di Lucia Krasovec-Lucas La Città deve essere ancora il luogo di riparo, confronto, crescita e opportunità per tutti gli esseri umani. La Città, come laboratorio per la (ri)generazione umana, dovrà riattivare le fabbriche di reti tra individui, istituzioni, ambiente e sistemi, con cui sperimentare gli esercizi di fiducia necessari a combattere l'atrofia dell'immaginazione. La città dovrà rispondere al cambiamento con processi innovativi e capaci di curare e coltivare la città, che è fatta di quella fisicità costruita originariamente per accogliere la comunità: il focus su cui dovremo insistere per una reale ripresa sono, innanzitutto, le persone e lo spazio in cui hanno scelto di vivere. Questo primo libro della nuova collana La Città Agile, offre una narrazione a più voci del rapporto che abbiamo con la città, luogo delle relazioni per eccellenza. È evidente che nell’ultimo anno, con le ripercussioni sociali determinate dalla situazione pandemica, la città in particolare ha sollecitato molte riflessioni sugli aspetti che riguardano le disparità, di genere e non solo, e sulla necessità di ritrovare un equilibrio sostanziale nell'individuare quelle dinamiche che ci possano condurre alla costruzione un futuro possibile attraverso quell'innovazione che conserva la scala umana. Il presupposto innovativo di questa raccolta di scritti, come illustra la curatrice Rossella Poce, sta nell'enucleare sia lo stato sociale della donna nel suo vissuto quotidiano sia il rapporto che dovremo intessere con la costruzione di una città che possa garantire il benessere collettivo ai cittadini di oggi e a quelli che verranno. Gli autori, le cui ricerche spaziano trasversalmente dall’architettura alla filosofia, dalle scienze alla sociologia, dall’economia alla medicina di genere, dalla comunicazione alle sostenibilità, raccontano polifonicamente gli scenari delle nostre vite in una comunità che dovrà reinventare le sue regole anche mediante un’educazione civica e sentimentale in grado di restituire un’immagine caleidoscopica di opportunità e diritti. "La Scienza o meglio dire la Conoscenza è stata il collante principale dell'Europa" scrive Lucia Votano, poiché "portatrice di valori morali e sociali universali" e quindi dovrebbe venir assunta come condizione a garanzia del superamento delle disuguaglianze sociali ed economiche, come imprescindibile patto tra generazioni. E lo sguardo femminile, che sembra ancora relegato ai margini di una effettiva partecipazione allo sviluppo, è fondamentale nella scrittura di una nuova equazione di quel progresso sostenibile che dovrà necessariamente porre le sue basi sull'equità intra e inter generazionale che, come scrivono Gian Paolo Cesaretti e Immacolata Viola, trova origine nelle decisioni prese oggi che influenzeranno in assoluto le dimensioni e la disponibilità delle scorte future di capitale economico, ambientale, umano e sociale. Aldo Cazzullo sottolinea la necessità di dare dignità al lavoro, che equivale a "dare dignità all'essere umano che deve tornare ad essere solidale, a parlare con l'altro, ad amare, a fare insomma la propria parte per un'Italia migliore": aspetti e sentimenti che non sono in contraddizione con l'avvio di una urgente alfabetizzazione finanziaria che per quanto riguarda le donne, maggiormente penalizzate come evidenzia Daniele Previati, deve prendere forma già nella prima età. Fulvia Signani, Liuva Capezzani, Fabrizia Abbate, Flavia Franconi e Lucia Marchegiani tracciano da diversi punti di vista la complessità delle Comunità sostenibili, il cui benessere si fonda sulla cura intesa anche come salute di genere, e sul diritto a vivere gli spazi pubblici senza disparità o paura: è proprio nello spazio pubblico che la città si rappresenta, con tutti i suoi conflitti, e nonostante ci sia un dibattito su questi temi da più di cinquant'anni, che ha portato a ricerche con risultati di grande portata, oggi ci ritroviamo ancora incerti su come agire e come radicare quella inclusività che sta nella reciprocità e nella collaborazione, sintomi di libertà. La dimensione delle relazioni e degli scambi favorisce la crescita culturale ed economica delle città e dei suoi abitanti, in cui Alessandro Ceci colloca quelle possibili utopie coltivate dalle speranze che danno forma a progetti di bellezza. Stare insieme sottende il ricominciare a pensare cosa significa veramente essere umani in una società che ha perso di vista le questioni basilari della convivenza cosciente, il sapere, il rispetto, la cura e il lavoro: sono questi gli indicatori da cui potranno scaturire tutti gli altri effetti che sono sostanza e presupposto nella costruzione continua della Comunità e dei luoghi in cui abitare. La rigenerazione dei luoghi non avviene (solo) attraverso il riempire fisicamente i vuoti a perdere bensì con la capacità di ristabilire le relazioni umane, quale presupposto per scatenare un sentimento di empatia tale da farci attivare azioni all’interno di un’equazione per cui Economia e Cultura fanno rima con Ecologia e Bellezza. La Città è quel luogo in cui potremo quindi esprimere una nuova civiltà di convivenza, perché ne abbiamo un assoluto bisogno e "perché le città del futuro devono essere città belle, che declinano nuove modalità inclusive di stare al mondo per portare il “green deal” nei nostri luoghi della vita”, scrive Teresa Boccia nella prefazione. Anche la città, come certi tronchi, è antica e solcata dai segni della resistenza a tutti gli attacchi umani. Dall'Antropocene all'Algoretica, il punto di di partenza e di arrivo è sempre l'essere umani, e ciò deve guidarci in tutte le fasi decisionali che determineranno il nostro futuro: oggi abbiamo l'opportunità di sperimentare il grado zero, che presuppone ritrovare la capacità di immaginare con entusiasmo un mondo che ci piace. Possiamo formulare terapie in cui si insinua la poetica del coraggio e della fiducia che potrà produrre la tensione dell’altrove come sforzo collettivo di ricucire cose apparentemente inconciliabili, nella consapevolezza che, se la perfezione è impossibile, tracce e cicatrici del nostro cercare produrranno bellezza. Oltre le pandemie, i paesaggi ci guardano: sono la sintesi imperfetta del nostro operare.
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