di Verdiana Perrotta Tomaso Montanari, storico dell’arte e docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università Federico II di Napoli, è da sempre impegnato nella riappropriazione del sapere critico della storia dell’arte, irretita ormai da diversi anni nell’industria dell’intrattenimento culturale e vittima e strumento dei media e della politica. In sole 150 pagine affronta uno dei dibattiti contemporanei più accesi sul bene comune, rispondendo alle domande più frequenti e preoccupandosi, ancor prima d’intervenire con il proprio personale parere, d’informare il pubblico sul perché della sua presa di posizione. Passando in rassegna tutti gli interventi politici in materia di Beni Culturali degli ultimi vent’anni, l’Autore dimostra come la privatizzazione crescente degli utili abbia prodotto una progressiva perdita di coscienza collettiva. In poche pagine riesce ad enumerare una lunga serie di catastrofiche scelte politiche nel campo della gestione del patrimonio culturale, che hanno prosciugato la ricchezza italiana anziché valorizzarla. Un patrimonio di cui ogni ministro della Cultura, succedutosi negli anni, avrebbe dovuto invece farsi vanto. L’autore insiste sui pericoli cui è esposto il patrimonio storico-artistico del nostro Paese, descritto da molti come il ‘petrolio italiano’, soggetto alle mille e ingannevoli attenzioni di un mercato che, dietro il paravento della ‘valorizzazione’, rischia piuttosto di consumarlo proprio come se fosse un giacimento di petrolio. Al contrario, proprio perché patrimonio di tutti e bene comune, esso dovrebbe essere conservato e tutelato come strumento di aggregazione dei cittadini e del territorio, oltre che come fonte di conoscenza e crescita per ogni singolo cittadino e ne spiega il perché: non conviene distruggere il governo pubblico dei beni culturali, basato sul sistema delle Soprintendenze, perché ha il fine costituzionale di rendere ogni cittadino più libero. Sin dalla premessa al saggio, lo storico dell’arte ribadisce che la sottomissione del patrimonio culturale al “dio denaro” mina i diritti fondamentali della persona, producendo spettatori e clienti piuttosto che cittadini. Secondo Montanari è proprio la Costituzione il metro con cui è possibile misurare le sedicenti verità sui privati e, ribadendo l’art. 9, invita il cittadino a riappropriarsi del patrimonio culturale che gli appartiene per Legge: bisogna far rimanere, o far tornare, il patrimonio un luogo “terzo”, libero dal mercato e dunque indifferentemente percorribile da cittadini di ogni livello sociale. La Costituzione ha reso il patrimonio storico e artistico un luogo d’incontro libero e a favore della conoscenza, e va mantenuto tale affinché resti una risorsa di molti e per molti. Essendo un utile del cittadino, va sfatato il dogma della privatizzazione, onde evitare di incappare nel metodo “ Fontana di Trevi” , nella quale ogni cittadino riesce a ricomprare dai privati ciò che era già suo. Lo Stato che affida il patrimonio culturale cittadino ai privati appare sempre meno capace di una reale tutela sia del cittadino che del patrimonio stesso. Il patrimonio storico-artistico è di tutti ed è importante che ve ne sia piena consapevolezza. Altrettanto importante sarà acquisire maggiore conoscenza dei rischi corsi fino ad ora in seguito a decisioni politiche sbagliate, di cui l’Autore fornisce un lungo elenco al quale affianca proposte, esempi e modelli di cambiamento. Montanari ricorda che in gioco non vi è soltanto la conservazione del patrimonio (che in ogni caso potrebbe essere garantita dai privati solo per una minuscola percentuale di monumenti-feticcio): in gioco vi sono valori come la libertà, la giustizia, l’uguaglianza. La storia ci insegna che i vantaggi del privato e i doni del mecenatismo sono paragonabili al cavallo di Troia: una volta introdotti possono espugnare la città. Le sue conclusioni sono chiare: «se vogliamo costruire un futuro che meriti di essere vissuto, non possiamo sperare che i privati facciano l’interesse del pubblico, e far finta di non vedere quando è evidente che avviene il contrario: dobbiamo ricordare che lo Stato siamo noi. E agire di conseguenza» (p. 167). Montanari, insiste sulla “religione del mercato” che, ritiene, sta imponendo al patrimonio culturale il dogma della privatizzazione e suggerisce l’unica possibile alternativa: rendere lo Stato efficiente e soprattutto giusto. I dubbi restano e la domanda sorge spontanea: mentre proviamo a costruire uno Stato più efficiente e soprattutto giusto…, chi penserà a tutelare, a gestire ed a rigenerare l’immenso patrimonio storico-artistico italiano, sempre più a rischio di deterioramento?
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