con specifiche peculiarità. Le ricerche di tipo archeologico, associate a quelle storico-artistiche e architettoniche, tentando di procedere oltre queste ottiche, ancorché inglobandole, possono arricchire il patrimonio conoscitivo sull’architettura, sì da realizzare una concreta comunità di obiettivi. A tal fine, importanti sono i riferimenti sia al rilievo diretto delle fabbriche, sia al connesso esame attento, ravvicinato, di queste, avendo sempre presente il contesto e l’universo architettonico entro cui i singoli dati si collocano. Il lavoro, frutto delle ricerche di Alessia Frisetti, si concentrano su una porzione di territorio della Terra di Lavoro molto interessante dal punto di vista storico-culturale, ma ancora quasi del tutto inesplorato dalle campagne di indagine sui temi dell’analisi sull’incastellamento e delle tecniche costruttive. Emerge dalla lettura del testo, l’approccio di carattere generale, attraverso lo studio delle fonti cartografiche (I.G.M. e topografiche) che hanno permesso l’individuazione di 73 siti fortificati e 27 riferibili a insediamenti monastici, fino a giungere a quello di dettaglio, con le indagini diagnostiche per determinare la qualità dei molti campioni di malta prelevati, il cui studio è utile per riconoscere la qualità dei cantieri e delle maestranze che qui vi lavorarono, oltre che per il grado di conservazione, in vista di un possibile intervento di restauro. L’utilizzo degli strumenti informatici e delle tecnologie digitali più aggiornate, ha permesso attraverso la base GIS di inserire tutti i dati raccolti e poter delineare due grandi periodi cronologici, il primo dal tardo-antico all’alto medioevo (V-XI secolo), il secondo dall’epoca normanna a quella angioina (XI-XIV secolo). Dall’analisi così condotta, emergono differenti caratteristiche del paesaggio antropizzato. Nell’alto medioevo il territorio vulturnense è contraddistinto da comunità monastiche, attorno alle quali ruotano i territori che vengono coltivati e si organizzano le realtà insediative, con una gestione dei sistemi incastellati che presentano differenze sostanziali rispetto, per esempio, con i territori vicini, controllati dall’Abbazia di Montecassino, dove viceversa si avevano dei castelli, intesi quali insediamenti al cui interno, riprendendo gli assunti del Wickham, si accentrarono le popolazioni che in precedenza vivevano in siti sparsi. La loro formazione fu favorita dall’espansione agraria, facendo nascere ambiti amministrativi in cui si sviluppò un’urbanistica locale, contraddistinta dall’edilizia in pietra, con la presenza di luoghi di culto, magazzini, mercati e, nei castelli di maggiori dimensioni, di tribunali[4]. Nel periodo successivo, quello dello sviluppo degli insediamenti, molte informazioni è stato possibile desumere dallo studio delle fonti, come il Catalogus Baronum e il suo Commentario, ma anche da quelle quali l’Ystoria Rogerii regis Sicilie, Calabrie atque Apulie, redatta da Alessandro Telesino, dove sono raccolte le operazioni politiche e militari di Ruggero II nella prima metà del XII secolo. La connessione tra fonti scritte e siti indagati, che per questo periodo danno risultati più cospicui, permettono di comprendere le dinamiche insediative promosse dal popolo normanno, che si dovettero confrontare con realtà consolidate, per la presenza di signorie longobarde, oltre alla persistenza di alcune compagini musulmane, gruppi bizantini e franchi[5]. L’avvento normanno genera una diversa formazione degli insediamenti, che da fortificazioni urbane, portano alla formazione di una rete di fortificazioni distribuite nelle aree rurali. Si delineano due fasi: ad una prima, caratterizzata da insediamenti di carattere feudale, dominato dalle famiglie comitali, che in alcuni casi cederanno a vario titolo le loro proprietà ai grandi complessi monastici di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, se ne associa una seconda, nella quale Ruggero II delineerà un sistema di presidi posti direttamente sotto il controllo regio, caratterizzati dalla presenza di guarnigioni che avevano le proprie dimore in prossimità dell’insediamento[6]. Esempi emblematici, tra quelli indagati, sono il castello di Rupecanina (Figg. 1-2), di cui resta ancora pienamente leggile la stratificazione dell’impianto urbano, con il doppio perimetro di mura e il mastio, e la città di Alife, dove l’intervento normanno si inserì sulla preesistenza della città romana, che ancora oggi conserva l’impianto planimetrico originario, con il cardo e il decumano, delimitata ora dalle mura fortificate medievali. Caratteri morfologici e costruttivi che la mettono in continuità, per esempio, con un’altra città romana, Fondi, che conserva a sua volta gli stessi elementi oltre che, singolarmente, lo stesso orientamento planimetrico, con l’asse inclinato verso ovest rispetto al nord geografico[7] (Figg. 3-4). Con l’avvento al potere di Federico II di Svevia, la rete dei castelli, costruiti soprattutto nel XII° secolo, nel corso della signoria normanna, è ora ereditata dall’Hoenstaufen e inglobata nella nuova amministrazione. La rete castrale non aveva una distribuzione omogenea sul territorio e le rocche si differenziavano per le diverse tipologie architettoniche. Il disegno federiciano di riconquista della Terra di Lavoro fece leva essenzialmente sui castelli di Napoli, Aversa e Gaeta, senza preoccuparsi di ridefinire il dispositivo militare lungo il confine, dato che i rapporti concilianti con la Curia romana non inducevano a considerare impellente l’operazione[8]. In questo contesto, utile per delineare lo stato di conservazione dei castelli del dominio svevo è lo Statutum de Riparatione Castrorum, redatto a iniziare dal 1231, dove si delinea chi dovesse occuparsi della riparazione, oltre che dei castelli veri e propri, anche delle domus e dei palacia. Con Federico II sono potenziati numerosi fortilizi o ne sono costruiti ex novo per definire una linea visuale di collegamento, come per esempio con le rocche di Casertavecchia, Maddaloni e San Felice a Cancello, e molte le testimonianze di strutture fortificate attribuibili direttamente all’Hoenstaufen, come, tra gli altri, il mastio pentagonale di Rocca Janula, prossima a Montecassino, la Porta del Regno, a Capua, la torre quadrata del palazzo di Maddaloni. Il lavoro di Alessia Frisetti, che, lo ricordiamo, parte dalla sua tesi di dottorato[9], si conclude agli inizi del XIV secolo, con l’avvento degli angioini nella dominazione del Regno e nelle conclusioni coglie la continuità che si osserva tra l’architettura normanna e quella sveva, anche se, aggiungiamo noi, ci saranno elementi tecnico costruttivi di novità propri dell’architettura federiciana[10], così come tra quest’ultima e l’architettura angioina, almeno del primo periodo. Sintesi del passaggio dall’architettura normanna a quella angioina, con elementi di continuità e discontinuità, lo si osserva nella Roccaguglielma, a Esperia in provincia di Frosinone, in un territorio tangenziale quello indagato dalla Frisetti, che racchiude in sé i caratteri costruttivi delle tre diverse dinastie che si succedettero nella dominazione del Regno. Il testo si arricchisce, infine, di 73 schede sugli insediamenti fortificati delle tre provincie indagate, 27 tra edifici religiosi e insediamenti monastici e 6 edifici civili, dove sono riassunti gli elementi principali dei siti indagati. Si passa dalla descrizione, alla sintesi dei dati storici desunti dalle fonti scritte, accompagnando la scheda da un breve regesto bibliografico e delle fonti, così da dare quelle informazioni di partenza utili a chi volesse, in seguito, approfondire studi specifici e sistematici. In conclusione, con il lavoro di Alessia Frisetti si gettano le basi per un futuro approfondimento, per indagare le aree non trattate quali le provincie di Avellino, Napoli e Salerno, il cui patrimonio culturale è molto ricco [basti ricordare il sito ancora molto ben conservato di Avella (Fig. 5) in provincia di Avellino], ma ancora non interessato da studi sistematici sull’incastellamento e sulle tecniche costruttive qui impiegate. Questo testo si auspica rappresenti il fondamentale punto di partenza. [1] P. Toubert, Les structures du Latium méediéval. Le Latium méridional et la Sabine du XIe siècle à la fin du XIIe siècle, Roma 1973. [2] C. Wicham, A che serve l’incastellamento?, in «L’incastellamento», Actes des rencontres de Gérone (26-27 novembre 1992) y de Roma (5-7 mayo 1994), a cura di M. Barcelò, P. Toubert, École Française de Rome: Roma, pp. 31-41, (Publications de l'École Française de Rome, 241). [3] C. Crova, Insediamenti e tecniche costruttive medievali. Il Latium adiectum e la Terra Laboris, Pubblicazioni Cassinesi: Montecassino 2005 (Archivio Storico del Lazio meridionale. Monografie, 1). La Terra di Lavoro fu la più longeva fra le provincie che i normanni istituirono dopo il loro arrivo nell’Italia meridionale, nel XII secolo. Fu solo con il Regio decreto-legge 2 gennaio 1927, n. 1, pubblicato nella G.U. n. 49 del 1° marzo successivo, che la provincia fu soppressa aggregando alcuni comuni alla provincia di Roma e altri (Carinola, Mondragone e Sessa Aurunca) a quella di Napoli, cfr. C. Grossi, Il Golfo di Gaeta. Valle del Garigliano, Spiaggia di Scauri, “Formiae litus”, Vendicio, Serapo, Tipografia del Senato: Roma 1927, p. 69. [4] C. Wicham, A che serve l’incastellamento, cit., p. 33. [5] A. Frisetti, La valle del Volturno nel Medioevo. Paesaggi, insediamenti e cantieri, Volturnia Edizioni: Cerro al Volturno 2020, p. 66. [6] E. Cuozzo, Quei maledetti Normanni. Cavalieri e organizzazione militare nel Mezzogiorno normanno, Guida Editore: Napoli 1989, p. 84. [7] C. Crova, Lo sviluppo urbanistico di Fondi nel Medieovo, in Fondi nel Medioevo, Atti del convegno internazionale di studi (Fondi, Palazzo Caetani, 17-18 ottobre 2013), a cura di M. D’Onofrio, M. Gianandrea, Gangemi Editore: Roma 2016, pp. 79-90: 84 e 85 fig. 5. Come Fondi e Alife, altre città romane presentano lo stesso orientamento nord-ovest/sud-est: Alba Fucens, Aquileia, Cremona, Mutina (Modena), Ariminum (Rimini), Sepinum, Verona, cfr. N. Cassieri, D. Quadrino, Uno scavo urbano: nuovi elementi per l’urbanistica di Fondi, in La forma della città e del territorio, in «Atlante tematico di topografia antica», XV (2006), pp. 177-193: 178. [8] P.F. Pistilli, Castelli federiciani in Terra di Lavoro: dalla conquista del territorio alla difesa dei confini (1220-1239), in Mezzogiorno-Federico II-Mezzogiorno, Atti del Convengo internazionale di Studio promosso dall’Istituto Internazionale di Studi federiciani, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Potenza-Avigliano-Castel Lagopesole-Melfi, 18-23 ottobre 1994), a cura di C.D. Fonseca, tomo I, Edizioni De Luca: Roma 2000, pp. 281-316: 283-84. [9] A. Frisetti, Dall’atlante delle tecniche murarie alla conoscenza culturale ed economica di un “territorio di confine” nella Langobardia Minor. Chiese, castelli e case nella Media Valle del Volturno, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dottorato di Ricerca in archeologia, XXVIII ciclo, a.a. 2015/2016. [10] C. Crova, Echi della tradizione romana e bizantina nell’architettura del Medioevo meridionale tra normanni e svevi, Atti del convegno internazionale di studi La difesa militare bizantina in Italia (sec. VI-XI), a cura di F. Marazzi, C. Raimondo, Volturnia Edizioni: Cerro al Volturno, i.c.s.
di Filippo Cannizzo
«Articolo 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Nel leggere le parole dell’art. 9 della Costituzione della Repubblica Italiana, definito «l’articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana» [1] da parte dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, sembra di ritrovarvi tutta la bellezza del nostro Paese. Infatti, questo articolo ci dice che è proprio nel nostro patrimonio artistico, nella nostra lingua, nella capacità creativa degli italiani, che risiede il cuore della nostra stessa identità.
di Raffaella Salvemini
“Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua” (Elsa Morante) Quando la Morante scrisse L’isola d’Arturo (1957) non pensava che Procida potesse diventare Capitale Italiana della Cultura 2022. Eppure in questa partita mi piace pensare alla metafora dello “scorfano” che non rinuncia alle sue peculiarità e accetta la sfida. A ben vedere, il progetto culturale dall’ambizioso titolo “la cultura non isola” non confligge affatto con la sua stessa complessa identità ovvero di microcosmo inserito da sempre in un ampio sistema di scambi via mare.
di Maria Rosaria Iacono
“La cosa più abbondante sulla terra è il paesaggio” José Saramago, Una terra chiamata Alentejo Paesaggio, Conoscenza, Tutela Tra i compiti statutari di Italia Nostra fin dalla sua fondazione c’è “il proposito di suscitare un più vivo interesse per i problemi inerenti la conservazione del paesaggio, dei monumenti e del carattere ambientale delle città, specialmente in rapporto allo sviluppo dell’urbanistica recente” [1]. Rileggere la Carta di Gubbio. Riflessioni sulle strategie della salvaguardia dei centri storici.30/10/2020
di Cesare Crova
Nel 2020 ricorrono i 60 anni del Convegno di Gubbio “Per la salvaguardia e il Risanamento dei Centri Storici”, promosso da un gruppo di architetti, urbanisti, giuristi, studiosi di restauro, e dai rappresentanti degli otto comuni capofila del progetto, Ascoli Piceno, Bergamo, Erice, Ferrara, Genova, Gubbio, Perugia, Venezia. Siamo nell’Italia che usciva faticosamente dalle ferite della guerra e nel campo della conservazione del patrimonio culturale si stava aggiornando la riflessione teorica sul concetto di restauro, perché andava rivisto quanto espresso fino ad allora e l’atteggiamento verso la preesistenza. |
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