di Leonardo Cantone Will Eisner definisce il fumetto come “arte sequenziale” e Scott McCloud approfondisce tale definizione parlando di «immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore». Leslie Fiedler (1955) parla di “arte per post-letterati” inserendo in tale definizione la narrazione a fumetti. Questa peculiare modalità narrativa si configura come forma espressiva mista, poiché fonde testo scritto e immagine all’interno di un’unica forma di mediazione. Tale caratteristica segna uno dei punti forti del fumetto, nascendo come forma ibrida facilmente accessibile dalla cultura piccolo borghese. «L’intento comunicativo dei fumetti è multiforme: dall’illustrazione di sketch, di situazioni comiche, di paradossi e battute di sapore satirico, al racconto di brevi e lunghe storie. […] I fumetti da un lato ratificano profili consolidati della narrazione e, dall’altro, cercano modalità inedite, dimensioni innovative». La “narrazione per immagine”, dunque, non è nuova come forma espressiva – dai pittogrammi sulle pareti delle caverne, attraverso la “colonna traiana”, fino alle formelle delle chiese gotiche – ma con il fumetto acquista la forza del testo scritto. Le pitture sulle pareti delle piramidi, accompagnate dai geroglifici, gli stessi kanji giapponesi, alcuni manoscritti duecenteschi o gli incunaboli con capilettera miniati e le incisioni dei libri “illustrati” dell’Ottocento, sono solo alcuni esempi della tradizione antica che mirava a fondere il testo scritto con l’immagine disegnata. Il fumetto non fa altro che recuperare - in chiave strettamente moderna e popolare - quelle suggestioni antiche di mediazione linguistica, costruendo «icone dalla vasta portata collettiva, in grado di conservarsi nelle memorie individuali e pubbliche, non solo generazionali». Le immagini, le raffigurazioni di individui, paesaggi, veicoli, edifici, tradotte attraverso l’arte del disegno, sono delle “icone”: «Il termine “iconografia” significa, traducendo all’improprio dal greco, scrittura per immagini […]. Le iconografie […] sono quegli apparati compositivi che nel corso del tempo si adattano a un soggetto particolare»: il fumetto vive attraverso le icone. Questo non lavora solo con le immagini ma, grazie alla sua intermedialità, ha messo «in crisi l’idea stessa di testo, grazie ai meccanismi che innescano la percezione del movimento», aggiunge visività e dinamicità al testo scritto. «[…] i benefici cognitivi della lettura coinvolgono queste facoltà: sforzo, concentrazione, attenzione, capacità di comprendere il senso delle parole, seguire i fili della narrazione, scolpire mondi immaginari a partire da semplici frasi su una pagina. Tali benefici sono a loro volta amplificati dal fatto che la società dà un’importanza sostanziale esattamente a questo tipo di capacità». Johnson sintetizza così le facoltà necessarie affinché si possano attivare ed affinare le capacità cognitive del lettore. L’autore, dopotutto, riflette sull’apporto dei diversi media alle capacità cognitive del fruitore, in quanto, media diversi sviluppano attitudini diverse: i Videogames richiedono ulteriori attitudini, il Cinema e la Televisione – apparentemente i media più “passivi” – ne richiedono altre. La riflessione che Johnson fa sulla “lettura” la si può applicare anche per quanto riguarda l’approccio al fumetto. Sostituendo là dove l’autore statunitense parla di “scolpire mondi immaginari a partire da semplici frasi su una pagina” con la “capacità di ricostruire il movimento a partire da due immagini fisse”, si chiarisce come «alcune narrazioni obbligano a compiere rielaborazioni per essere comprese». Scott McCloud è chiarificatore nel momento in cui afferma che «mentre il cinema sfrutta l’immaginazione del pubblico per effetti occasionali, il fumetto deve utilizzarla molto più spesso!». Barbieri (1990) ricorda, inoltre, come la presenza di un testo – balloon o didascalia - porti a soffermarsi sulla nozione di “tempo”. La durata della tavola di un fumetto è data sia dal movimento suggerito o costruito attraverso una sequenza di vignette, sia attraverso la presenza di un testo. Essendo «parte effettiva dell’immagine» si lega al concetto di “durata” già suggerito dal disegno: «l’immagine dura (almeno) quanto le parole in essa contenute». L’immagine disegnata, quindi, è sempre l’istantanea di un movimento, e il dinamismo lo conquista attraverso diverse soluzioni grafiche; un esempio è il “polittico”, in cui una o più figure realizzano un movimento scandito da diverse vignette ma accomunato dal medesimo sfondo. Altro strumento sono le “linee cinetiche”: «In un luogo a metà tra il movimento dinamico dei futuristi e il concetto schematico di movimento di Duchamp, si trova la “linea cinetica” del fumetto. […] Linee cinetiche vistose […] sono state per anni una particolarità americana a causa della loro capacità di descrivere le azioni in modo drammatico.» Nonostante tali strumenti per “visualizzare” - e non solo per suggerire - un movimento, comunque «la durata definitiva vera e propria è quella […] determinata dal testo»[i]. Infatti, la componente testuale del fumetto è, indubbiamente, specifica e non ha similitudini in altri supporti editoriali cartacei. I balloon si configurano come porzioni di testo che sono inseriti nella pagina senza seguire una successione grafica lineare e che richiedono cognitivamente una peculiare modalità di lettura: possono essere, infatti, posti in verticale, essere vignette affiancate, parole che sovrastano o si nascondono nel disegno. La lettura cessa di essere “scontata” rispetto a quella di un libro o una rivista, in quanto l’occhio del lettore deve affrontare il testo in maniera dinamica, capace di orientarsi attraverso le specifiche coordinate – come una particolare sequenza dei balloon, oppure segni grafici come le frecce – della struttura narrativa e grafica della pagina. L’attitudine richiesta al lettore è simile a quella dell’internauta, capace di orientarsi attraverso una graficizzazione del testo. McCloud (1993)[ii], nel suo saggio, scompone il testo del fumetto, rivelandone la struttura linguistica e analizzando alcuni degli elementi portanti. Tra questi, il closure è forse lo strumento maggiormente identificativo del linguaggio dei fumetti: «Nel limbo del margine, l’immaginazione umana prende due immagini separate e le trasforma in un’unica idea. Tra le due vignette non vediamo nulla, ma l’esperienza ci dice che deve esserci qualcosa! Le vignette dei fumetti frammentano sia il tempo che lo spazio, offrendo un ritmo staccato e frastagliato di momenti scollegati. Ma la closure ci permette di collegare questi momenti e di costruire mentalmente una realtà continua ed unificata»[iii]. La closure permette ai diversi autori di gestire in maniera relativamente libera il passaggio da una vignetta ad un’altra. “Relativamente” perché McCloud, ancora una volta, offre un’analisi che sintetizza questo movimento: 1. Da momento a momento: richiede pochissima closure[iv]. 2. Da azione ad azione: un singolo soggetto viene mostrato in una successione progressiva di azioni. 3. Da soggetto a soggetto: richiede una maggiore partecipazione da parte del lettore, in quanto necessita di un collegamento concettuale per creare un significato. 4. Da scena a scena: richiede un «ragionamento deduttivo»[v] per colmare le «distanze significative di spazio e tempo»[vi]. 5. Da aspetto ad aspetto: di matrice illustrativa, viene utilizzato per mostrare un luogo oppure una situazione da diversi punti di vista[vii]. 6. Non sequitur: «che non offre alcun rapporto logico tra vignette»[viii]. Il linguaggio del fumetto ha il compito, dunque, di comunicare, attraverso dei frammenti, immagini i cui elementi siano riconoscibili, in movimento, che abbiano una loro durata e che, necessariamente, abbiano una loro “sonorità”. Il fumetto, infatti, opera sul piano delle «sensibilità indotte (voce, udito, vista…)»[ix], e utilizza, dunque, delle icone (nell’accezione proposta da McCloud[x]) anche per rappresentare graficamente un suono. La parola scritta non corrisponde ad un suono realistico riproducibile, ma funge come metafora onomatopeica per creare la sonorità della scena; ossia «l’operazione della scrittura di restituire come visione il suono grammaticalizzato e reso lessico»[xi]. Cremonini (1988)[xii], nonostante analizzi nel proprio saggio le strutture cinematografiche, adopera degli strumenti utili anche per l’analisi del fumetto: identifica l’uso delle parole scritte nel testo cinematografico come uno dei modi di «fornire informazioni»[xiii] allo spettatore; queste «costituiscono un procedimento a sé stante di enunciazione»[xiv] e, configurandosi dunque come «didascalie a focalizzazione esterna, riportano dati oggettivi»[xv] che, nel caso del fumetto, “testualizzano” il suono. «La percezione delle tavole dei comics attiva una sinestesia integrale: dalla vista all’udito al tatto all’olfatto. […] lo sguardo coinvolge, del lettore, l’intera serie sensoriale delle percezioni, secondo pratiche che vanno dalla sineddoche (la parte per il tutto) alla sinestesia (un senso per tutti gli altri)»[xvi]. Nel passaggio dal romanzo al fumetto, ad esempio, l’operazione di traduzione mediale comporta, da un lato, la sintesi della materia narrativa - attraverso la quale viene atomizzato il testo per “prelevare” le parti fondamentali ed eliminare le superflue - dall’altro, per quanto concerne la parte grafica, il testo letterario si carica dell’istanza visiva delle immagini: in questo caso il fumetto si pone come intermediario e conduce il romanzo verso il piano delle rappresentazioni visive. Benjamin definisce la traduzione come: «una forma. […] La questione della traducibilità di un’opera può essere intesa in due sensi. E cioè può significare: se l’opera non troverà mai, nella totalità dei suoi lettori, un traduttore adeguato; o – e più propriamente – se l’opera nella sua essenza, consenta una traduzione, e quindi […] la esiga. […]»[xvii]. Il filosofo tedesco continua, soffermandosi sul rapporto dell’opera tradotta con l’originale: «La traducibilità inerisce essenzialmente a certe opere: ciò non significa che la loro traduzione sia essenziale per le opere stesse, ma vuol dire che un determinato significato inerente agli originali si manifesta nella loro traducibilità. Che una traduzione, per quanto buona, non possa mai significare qualcosa per l’originale, è fin troppo evidente. E tuttavia essa è intimo rapporto con l’originale in forza della sua traducibilità.»[xviii] Nonostante Benjamin rifletta sul rapporto tra le lingue, i suoi suggerimenti possono essere utilizzati anche per la “traduzione mediale”. Dopotutto, l’autore ci ricorda che la traduzione media la comunicazione[xix], e proprio per questo non si deve parlare di somiglianza tra le lingue, ma di affinità. Il fumetto, come ogni prodotto artistico, è medium tra il creatore e il pubblico: è un' istanza comunicativa che poggia su una lunga tradizione i cui personaggi «praticano geografie e tempi dell’immaginazione (coltivata traducendo i repertori letterari e cinematografici dei generi)»[xx]. Mauro Ponzi, a proposito della letteratura, riprendendo un adagio nostrano, gioca con le parole nel momento in cui afferma che, parlando di «traduttore»[xxi], si parla di «traditore»[xxii], proprio per l’infedeltà che necessariamente accompagna l’interpretazione soggettiva di un testo letterario. Proprio per questo, il passaggio da una forma artistica ad un'altra va inteso come una rimediazione: dopotutto per McLuhan (1964) [xxiii] il contenuto di un medium è sempre un altro medium. RIFERIMENTI [i] William Erwin Eisner (New York, 6 marzo 1917 - 3 gennaio 2005). [ii] Eisner, Will, Comics and sequential art, Cit. in McCloude, Scott, Capire il fumetto, Vittorio Pavesio production, Torino 1999. Pag. 13. [iii] Ivi, pag. 16. [iv] Nel saggio The middle against both ends, 1955. [v] Frezza, Gino, Le carte del fumetto, Liguori editore, Napoli 2008. Pag. 1. [vi] Ivi, pag. 3. [vii] Branzaglia, Carlo, Comunicare con le immagini, Bruno Mondadori, Milano 2001. Pag. 69. [viii] Ivi, pag. 17. [ix] Johnson, Steve, Tutto quello che fa male ti fa bene, Mondadori, Milano, 2006. Pag. 25. [x] Ibidem, pag. 58 [xi] McCloude, Scott, Capire il fumetto, Vittorio Pavesio production, Torino 1999. Pag. 77, Grassetto dell’autore. [xii] Barbieri, Daniele, I linguaggi del fumetto, Bompiani, Milano 2009 (V Edizione). [xiii] Ivi pag. 248, corsivo dell’autore. [xiv] Ibidem. [xv] McCloude, Scott, Capire il fumetto, Vittorio Pavesio production, Torino 1999. Pag. 118, 120. Grassetto dell’autore. [i] Barbieri, Daniele, I linguaggi del fumetto, Bompiani, Milano 2009 (V Edizione). Pag. 249. [ii] McCloude, Scott, Capire il fumetto, Vittorio Pavesio production, Torino 1999. [iii] Ivi, pag. 74-75, Grassetto dell’autore. [iv] Appartenenti a questa categoria sono, ad esempio, alcune sequenze de Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller. L’autore ha portato all’estremo questa categoria inserendo, nel linguaggio del fumetto, strumenti di quello filmico come, ad esempio, il rallenty: la scena dell’omicidio dei genitori di Bruce Wayne è esemplificativo. [v] McCloude, Scott, Capire il fumetto, Vittorio Pavesio production, Torino 1999. Pag. 79. [vi] Ibidem. [vii] Un esempio è l’incipit della storia succitata, Cimmeria di Truman e Giorello. [viii] McCloude, Scott, Capire il fumetto, Vittorio Pavesio production, Torino 1999. Pag. 80. [ix] Frezza, Gino, Le carte del fumetto, Liguori editore, Napoli 2008. Pag. 18. [x] «Qualsiasi immagine usata per rappresentare una persona, un luogo, una cosa o un’idea», in McCloude, Scott, Capire il fumetto, Vittorio Pavesio production, Torino 1999. Pag. 35. [xi] Frezza, Gino, Le carte del fumetto, Liguori editore, Napoli 2008. Pag.. 46. [xii] Cremonini, Giorgio, L’autore, il narratore, lo spettatore, Loesher, Torino 1988. [xiii] Ivi, pag. 43. [xiv] Ibidem. [xv] Ivi, pag. 46. [xvi] Frezza, Gino, Le carte del fumetto, Liguori editore, Napoli 2008. Pag. 17, 18. Corsivo dell’autore. [xvii] Benjami, Walter, Angelus novus, Einaudi, Torino 1976. Pag. 38. [xviii] Ibidem. Corsivo dell’autore. [xix] Benjamin, Walter, Angelus novus, Einaudi, Torino 1976. Pag. 37. [xx] Frezza, Gino, Le carte del fumetto, Liguori editore, Napoli 2008. Pag. 103, 104. [xxi] Ponzi, Mauro, Film e letteratura, in Ponzi, Mauro, a cura di, Letteratura e Mass-Media nei paesi di lingua tedesca, Bulzoni editore, Roma 1991. Pag. 108. [xxii] Ibidem. [xxiii] Cit. in Grassi, Carlo, Sociologie della comunicazione, Bruno Mondadori, Milano 2002. Pag. 160
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