di Candida Carrino Quest'anno l’Archivio di Stato di Napoli a pieno titolo si è inserito nelle Giornate Nazionali di ApritiModa 2020, incontro tradizionalmente destinato alle maisons della moda che aprono le loro case per incontrare il pubblico. L’invito della manifestazione che si è tenuta nelle giornate di sabato 24 e domenica 25 ottobre era: “Vieni a scoprire dove nasce il saper fare italiano”. E chiaramente per gli organizzatori della manifestazione i luoghi nascosti e segreti non potevano che essere riferibili esclusivamente a quelli delle firme della moda italiana: Fendi, Caraceni, Trussardi, Zegna, Furla per citarne solo alcune. Non è stato semplice convincerli che l’Archivio di Stato di Napoli poteva trovarsi a suo agio tra Antonio Marras e Aspesi, così come con tutti gli altri. Proprio perché il nostro saper fare di oggi, il genio e la creatività affondano le radici in un passato che i nostri documenti narrano, a saperli leggere. Le storie e i racconti sono del tutto simili a quelli della modernità e costituiscono il punto di partenza di quella nostra capacità e perizia, che ci ha visto e che ci vede primeggiare in tutto il mondo. Ma perché la seta? Il made in Italy, non può prescindere dalla produzione di tessuti che ha posto, tra il Cinquecento e il Seicento, il Regno di Napoli al centro di commerci internazionali. L’Archivio di Stato di Napoli conserva la documentazione archivistica del Consolato dell’Arte della Seta che, istituito negli ultimi decenni del 1400, ebbe una vita di circa quattrocento anni. Dalle carte apprendiamo come una corporazione potente avesse la capacità di controllo su uno dei commerci più floridi del Regno. La mostra è stata un’occasione di riflessione su un tema troppo spesso celebrato solamente nelle forme più note. Come si sa oggetto di attenzione è stato nelle sue molteplici forme l’esperimento tardo settecentesco della colonia di San Leucio a Caserta, di grosso impatto anche sul piano sociale e architettonico. Le giornate della moda sono state invece occasione di scoprire una via della seta molto più antica e ricca di addentellati nel Regno di Napoli. Infatti, l’intera filiera manifatturiera della seta coinvolgeva in maniera massiccia sia la produzione agricola delle Calabrie, dove la gelsibachicoltura rappresentava uno dei punti di forza dell’intero sistema, sia il sistema manifatturiero cittadino, nel quale i re, a partire da Ferrante, avevano investito in maniera determinante, importando dall’estero maestranze che potessero fare da volano per l’imprenditoria locale. In questo contesto il Consolato dell’Arte della Seta era arbitro nel regolamentare l’accesso al mestiere, la quantità e qualità della produzione serica, determinava il costo della materia prima così come quello del prodotto finito. Inoltre, il Consolato svolse anche un’attività definibile, in linguaggio moderno, “previdenziale”. Le maestranze fondarono Monti che dovevano provvedere agli artigiani dell’arte della seta poveri e bisognosi, mentre le figlie nubili e orfane di padre erano ospitate in un Conservatorio delle Vergini, creato apposta per proteggerle dalle difficoltà economiche, che avrebbero avuto senza una casa. I documenti, ancora, ci mostrano la città di Napoli brulicante di maestri e lavoranti, botteghe di tessitori, di tintori, di mercanti e una moltitudine di uomini che dalle maggiori città della Penisola e dei paesi europei facevano affari con i drappi di seta per soddisfare le richieste e le esigenze di nobili e della nuova borghesia. Essi si servivano del prezioso tessuto per abbellire le loro case e confezionare abiti per conquistare un preciso status sociale. Inoltre, accanto ad una documentazione che potremmo definire “quotidiana” la serie contiene volumi pergamenacei decorati da splendide miniature, che mostrano la ricchezza raggiunta dal Consolato, anche grazie alla presenza, come testimoniato dai libri di Matricola, di una classe nobiliare che aveva fiutato nel commercio della seta una notevole fonte di guadagno. La seta di Napoli, tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600, registrava primati indiscussi tra cui il famoso “nero di Napoli”, un colore nero di incredibile intensità e brillantezza che solo i tintori napoletani riuscivano a realizzare. Era il colore della nobiltà, del clero, dei togati e dei lutti e per questo molto richiesto. Pensate che venivano spediti i drappi dalla Francia a Napoli solo per essere tinti di nero. Oltre a quanto già detto, il commercio serico nel Regno via via si specializzò optando per prodotti di seta leggera, realizzati con materia prima meno pregiata (in filo grosso) e destinati al consumo delle fasce medie della popolazione, rispetto alla lavorazione di drappi pesanti (realizzati in filo sottile) e alla produzione di preziosi tessuti auroserici. Per di più le storie raccontate possiamo ritrovarle anche solo passeggiando per la città di Napoli, dove le strade conservano toponimi che ricordano gli anni dello splendore dell’arte serica: via dei Taffettanari, via dei Trenettari, via Zecca dei Panni. Una città fatta di botteghe artigiane di filatori e tintori, fondaci pullulanti di venditori e compratori stranieri. Da ultimo non posso non sottolineare che la documentazione ci offre la possibilità di conoscere il lessico precipuo di questa arte, che in una vertigine glottologica diventa un prezioso campo di indagine linguistico: la cacciatura, la filatura, la torcitura, la doppiatura, trame, torti, mangani, orsogli, damaschi, armesini, arbagi, coracine, spomiglie, boratti, zagarelle, rasi, tafettà, velluti, dobretti, armesini, imbroccatelli, arbagi, savanielli, padiglioni, capiscioli, stringhe, trine, passamani, tocche, calze, telette. Per oggettivare quanto i nostri documenti rivelano, oltre ad esporre i preziosi manoscritti si è pensato di presentare in collaborazione con le Associazioni Respiriamo Arte, Fantasie d’epoca, Scuola della Moda Partenopea, nonché il Museo della Moda di Napoli, abiti d’epoca e stoffe antiche, che hanno dato maggiore suggestione alla manifestazione. Altro momento qualificante è stata la presentazione a cura della professoressa Patrizia Ranzo del percorso formativo offerto dall’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” nel campo del design della moda, proprio a sottolineare il cammino che unisce il passato al presente e al futuro delle nuove generazioni. La partecipazione alla manifestazione nazionale Apriti moda è stata fortemente voluta in quanto si inserisce nella progettualità di aprire le porte di un luogo, l’Archivio di Stato di Napoli, che nell’immaginario collettivo era ed è ancora ritenuto un posto polveroso e aperto a pochi “matti” che studiano argomenti di nicchia. L’impegno è quello di porsi sempre più come “casa delle storie”. Anche in questo caso le storie di ieri ci hanno raccontato esperienze passate che rivivono e si ripetono nella nostra epoca, traendone linfa e vitalità. Le maestranze di ieri diventano modelli per le nuove generazioni di artigiani; i modelli formativi del passato sono messi a confronto con quelli attuali. L’archivio è il luogo dove sono racchiuse le storie di noi tutti, storie che non aspettano altro se non di essere svelate e raccontate. Documenti ASNA, Consolato dell’arte della seta Libri G. Coniglio, Il fondo dell’Arte della Seta nell’Archivio di Stato di Napoli, estratto da «Notizie degli Archivi di Stato», Roma, 1948 R. Parisi, La seta nell’Italia del Sud. Architettura e tecniche per la produzione serica tra Sette e Ottocento, in “Meridiana”, nn. 47-48, 2003 R. Ragosta, Napoli, città della seta. Produzione e mercato in età moderna, Roma, 2009 G. Rescigno, Lo “Stato dell’Arte”. Le corporazioni nel Regno di Napoli dal XV al XVIII secolo, Pubblicazioni degli Archivi di Stato n. 113, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Direzione generale archivi, Roma, 2016 G. Tescione, L’arte della seta a Napoli e la Colonia di S. Leucio, Consiglio provinciale dell’economia corporativa di Napoli - Monografie economiche, X, Napoli 1932
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Gennaio 2023
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