Riccardo De Luca I - SU COME IL FONDAMENTALISMO CAPITALISTICO STIA STRANGOLANDO QUALUNQUE NASCITA ARTISTICA. Dell'inutilità di parlare "di" teatro e dell'utilità di parlare "sul" teatro. Non si parlerà qui di Brecht, Piscator, Majakovskij, Toller e di tutti quegli autori, registi e attori che hanno espresso nelle loro opere discorsi su dignità dell'uomo, sviluppo sociale, umanesimo e morale. Non si parlerà di contenuti e forme teatrali - benché in estetica siano la stessa cosa nel felice dei casi - ma del legame esistente tra il capitale e i mezzi di produzione teatrale e del legame tra questi e il sistema delle clientele e delle lottizzazioni politiche. Oggi è assolutamente inutile parlare del teatro in sé, dell'estetica del teatro e dell'arte in genere. Non tanto perché teatro e arte si vadano spegnendo, strangolati. Quanto perché oggi, molto più di ieri, arte e teatro si vanno spegnendo strangolati perché totalmente dipendenti dal potere economico e politico. Il grande meccanismo. Il "grande meccanismo" è la metafora con cui l'ineguagliato Jan Kott interpretava, attraverso l'opera di Shakespeare, la Storia. Riccardo III è un tiranno sanguinario con inesauribile sete di potere e tutti i personaggi gli girano attorno, ognuno di loro con il loro grande o piccolo miserando tornaconto. Kott dice che non è Riccardo III a condizionare la Storia, ma è "il grande meccanismo" che rende inevitabile Riccardo III. Nel Macbeth, addirittura il "grande meccanismo" non genera neanche Macbeth, ma va oltre. È il delitto che regna, per cui la Storia diventa un grande incubo, dove o si uccide o si viene uccisi. Riccardo III è l'effetto "strutturale" del dominio del binomio capitale-politica clientelare che uccide chiunque non si pieghi ai suoi voleri. La fase successiva - cioè Macbeth - rappresenta il fiorire della mediocritas. Ergo, se non si intacca il macro-meccanismo socio-economico, tutti sono destinati a subirlo e ad esserne anche inconsapevolmente parte, in primis il nostro piccolo meccanismo teatrale. Noi, attori sociali del teatro non possiamo fare altro che esserne piccole rotelle sfruttate o nel peggiore dei casi, sfruttatori. A secondo del grande o piccolo e in ogni caso miserando interesse che ne possiamo ricavare. Il dominio. Il concetto di Marx ed Engels di struttura e sovrastruttura ci aiuterà a capire. La struttura, come sappiamo, è la base economica con tutte le sue componenti di uomini e mezzi di produzione. La sovrastruttura è l'ideologia, la legge, la politica, la filosofia, l'etica e, per quello che a noi interessa, l'estetica. Tutte le componenti della sovrastruttura sono storicamente variabili e in relazione con la struttura economica corrispondente. Ora, senza entrare nell'interpretazione delle due componenti seguiamo le indicazioni del sociologo Karl Popper che voleva che Marx ed Engels facessero dipendere la sovrastruttura dalla struttura. Il teatro, come Shakespeare diceva, è specchio del tempo e della società. E, riprendendo il termine specchio proprio nel suo significato cinque/seicentesco, dove ci si specchiava in metalli e piccolissimi pezzi di vetro per cui l'immagine veniva riprodotta esaltando e non nascondendo le sue difformità, il teatro dalle origini (tranne che nei periodi dittatoriali) fino a pochi decenni fa è sempre stato il riflesso del mondo, centrandone le difformità negli affascinanti riflessi delle miriadi di anime che sondava e scuoteva. Oggi il Teatro non è che il miserrimo riflesso dello specchio piatto che è la struttura del teatro, ovvero il suo sistema produttivo. E allora la domanda è: all'interno del sistema odierno è possibile che esistano spazi creativi? Il sistema odierno del teatro (leggi anche dell’ arte e della letteratura) fa capo alle produzioni, ai produttori: ai soldi, insomma. Come per qualunque altra attività. Sembra strano sentire che la parola "soldi" sia quella decisiva nel campo dell'arte, sembra una parola stonata, fuori luogo. Sembra una parola addirittura sacrilega: le nostre menti sono inclini a pensare che dove c'è l'arte, essa fiorisce. Dove ci sono anime belle che creano, esse creano. E invece l'arte fiorisce non dove c'è, ma dove può, dove c’è potere: il potere, sostantivo. E dove c'è potere oggi, se non dove ci sono capitali? Teatri stabili e teatri stabili nazionali, compagnie private, teatri di produzione, sperimentali e non che tuttavia esistono grazie al sostegno degli enti preposti all'erogazione del denaro pubblico: lo Stato, attraverso il Ministero, le Regioni e un'altra miriade di enti; i Comuni raramente, essendo dal punto di vista finanziario defunti. Tutte le provvidenze passano attraverso meccanismi politici e burocratici ad altissimo tasso clientelare. A questo proposito fece epoca uno storico servizio dell’Espresso negli anni ’70 che disegnò una precisa mappa (mai smentita) del cammino di ogni grossa provvidenza. Di ogni teatro stabile e ad ogni produttore e compagnia privata si denunciava il proprio “santo” e la loro appartenenza politica. Esempio: il teatro stabile Tal dei Tali riceve tot milioni perché in quota socialista, il teatro stabile Vattelapesca riceve tot milioni in quota comunista, il teatro Cicciottello riceve tot milioni perché in quota democristiana. La compagnia Tizio riceve tot milioni perché in quota dorotea, il produttore Caio riceve tot milione perché in quota andreottiana e così via attraverso una distribuzione scientifica di un sistema costruito nel tempo e mai, dico mai cambiato se non in peggio. Le provvidenze venivano capillarmente distribuite per migliaia di clientes, io stesso, sul piano locale, regionale, provinciale e comunale, ricordo da sempre di sovvenzioni arbitrarie e incomprensibili a soggetti di teatro che beccavano denari ognuno dal suo padrino e relativo funzionario pubblico. L’ombra del passato. Storicamente mi spiego con un esempio clamoroso: se il più grande regista e creatore di teatro mai esistito in Italia, Giorgio Strehler, non fosse stato nel comitato centrale socialista e non avesse avuto legami strettissimi con i suoi protettori politici di partito, non avrebbe potuto fare quello che ha fatto. Né lui, né il Piccolo di Milano. Ora, nel tempo, la qualità degli artisti si è abbassata fino a ben sotto la soglia della mediocrità. Come mai? Perché dai grandi artisti del periodo storico precedente (Strehler, Squarzina, Gassmann, Tino Carraro, Randone, Buazzelli, Franco Graziosi, Lavia, Lazzarini, Tieri, per citare solo dieci dei diecimila dei bravissimi che pure circolavano in questo sistema scientifico di corruttela di cui parlo) siamo passati ad un livello artistico inconsistente? Inesistente? O ancora peggio brutalmente mediocre? Questo è il quesito di fondo che vale per tutta la “sovrastruttura”. Parliamo di teatranti, ma potremmo estendere alla danza: dove sono i Bejart? Alla letteratura: dove sono i Moravia? Al cinema: dove sono i Fellini, i Monicelli, i Dino Risi? Alla pittura: dove sono i Guttuso? Alla musica: dove sono i Luciano Berio? Alla canzone: dove sono i De André? Dove sono anche solo le loro ombre? Non si tratta di passatismo, di nostalgia. Se avessero la possibilità ci sarebbero, oggi, tanti e di più artisti e anche migliori di quelli su citati, ma il sistema imperante è totalizzante e ne impedisce la nascita. E se nascono ne impedisce lo sviluppo, la vita. Si sono chiusi tutti gli spazi, tutte le porte, tutte le crepe pure esistenti nel vecchio sistema. Non ci sono più pesciolini che possano scappare dalla rete. E le sue maglie son sempre più strette, fino all’odierna cementificazione della rete. Insomma, quello che è interessante capire è che il nostro ciclo storico ha una sua legge dominante, dove la sua struttura economico-politica è sempre più scientificamente clientelare e capitalistica che schiaccia qualunque nascita che non sia da produzioni e finanziamenti arbitrari e ingiusti. Perché mai i beneficiari di questo sistema dovrebbero favorire gli artisti e non i suoi protetti, i suoi amici, gli amici degli amici? E come mai nei tempi andati pure nascevano talenti e così grandi talenti? Anche Strehler e Fellini erano sempre a caccia di soldi per le loro opere. Addirittura Fellini - il più grande regista di cinema della storia del cinema italiano e forse il più grande tout court è morto angosciato dal non essere riuscito a trovare soldi per fare "Il viaggio di G. Mastorna" il suo ultimo, ispiratissimo e desideratissimo film? Mentre si finanziavano privatamente e pubblicamente fiumi di film terribili di clientes tutti regolarmente lottizzati dai propri protettori? E già si intravedeva l'ombra del futuro. L’ombra del futuro. Ma probabilmente andando indietro nel tempo anche Michelangelo senza Giulio II non avrebbe potuto fare la Cappella Sistina. Ma allora se sempre la “sovrastruttura” e quindi anche l’arte sia dipesa dalla “struttura” ergo papi e ministri, e giù a scendere fino ai più piccoli funzionari e parroci (siano essi critici o santoni di cripta) tutti rigorosamente lottizzati e lobotomizzati del sistema e dai suoi tentacoli commerciali, perché mai proprio oggi assistiamo alla dipartita storica del talento? Perché prima non c’è stata? Si potrebbe rispondere con un facile pensiero che se il sistema non fosse stato quello che già era, invece di uno Strehler ne sarebbero nati dieci. In ogni caso pure è vero che uno Strehler è nato. Come è nato un Fellini. E oggi non potrebbe nascere. E non nascere più. Come mai? II - SU COME IL SISTEMA STORICO CLIENTELAR-POLITICO-ECONOMICO NON LASCIA COME IN PASSATO SPAZI DI FANTASIA. Gli artisti del passato sognavano mondi impossibili. Sapevano perfettamente che la loro esistenza dipendeva dal clientelar-politico- economico, ma quel loro interiore mondo di sogni fantastici dove la giustizia, l’uguaglianza e la libertà erano propellenti per la loro fantasia. Per trent’anni gli artisti hanno sognato sempre con più difficoltà. Perché il sistema chiudeva sempre più gli spazi di nutrizione dei sogni: i libri decuplicavano i prezzi, i teatri decuplicavano il costo del biglietto, le scuole decuplicano i costi, i fitti salivano, le paghe degli attori diventavano niente. Il teatro, Cenerentola della cultura, e i suoi artisti avevano le armi spuntate di fronte ad un sistema Lievitano simile. Sappiamo tutti che la forbice tra gli uomini ricchi e potenti e i poveri e gli "impotenti" si è enormemente allargata. Tutti siamo stati complici di un impoverimento culturale che certo non ha arricchito la mente di chi doveva esercitarla alla creazione — operazione costosa oltre che impegnativa più di una laurea in medicina — che è costantemente impegnato a sopravvivere accettando compromessi e sfruttamenti inimmaginabili. E quindi fare l'artista ergo lotta strenua per la sopravvivenza. E nessuno ha più sognato. L’asfissia culturale, la repressione creativa, la mortificazione esistenziale provocava una selezione della razza: i volponi delle clientele e i corsari dei partiti ne hanno approfittato. Afflitti da una costituzionale insipienza ma dotati di furbismo acuto hanno stretto tra di loro rapporti familistici, famelici, in un tourbillon di sfacciate investiture di partito e di potenti. Nessuno è scampato al macello: i partitini di centro—sinistra hanno fatto ancor peggio del vecchio dominus del settore culturale ovvero il partito client—comunista e hanno partorito gente inqualificabile. Per non parlare dei figliocci dei partitini di centro o di destra o dei berlusca—boys. Questi signori arraffano di tutto, direzione di teatri e contemporaneamente sfornano regie. Si pensi che per dirigere un teatro, soprattutto un teatro stabile, addirittura nazionale, è un impegno gravoso, difficile e che prende tanto tempo. Ma loro no, fanno regie a ripetizione nei loro teatri e invece di dormire dirigono rassegne e festival dove naturalmente non fanno mancare altre loro regie. Peccato che mangino e debbano frequentare i loro protettori politici se no farebbero anche le mascherine. Degli attori, a catena, cosa volete che possa capitare, se non un malinconico adattarsi a elemosinare benevolenze e nel migliore dei casi ricevere sfruttamenti con debite umilianti paghe? Ecco allora che in una città di milioni di abitanti con migliaia di attori alle riunione sindacali si va in sette persone anziane. Ecco che invece di cinque, sei, dieci persone ne lavora solo uno. Per non parlare della scandalosa paga dei primi attori che prendono dieci, venti fino a cento volte di più degli altri attori. Primi attori che fanno anche film, fiction, festival internazionali, dell'abito da sposa e sagra della polpetta. In ogni caso è ovvio che un produttore preferisca il “famoso” ciuccio al bravo sconosciuto. Ma chi diavolo ha detto che quel produttore debba esistere? E guadagnare e produrre dieci, venti, cento volte di più del piccolo produttore? Mi si dirà che è la legge del mercato. È la legge del mercato che impone alla televisione programmi da subumani. È la legge del mercato che impone libri terrificanti. È la legge del mercato che impone qualunque cosa. Non è più tempo che la società teatrale (ma ne sono certo tutta l'arte) possa sopportare la legge del mercato. Non ci sono presupposti di resistenza culturale. Allora è tempo che la struttura sia rivoluzionata, che il tessuto economico produttivo diventi realmente produttivo e non schiavo delle solite forze capital-politico-clientelari, e quindi non produttivo ma parassitario. Dato che quindi questo sistema è imperante, e dubitando fortemente che il nostro orizzonte politico vada in direzione di una rivoluzione, che fare? Non è più tempo che la società teatrale (ma ne sono certo tutta l'arte) possa sopportare la legge del mercato. Non ci sono presupposti di resistenza culturale. Allora è tempo che la struttura sia rivoluzionata, che il tessuto economico produttivo diventi realmente produttivo e non schiavo delle solite forze capital-politico-clientelari, e quindi non produttivo ma parassitario. Dato che quindi questo sistema è imperante, e dubitando fortemente che il nostro orizzonte politico vada in direzione di una rivoluzione, che fare? Un esempio sociologicamente "scientifico". È statisticamente assodato che oggi in industria un manager guadagni cento volte di più di un operaio, identico fenomeno in teatro. Ma a differenza dell'operaio in teatro spesso l'attore non ha nessuna garanzia né contrattuale né sindacale. È di questi ultimi giorni la statistica realizzata da La Fondazione Di Vittorio in Vita da artisti, una “ricerca nazionale sulle condizioni di vita e di lavoro dei professionisti dello spettacolo”, realizzata per la SLC-CGL. Questa statistica ha scientificamente fatto venir fuori una situazione abnorme, paradossale, infame sul lavoro degli artisti in Italia. Gli artisti che hanno lavorato nel 2015 sono 136.571. Gli attori sono più della metà e hanno lavorato per 14 giornate lavorative l’anno per 5000 euro di guadagno in un anno. Essendo questa la media e dato che gli attori famosi (gli Italiani sono i più pagati d'Europa) guadagnano minimo quanto 15 attori messi insieme, quanto rimane agli altri? Dubitando che il “sistema” cambi strada, anche se solo verso una moderata società socialdemocratica di stampo nordeuropeo (ma vi siete mai chiesti perché in Germania, in Olanda, in Norvegia, in Svezia tutto il sistema artistico ha retto così bene in questi tempi difficili se non per il fatto che godono ancora dei frutti di quella social- democrazia dove la "struttura" e relativi mezzi di produzione ha reso possibile la sopravvivenza decente di arte e teatro?) ci chiederemo ora come possa il teatro sopravvivere. Certo, miracolosamente sono rimaste sacche di resistenza creativa dove qualche artista, impossibilitato a mettersi in quel gioco infernale del teatro, le prova tutte ma in media le sue opere hanno il fiato corto, tre repliche, sei repliche, una mostra, una mostra e mezzo e poi finisce. Non potendo produrre nulla, allora non rimane che auspicare che il fondamentalismo capitalistico sia abbandonato, destrutturato, sconvolto (“visto che tutti i posti erano occupati, ci sedemmo dalla parte del torto” disse Bertolt Brecht) per far sì che le forze dell’arte possano rinascere. Il modo di resistere, di non morire per gli artisti c’è. Ma questo sarà il tema della mia prossima lettera aperta n° 2 al ministro della cultura. Post scriptum: quanto scritto è stato concepito prima che scoppiasse la pandemia da Corona virus. Questa ha provocato l’esaltazione del “grande meccanismo” di cui sopra. Sono venute alla luce con maggior forza di sempre tutte le antinomie, le ingiustizie, le assurdità di cui ho parlato; e da più parti si dichiara: «Il sistema era già malato, morente!». Appunto.
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