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di Davide Iannelli Lo scorso 14 marzo, in occasione della GIORNATA NAZIONALE DEL PAESAGGIO 2021, si è svolto un partecipato webinar sulla pagina facebook di Kinetès - Arte Cultura Ricerca Impresa, dal titolo: "Il paesaggio come patrimonio culturale. Il Matese come risorsa”. A guardar bene, il tema scelto appare, se non in controtendenza, almeno in parte dissonante con la beatificazione, in corso sui media e nelle dichiarazioni spesso interessate sulla transizione ecologica, di tutto ciò che va sotto il comune denominatore di energie rinnovabili. È invece del tutto in sintonia con la previsione Costituzionale art.9: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. ![]() La disputa non è ideologica, ma concretamente riferita a cosa può significare “transizione ecologica” in un Paese come l’Italia e in province come le nostre: aree interne appenniniche, tradizionalmente intese come “osso”, rispetto alla “polpa” che è la fascia costiera, e pertanto caratterizzate da spopolamento, con l’aggravante che, anziché dimenticate, come un tempo, vengono considerate oggi aree marginali, nelle quali allocare lavorazioni poco gradite altrove: rifiuti, parchi eolici selvaggi e invasivi, trivellazioni e, ultimi arrivati, allevamenti intensivi e produzione di cibo-spazzatura. Scegliere come punto di vista non un generico concetto di ambiente, ma paesaggio, storia e patrimonio artistico, intendendovi incluso il patrimonio immateriale, consente allora di inquadrare anche le attualissime tematiche ambientaliste in una luce diversa, nella quale i coni d’ombra si svelano come opportunità e il futuro non appare scontato. Solo con questa angolazione la transizione ecologica nel Sannio andrà a connotarsi come occasione di sviluppo inclusivo e soprattutto di un diverso rapporto uomo e natura, città e periferia, Nord e Sud, anziché risolversi in un nuovo gattopardesco colonialismo che perpetua la questione meridionale, in un eterno ritorno del «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima». E, quindi, il tema è, ancora una volta, quello di giocarsi una partita non subalterna, della quale le classi dirigenti locali vengono sfidate ad essere protagoniste: quella di innescare dinamiche economiche, sociali e culturali attrattive, il cui presupposto è la conoscenza di quali siano le reali vocazioni del territorio, di quanto patrimonio e di quante risorse attendono di essere svelate e conseguentemente valorizzate. Una partita che non può non avviarsi dal basso, per aprirsi al mondo ed alle relazioni economiche e sociali, ma senza subire passivamente imposizioni top-down. Rossella del Prete, docente dell’Università del Sannio ed assessore alla Cultura di Benevento, fondatrice di Kinetès, Rossano Pazzagli, Augusto Ciuffetti, docenti nelle Università del Molise e delle Marche, il fotografo e giornalista Natalino Russo, i rappresentanti di Italia Nostra e della Consulta del Matese, Davide Iannelli e Lorenzo Piombo: nel loro racconto il paesaggio diventa lo specchio in cui si leggono storia e identità territoriali differenti, che non vanno omologate ma considerate come un mosaico che va visto nel suo insieme, per coglierne la ricchezza e le possibilità di valorizzazione. Il paesaggio e l’ambiente sono beni comuni, come l’acqua, l’aria e la transumanza, ed intimamente connessi; producono benessere universale, primo fra tutti il diritto di respirare, e vanno resi disponibili, evitando appropriazioni indebite e nuove forme di sfruttamento. E allora, ribaltando la prospettiva nella quale vengono viste come aree marginali, le aree interne, le piccole comunità dell’Appennino, i borghi e la montagna diventano laboratorio per il futuro. Il Parco Nazionale è il quadro istituzionale e progettuale che può tenere insieme la tutela e la costruzione di un nuovo futuro. Ma questo futuro possibile, che accoglie le esigenze irrinunciabili di qualità in tutti gli aspetti della vita umana, va protetto dalle insidie e dalle speculazioni. La metropoli campana già arriva ai piedi delle montagne matesine con un consumo di suolo, dovuto principalmente a impianti eolici, di 150 volte superiore al consumo medio italiano. Eppure, ancora recentemente, il Matese è stato raccontato come “la muraglia di roccia che divide la Campania dal Molise” (sic!), senza che vengano colte la unitarietà identitaria della regione fortificata dei Sanniti, ben nota a studiosi e appassionati di ambiente e paesaggio, e la bellezza mostrata nelle foto di Natalino Russo. Ancora nel preliminare paesaggistico della Regione Campania prevale una visione frammentata, nella quale il Matese non viene considerato come un tutt’uno di storia natura cultura e paesaggio, rispetto al quale i confini amministrativi altro non producono che artificiose complicazioni burocratiche. Non aiuta la miopia di classi dirigenti locali chiuse nel campanilismo e nell’elettoralismo. Sentir parlare di “Parco Nazionale calato dall’alto” è grottesco, in una realtà in cui vengono “calati dall’alto” decine di capannoni intensivi ad alto rischio ambientale e, approfittando dei ritardi nella decretazione attuativa della legge del 2017, istitutiva del Parco Nazionale, si intendono istallare in 7 comuni, già inseriti nella perimetrazione, altre 62 pale eoliche, oltre le 66 già istallate. O dove si registrano una riduzione di un terzo della popolazione e un innalzamento di età media che non risultano invece in comuni, anche dello stesso Matese, che hanno goduto della protezione fornita dall’appartenenza al Parco Regionale. I vincoli tanto temuti (dall’abusivismo???) sono invece una protezione, nel momento in cui le comunità, anche resistendo con la mobilitazione popolare e associativa ad azioni predatorie, talvolta di origine malavitosa, dimostrano di voler “essere Parco”, non solo di volerci stare. Se però consideriamo le valenze dell’area sannita dell’istituendo Parco e lo stato di attuazione dei vari e numerosi strumenti normativi ed economici che vi convergono, viene il timore di trovarsi dinanzi al rischio di una ennesima “occasione perduta”. Il valore ambientale e paesaggistico è certificato dalla perimetrazione ISPRA del Parco Nazionale del Matese; se aggiungiamo il Regio tratturo Pescasseroli – Candela, il turismo religioso sull’asse Pietrelcina – Castelpetroso con tanti luoghi minori di religiosità antica e diffusa, borghi e centri storici, aree archeologiche, recepite in strumenti normativi e non, appaiono evidenti le potenzialità di una direttrice di sviluppo matesino incentrata sul turismo inclusivo, diversificato e diffuso, che faccia da volano per una imprenditoria intesa alla qualità: accoglienza, produzioni agroalimentari, offerta culturale, green jobs. Tutti gli strumenti legislativi disponibili convergono dichiaratamente sull’obiettivo di invertire il trend demografico, tutelando e valorizzando i pregi territoriali. E, tuttavia, nella Strategia Aree interne Tammaro Taburno il Parco Nazionale del Matese, il Tratturo, i borghi non sono individuati come asset di sviluppo. Il progetto di potabilizzazione dell’invaso di Campolattaro non ha ancora visto i Comuni e la Regione sedersi attorno a un tavolo per stipulare il Contratto di laghi e fiumi, necessario per la definizione degli interventi intesi alla riqualificazione ambientale del bacino idrografico. Quasi tutti i comuni dell’area sono nell’elenco dei finanziabili per la legge sui piccoli comuni, eppure non associano servizi e progettualità, pur sapendo che la legge sui piccoli comuni richiede proprio che i comuni lavorino insieme. Di fatto la mancata condivisione di una progettualità è la nota più dolente: non si comprende che i comuni possono riappropriarsi del governo del territorio proprio con lo strumento del Parco Nazionale, che consentirà ai sindaci di definire il Piano del Parco, cioè la declinazione nelle specificità territoriali delle norme di salvaguardia previste della legge quadro, funzionale a coniugare tutela e sviluppo, ambiente ed attività dell’uomo. Le comunità dell’Alto Tammaro più volte, nel corso dei decenni, si sono opposte, spesso con successo, a tentativi di saccheggio di ambiente e paesaggio. Si è trattato di mobilitazioni pacifiche e civili, che hanno saputo unire le differenze e trasformarle in punti di forza. Si tratta allora di trasferire le buone pratiche di democrazia diffusa dalla protesta alla proposta. Tocca alle istituzioni locali consolidarle e farle diventare un fattore permanente di forza. C’è la possibilità di far confluire in un progetto di futuro, partecipato e condiviso, le risorse del territorio e le intelligenze e capacità delle comunità e delle sue articolazioni, ed in particolare dei giovani, delle categorie produttive, del mondo della cultura e dell’università, delle associazioni. I comuni hanno nei loro ordinamenti gli strumenti per la partecipazione popolare e la legge consente loro di associare servizi e competenze, o anche di unirsi conservando le municipalità. È questa la strada per utilizzare a pieno le previsioni di legge e le opportunità descritte e di farle interagire in una logica di sistema, anziché svilirle a occasioni una tantum per ottenere un po’ di soldi da spendere per effimere acquisizioni di consensi elettorali. Solo così sarà possibile costruire un progetto fortemente identitario che sia quindi una promessa di futuro, capace di attrarre, di includere e di incoraggiare i giovani alla “restanza”, e di consentire al sistema Italia di conservare paesaggio e patrimonio storico e artistico, per farne la base di benessere, lavoro, civiltà.
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