di Rossella Del Prete Si è concluso, lo scorso 15 gennaio, l’anno di Procida Capitale Italiana della Cultura. È stato un anno intenso, attraversato da tanti progetti nel segno di uno slogan divenuto virale, "La cultura non isola", e accompagnato da un flusso costante di persone, "cittadini temporanei" più che "turisti". Nel corso di questo anno così ricco di progettualità, di ospitalità e di visibilità, sembra si sia compiuta una profezia, che la storia più volte ha provato a indagare e a rievocare, con cui un piccolo borgo, quello dell'isola più piccola del glorioso golfo di Napoli, si è trasformato nel centro nevralgico di relazioni nazionali e internazionali volte ad esaltare la co-creazione e la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale dell'isola. Lo avevano già intuito gli Autori di questo libro, edito da Nutrimenti, che sin dalle prime battute dichiarano: “A Procida l’orizzonte mare non è delimitato dalla linea del tramonto. Va ben oltre, nei tempi e negli spazi”. E così è stato nei secoli, ma anche in questo ultimo anno: un’isola di soli quattro chilometri quadrati, con una delle più alte densità nel Mediterraneo, ha costruito ponti e traiettorie che hanno superato quella linea dell’orizzonte nota ai più, creando nuove e inimmaginabili connessioni, generando e rigenerando proiezioni d’oltremare che la posero al centro del mondo nel passato e che oggi, in nome della “cultura che non isola” l’hanno riposta al centro dell’attenzione globale. Questo libro era davvero necessario, per rileggere, con lo sguardo della conoscenza e della consapevolezza, ciò che il clamore mediatico si accingeva a trasmettere in nome della valorizzazione del patrimonio culturale di Procida. Raffaella Salvemini, storica economica, dirigente di Ricerca del Cnr presso l’Istituto di Studi sul Mediterraneo di Napoli, e Claudio Fogu, storico della cultura e del pensiero moderno, ordinario di Italian Studies all’Università di Santa Barbara in California, supportati dalle scelte iconografiche fatte dalla fotografa Donatella Pandolfi, accompagnano il lettore di questo libricino, maneggevole e dunque facile da portare anche con sé, come una guida turistica, in un percorso ‘a piedi’, per i luoghi, le stradine e le spiagge dell’isola per raccontare loro una storia lunghissima, che parte dall’epoca micenea, che in epoca moderna vedrà crescere i suoi orizzonti marittimi - della pesca, del commercio e della cantieristica, dell’istruzione marinara -, fino a raggiungere quello della navigazione intercontinentale degli ultimi due secoli. Dall’orizzonte terra all’orizzonte mare, la storia di Procida viene raccontata con una mission ben precisa: evitare di presentare l’isola Capitale della Cultura, improvvisamente diventata destinazione turistica di grande attrazione, come una “mera cittadina galleggiante”, ma svelarla ai suoi visitatori, e perché no, ai suoi stessi abitanti, nella sua essenza più vera e identitaria, in un viaggio che si snoda tra l’immaginario e il tangibile, come solo la ricerca storica sa fare, ricostruendo la vita marinara dell’isola attraverso i “suoi segni di terra […] scolpiti nelle sue rocce, nella sua architettura, nella sua arte e nella sua toponomastica”. Una raccolta di saggi che, nel ‘rumore’ che ha accompagnato la Capitale della cultura 2022, risponde a un’esigenza scientifica e necessaria, invitando a fare chiarezza sullo storytelling costruito dal marketing turistico, a guardare con occhi diversi e più attenti l’isola e la sua gente, rievocando luoghi, tradizioni, lavori, persone, risorse. La prospettiva, o meglio le prospettive, che questo libro apre sono molteplici e tutte di grande suggestione. Intanto il libro, scientifico nei contenuti e coinvolgente nel suo impianto grafico da guida turistica, ha un andamento spaziale che, oltre ad allargare, moltiplicandolo, l’orizzonte mare, dilata l’isola oltre sé stessa. L’idea di fondo, spiegata dai curatori in apertura, è stata quella di invertire la prospettiva del portolano così da partire da un percorso terrestre, dai luoghi e dalla toponomastica dell’isola, per rivolgere poi lo sguardo verso l’orizzonte del mare e della storia. A ciascuno dei sette Autori invitati a contribuire al volume (anche loro, come i curatori, procidani di nascita o di adozione), è stato chiesto di partire da uno o più luoghi dell’oggi per raccontare ciò che erano ieri e l’altro ieri. Otto sono i capitoli in cui il percorso storico si snoda, in una struttura che possiamo definire corale: dopo l’Orizzonte terra, descritto da Vincenzo Morra e Nicola Scotto di Carlo, si passa da “La ricchezza nel mare”, di Francesca Borgogna a “La ricchezza dal mare” e a “L’arte di navigare”, entrambi scritti a quattro mani da due esperte di storia marinara, Raffaella Salvemini e Maria Sirago, poi a “Navigare sicuri”, di Paola Avallone, esperta di storia delle assicurazioni, infine ai tre saggi che descrivono la gente e quell’idea di identità che nasce dal vivere circondati dall’orizzonte mare: “Donne e mare”, di Paola Avallone, Claudio Fogu e Raffaella Salvemini, “Gente che viene”, di Pasquale Bruno Tizio e “Gente che va”, di Claudio Fogu, Rosario Lentini e Raffaella Salvemini. Il primo saggio suggerisce alcune posizioni di terra da cui osservare l’isola: i Campi Flegrei, il Monte di Procida, l’isolotto di Vivara, i fondali della Procida sommersa, “un patrimonio naturalistico ricco di biodiversità, in cui la dirompente bellezza e l’incalzante armonia che si riflette in ogni ‘presenza’ paiono voler comporre la sinfonia più bella” (p. 22). Con il saggio “La ricchezza nel mare”, l’Autrice, partendo dalle rigogliose parule della Chiaiolella (terreni coltivati a ortaggi), risale lungo la strada che dalla Chaiolella porta a Solchiaro e, nel primo tratto, rievoca il ricordo di “una piccola baia abitata da pescatori, abbracciata da un fertile e rigoglioso retroterra contadino”. E che fascinosa la figura di Turiello che, pur abitando in campagna, viveva il mare come il suo “territorio liquido”. Ma la vita di mare è faticosa e non dà tregua. La pesca ha contribuito, negli anni, a forgiare carattere e abitudini dei procidani, portandoli spesso in altri lidi. Accadde così per il gruppo di corallari che, partiti dalla baia della mitica Corricella, giunsero sulle coste algerine di Orano e dintorni e lì trasferirono la loro vita. Storie di migranti impresse sul grande muro realizzato alla Corricella, mentre, a Mers-el-Kébir, in Algeria, un’antica comunità di procidani ancora oggi conserva tradizioni, cultura e fede in San Michele patrono dell’isola. Dal mare e soprattutto dalla navigazione, ancora oggi proviene la ricchezza di un’isola piccolissima, ma densamente popolata, del Mediterraneo. La storia marinara ricostruita nel volume dalle tre storiche economiche (Salvemini, Sirago, Avallone) racconta della capacità di Procida d’imporsi, sin dal Settecento, nel panorama della marineria nazionale e internazionale con positive ripercussioni sulla sua stessa ricchezza. Percorrendo via Marcello Scotti e via Bernardo Scotti Galletta il pensiero va a due protagonisti della storia marittima dell’isola. In tempi diversi, il primo alla fine del Settecento e il secondo alla metà dell’Ottocento, entrambi si occuparono della formazione della gente di mare, contribuendo a quel piano dell’istruzione pubblica tecnico-nautica che si prefiggeva di formare, istruire e avviare a un mestiere la popolazione delle città di mare e, al tempo stesso, di contribuire al miglioramento delle tecniche di navigazione, di costruzione e realizzazione di carte nautiche. La Scuola Comunale di Nautica nacque a Procida nella primavera del 1833. In quegli anni, numerosi erano gli armatori e i padroni di bastimenti e particolarmente intensi erano i traffici di cabotaggio dei Borbone e dei mercanti per il trasporto di grano e ferro dalla Crimea, legna e carboni dalla costa laziale e tanto altro. Fu così che l’isola si trasformò in un cantiere diffuso e la marineria procidana visse la sua età dell’oro, sviluppando anche un sistema di assicurazioni sempre più indispensabile a fronteggiare i rischi della navigazione: i procidani proprietari di legni capirono che non bastavano più le preghiere e la devozione al Patrono e cominciarono a investire sulle società di assicurazioni. Il mare e la navigazione hanno costituito per l’isola e i suoi abitanti una grande opportunità. La presenza sull’isola di armatori, costruttori, assicuratori, ma anche di pescatori e altri gruppi professionali dimostrano il valore di un impegno produttivo legato al mare e all’arte di navigare e, ancora oggi, l’esperienza e la professionalità acquisita, e migliorata nel corso dei secoli, è alla base della formazione degli equipaggi che dal Ventesimo secolo alimenteranno ogni tipo di nave, dalle petroliere alle navi della Flotta Lauro, fino alle cargo e alle più moderne navi da crociera. Ma l’economia del mare, lo abbiamo detto, pur essendo redditizia, almeno nelle sue forme produttive di grandi dimensioni, è caratterizzata da costanti che oggi la rendono meno attrattiva per i giovani procidani: l’assenza, l’attesa, la distanza da casa. Forse è per questo che la ‘gente di mar È che abita l’isola sia oggi più attratta dalla terra e dalle attività che questa riesce ad offrire: l’agricoltura, ma anche il turismo che unisce il mare alla cultura. Gli ultimi saggi sono dedicati alla gente: le ‘donne di mare', la “gente che viene” e la “gente che va”. Si è sempre detto che Procida fosse un’isola matriarcale, ma sebbene le tracce di una significativa presenza femminile sull’isola siano tante, la toponomastica dell’isola sembra ignorarle. Le parole di Marcello Eusebio Scotti, un prelato procidano divenuto poi uno dei martiri della Repubblica Napoletana del 1799 e autore del famoso Catechismo Nautico (1788), tracciano il profilo delle donne di mare, alle quali “nelle città marittime, dove i mariti dovendo occuparsi della navigazione e del traffico di mare, erano assenti dalla patria e dalla casa […], toccava non solo la cura domestica ma anche la gestione degli affari” (p.92). Per tali ragioni il saggio prelato invitava i procidani “a far crescere, insieme con l’industria e con lo zelo di acquistare le cose rare e preziose dall’estero”, l’educazione di “donne forti” di cui l’isola doveva andar fiera. Tra di loro si ricordano la leggendaria Graziella, la corallara, Rosina, il genio della matematica, o le quattro imprenditrici del mare riportate negli elenchi della marineria del golfo di Napoli (1833-1834): Donna Lucia Cacciuottolo, Maria Pascasio, Maria Cacciuottolo e Margherita Assante, proprietarie di legni, brigantini e feluche. A loro si aggiunge la moglie ventenne del capitano Domenico Scotto di Santillo, Maria Luisa Ambrosino, costretta a prendere le redini della nave e degli affari del marito morto prematuramente. Ma alcune procidane, spesso nubili o vedove, furono impegnate anche nella Società anonima di Assicurazioni “la Marina” di Procida. Su 47 soci, quattro erano donne. Una di loro, Speranza Massa, fu coinvolta nell’attività economica del marito, molto prima che questi morisse. Nel suo caso, non fu la condizione di vedovanza ad offrirle la possibilità di mostrare le sue capacità gestionali e affaristiche. Il suo spiccato fiuto per gli affari fu riconosciuto pubblicamente da suo marito in un atto notarile in cui si stabiliva che “il bastimento che si stava costruendo […] per metà doveva essere intestato alla moglie” e che la gestione dello stesso, una volta varato, sarebbe spettata esclusivamente alla moglie “per la conosciuta di costei solerzia, esattezza e discernimento” (p. 98.). Alla metà dell’Ottocento la presenza di paranze dei comuni marittimi dell’Adriatico nelle acque napoletane si fece sempre più frequente. Tra i pescatori pugliesi, esperti nella pesca a strascico, e i grossisti del golfo di Napoli, si instaurò un rapporto contrattuale molto stretto e, dopo decenni di presenza di paranze e paranzelli pugliesi nelle acque partenopee, una comunità di pescatori padroni di paranzelli si diresse verso Procida e Gaeta. Molti di essi, seguiti dalle loro famiglie scelsero di stabilirsi nell’isola di Procida, integrandosi con la popolazione autoctona. Tante le storie di emigrazione, oggi sintetizzate dal muraglione della Corricella. Tranne che nel caso di Palermo, dove si stabilirono temporaneamente circa 4000 procidani, espulsi dal governo francese perché filoborbonici, le destinazioni del passato furono quelle usuali dell’emigrazione italiana: la prima grande ondata (1870-1880) vide il flusso migratorio dirigersi verso il triangolo industriale italiano; vi fu poi il trasferimento di personale qualificato a Suez dopo l’apertura del Canale, nel 1869. La Compagnia del Canale di Suez, gestita dai francesi, era divisa in quattro grandi dipartimenti (navigazione, manutenzione, edilizia e amministrazione). Quello di navigazione era molto esclusivo e richiedeva piloti altamente qualificati provenienti da diversi paesi. Tra i procidani emigrati a Suez ve ne furono diversi che si distinsero per capacità e ruoli di prestigio. Uno dei piloti diventò agente consolare a Ismailia. Ma tante altre sono le storie e i protagonisti che è possibile conoscere e incontrare a Procida leggendo questo volumetto. Un libro davvero gradevole, questo su Procida, orizzonte mare, in cui la storia, quella ricostruita con rigore e metodo scientifico, diventa uno storytelling di qualità, fedele alla verità e all’identità, profondo, perché ha scavato tra le antiche carte e i ricordi di chi quella vita l’ha vissuta, ma anche perché ha scovato le tracce tangibili di un vissuto ultra millenario che potranno essere scorte soltanto se guidati nello sguardo, lungo strade, stradine, baie e insenature, rocce e architetture, antiche carte e nomi…. Il registro letterario utilizzato dal volume, soprattutto in alcuni passaggi, è particolarmente curato, delicato, poetico. Il corredo iconografico del volume è di grande impatto e accosta foto d’epoche a disegni e a foto più moderne in un armonioso racconto visivo. È evidente sin dalle prime battute di questo insolito baedeker che si tratti di un libro scritto con il sapere, la consapevolezza della sua urgenza, l’amicizia tra gli Autori e l’amore per un’isola che non isola. Comments are closed.
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