di Filippo Cannizzo «Articolo 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Nel leggere le parole dell’art. 9 della Costituzione della Repubblica Italiana, definito «l’articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana» [1] da parte dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, sembra di ritrovarvi tutta la bellezza del nostro Paese. Infatti, questo articolo ci dice che è proprio nel nostro patrimonio artistico, nella nostra lingua, nella capacità creativa degli italiani, che risiede il cuore della nostra stessa identità. L’articolo 9 – non a caso inserito tra i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, quali sono i primi 12 articoli, e in vigore dal 1º gennaio 1948 – esprime come principio giuridico quello che è scolpito nella coscienza di ogni italiano: il patrimonio culturale, storico, artistico e ambientale – oltre alla lingua parlata e scritta – rappresentano il segno più evidente dell’identità di una comunità e di un popolo, della sua unità e delle sue divisioni, della sua storia. Dunque, componenti essenziali della cultura sono la lingua del paesaggio e quella delle pietre, la lingua dell’arte e quella della musica, la lingua dell’enogastronomia e quella della poesia: rivolte a tutti e comprensibili da tutti. È per questo motivo che, nell’articolo 9 della Costituzione, la cultura, insieme alla ricerca, è evocata come la premessa della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Quindi, potremmo dire che la conoscenza della bellezza italiana, così come la sua libera fruizione da parte di tutti i membri della comunità, in condizioni di eguaglianza e di agevole accessibilità, sono condizione per il pieno sviluppo della persona umana, per il raggiungimento e per il riconoscimento della sua pari dignità sociale – come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione [2]. Nell’articolo 9 si possono leggere alcune indicazioni fondamentali per il Bel Paese [3]. La prima è che la bellezza non è astratta, teorica, scollegata dalla storia: perché la Costituzione parla del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Ci parla dell’Italia così come è stata costruita da innumerevoli generazioni di italiani, che hanno arricchito un paesaggio già in sé straordinario con opere d’arte, monumenti, biblioteche, piazze, palazzi, chiese: una bellezza diffusa, contestuale, indivisibile, non commerciabile e pubblica per definizione. La seconda è che la bellezza è della nazione, cioè di tutti. La bellezza è uno strumento di eguaglianza, inclusione sociale, integrazione. Potremmo quasi dire che siamo una nazione per via di bellezza. La terza è che questa bellezza non è fatta per essere contemplata come una muta divinità, né venduta come una merce. Ma è fatta per produrre conoscenza e cultura, attraverso la ricerca. È una bellezza che genera consapevolezza: una bellezza che fornisce agli italiani gli strumenti intellettuali e culturali per esercitare pienamente la loro sovranità. Una bellezza che genera cittadinanza. Per questo, la cultura e il patrimonio storico e artistico dovrebbero essere gestiti in modo da essere effettivamente a disposizione di tutti e per tutte le generazioni che verranno. Nelle intenzioni dei Costituenti, pertanto, con questo articolo si voleva salvare, ricostruendolo, non solo il cumulo di pietre e macerie in cui era sommersa l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, e nemmeno un’astratta bellezza. Il patrimonio che era in gioco era l’eredità delle generazioni precedenti. Il patrimonio storico e artistico di cui si parla nell’art.9 della Costituzione delinea le fattezze del “volto della patria”: i Costituenti dicono che il patrimonio non è la somma amministrativa dei musei, delle singole opere, dei monumenti, ma è una guaina continua che aderisce al paesaggio (ovvero al territorio della nazione) come la pelle alla carne di un corpo vivo. Il patrimonio diffuso è la forma dei nostri luoghi, è una indivisibile fusione tra arte e ambiente, è un tessuto continuo di chiese, palazzi, strade, paesaggi, piazze. Non una specie di contenitore per capolavori assoluti ma, al contrario, è la rete che congiunge opere che hanno un significato – artistico, storico, etico, civile – solo se rimangono inserite in quella rete: il paesaggio e il patrimonio storico e artistico sono un’unica cosa, sono l’Italia, della quale costituiscono inscindibilmente il territorio e l’identità! Allora, la promozione della conoscenza della bellezza italiana, la tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, non possono essere considerate come un’attività fra altre per la Repubblica, bensì devono essere concepite come una dei suoi compiti più precipui: una bellezza pubblica e inalienabile per dettato costituzionale e, in quanto caratteristica essenziale del Bel Paese, forma di espressione della sua identità e della sua cultura da tutelare e promuovere. In questo senso può e deve essere interpretato l’articolo 9 della Costituzione italiana: come un’indicazione fondamentale per la sopravvivenza ed il futuro della nostra identità attraverso il richiamo al passato. L’Italia possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società come la nostra può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura, difatti, è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Inoltre, le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività; perciò, la cultura potrebbe essere una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico. La bellezza può rappresentare il futuro per il nostro Paese, ma per farlo gli italiani dovrebbero prendere consapevolezza del reale valore della cultura. Per il nostro Bel Paese sarebbe fondamentale l’investimento in cultura. Perché la cultura fa crescere l’intelligenza in generale e la nostra economia ha bisogno di più intelligenza, di più valore aggiunto, di più innovazione. Perché una società povera di cultura è una società regredita, una società segnata da un analfabetismo di ritorno, una società che rischia di non imboccare la via del futuro ma un vicolo cieco, quello di una “regressione tribale” (e molti episodi di cronaca degli ultimi tempi sembrano parlarci proprio di questo). La bellezza può rappresentare davvero il futuro del Bel Paese, ma è anche un bene fragile e come tale necessita di cure e attenzioni costanti. La bellezza italiana è una bellezza diffusa, è un immenso tessuto artistico e storico, fuso con l’ambiente. Se solo gli italiani si rendessero conto di quanta bellezza risiede in ogni angolo del Bel Paese, probabilmente comprenderebbero l’esigenza di curarla e di sentirsene responsabili. Curare nel senso di prendersi cura. Perché curare significa creare un’armonia, una funzionalità e un dialogo fra parti diverse. Perché curare significa costruire un sistema funzionante, fruibile e leggibile di tante realtà autonome ma complementari fra di loro. Perché curare la cultura del proprio Paese vuol dire sentire il dovere e la necessità di rendere percorribile una rete che unisca l’espressività geografica ed artistica del territorio, così variegata, collegando il patrimonio artistico e paesaggistico con la contemporaneità. Una contemporaneità che non è fatta solo di musei e di mostre, ma è costituita da tanti soggetti e contesti vivi e vivaci: musicali, teatrali, cinematografici, architettonici, artistici. L’investimento in cultura e la produzione di conoscenza possono costituire la leva strategica di un modello di sviluppo per il Bel Paese, la cui competitività non sia sfruttamento della manodopera, ma innovazione. La cultura non è solamente una pura decorazione edonistica o un inutile dispendio di denaro pubblico. La bellezza non è qualcosa da apprezzare semplicemente per il suo valore estetico o come evasione dal presente. La cultura non è una fonte di sperperi e di rallentamento economico per l’Italia, bensì rappresenta una potenziale fonte di crescita e di attività produttive. La bellezza, intesa in tutte le sue forme, potrebbe essere il futuro italiano, la base su cui far ripartire lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese [4]. Il valore sociale, economico, educativo della bellezza si esprime in un tempo lungo e costante, diventando anche moltiplicatore di esperienze: per questo può operare processi di trasformazione sistematica. Bisogna smettere di ragionare di un’economia di cultura, che vuol dire soltanto risparmio e tagli alla cultura, per cominciare a pensare ad un’economia della cultura. Perché con la cultura si pensa, si riflette, si inventa, si scambia, si dialoga: solo a queste condizioni con la cultura si può dare impulso all’economia e ridare una speranza per il futuro al Bel Paese. Per fare ciò, alla cultura dovrebbe essere riservata la stessa importanza che viene data ad altri settori strategici del Paese. È necessario avere una visione strategica di ciascun settore della cultura che guardi a conoscenza e creatività in una visione organica, capace di correlare i diversi settori e ragionare in termini di filiera, dove la cultura possa rappresentare il punto di partenza e di arrivo di processi complessi e di una molteplicità di protagonisti, attività, percorsi cognitivi. Questa difficoltà è figlia di una mancanza di visione sul rapporto tra cultura, paesaggio e futuro. In Italia, purtroppo, è assente un’idea sul futuro delle città e dei territori che passi attraverso la cura dei nostri beni culturali, attraverso lo sviluppo di nuova arte. In tempi difficili e opachi come quelli che stiamo vivendo, il senso della bellezza sembra suggerire che un altro mondo è possibile. La bellezza rappresenta un investimento sul futuro, quello di un cambiamento all’insegna del benessere collettivo e degli individui, della trasformazione che renda più vivibili e belle le grandi città così come i piccoli borghi, della valorizzazione della creatività, del miglioramento della qualità della vita. La bellezza può essere la finestra da cui guardare in modo nuovo a politiche che interessino il territorio, a partire da rigenerazione urbana e mobilità ecosostenibile, progettazione culturale e tutela del patrimonio storico e artistico dell’Italia, costituzione di distretti di economia civile ed economia della bellezza, salvaguardia dell’ambiente. Bellezza come arte, paesaggio, qualità della vita, patrimonio storico e artistico, enogastronomia, musica, teatro, danza. Una economia della bellezza come possibile fonte di sviluppo economico ecosostenibile e di occupazione durevole, per recuperare le relazioni tra le persone e migliorare la qualità della vita, per salvaguardare l’ambiente [5]. Perché la bellezza è una speranza aperta nel cuore della nostra società. Perché la bellezza potrà salvare il Bel Paese solo se e quando noi, donne e uomini, ci impegneremo a salvare la bellezza. [1] Espressione usata dall’allora Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi in occasione della consegna delle medaglie d’oro ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte, il 5 maggio 2003, presso il Palazzo del Quirinale. Il testo completo del discorso è disponibile sul sito della Presidenza della Repubblica Italiana alla pagina web: http://presidenti.quirinale.it/Ciampi/dinamico/ContinuaCiampi.aspx?tipo=discorso&key=22144 [2] L’articolo 3 della Repubblica Italiana recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano. Approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, il 27 dicembre seguente, entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Consta di 139 articoli e di 18 disposizioni transitorie e finali. Il testo completo della Costituzione Italiana è disponibile sul sito web del Senato della Repubblica Italiana alla pagina web: https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf [3] L’articolo 9 è stato inserito tra i principi fondamentali della nostra Costituzione al termine di una lunga discussione all’interno dell’Assemblea Costituente. Il testo finale dell’art. 9 è frutto di una elaborazione che ha coinvolto in particolare autorevoli parlamentari del PCI, come Concetto Marchesi e Umberto Terracini, intellettuali come Piero Calamandrei e importanti esponenti della DC, quali Aldo Moro e Giuseppe Firrao. Il percorso e l’intensa discussione che ha portato all’enunciazione dell’art. 9 della Costituzione è contenuto negli atti dell’Assemblea Costituente, disponibili sul sito della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana alla pagina web: http://legislature.camera.it/frameset.asp?content=%2Faltre%5Fsezionism%2F304%2F8964%2Fdocumentotesto%2Easp%3F [4] In merito alle potenzialità dell’economia della bellezza in Italia, si consiglia di consultare la relazione annuale di Federculture: Impresa Cultura. Dal tempo della cura a quello del rilancio, XVI Rapporto Annuale Federculture, Gangemi Editore, Roma 2020. [5] A chi fosse interessato ad approfondire le tematiche oggetto di questo scritto, consiglio la lettura di una mia recente pubblicazione: Filippo Cannizzo, Briciole di bellezza. Dialoghi di speranza per il futuro del Bel Paese, Mimesis, Milano, 2018.
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