di Marta Lombardi «Irene è la città che si vede a sporgersi dal ciglio dell’altipiano nell’ora che le luci s’accendono e per l’aria limpida si distingue lassù in fondo la rosa dell’abitato: dove è più densa di finestre, dove si dirada in viottoli appena illuminati, dove ammassa ombre di giardini, dove innalza torri con i fuochi di segnali; e se la sera è brumosa uno sfumato chiarore si gonfia come una spugna lattiginosa ai piedi dei calanchi. Quelli che guardano di lassù fanno congetture su quanto stia accadendo nella città, […] Irene calamita sguardi e pensieri, […] è un nome di città da lontano, e se ci si avvicina cambia».[1] Morcone, con la sua cascata di tetti, si palesa alla vista del viaggiatore come quando, sfogliando le pagine de “Le città invisibili”, il lettore s’imbatte con meraviglia in racconti immaginari e fantastici, geografie di memorie, desideri e luoghi impossibili. Aggrappato al fianco della montagna, il paese cattura lo sguardo verso una discesa verticale di case, finestre, terrazze e giardini, senza svelare la fitta rete di strade, vicoli piazze e fontane che si rivela solo una volta all’interno. Visione inattesa, compare all’improvviso lungo il tragitto di chi percorre la Statale Sannitica 87, il cui tracciato orginario nasceva a Napoli per collegare le due estremità di questa porzione dell’Italia centrale, la costa tirrenica con quella adriatica, fino a Termoli. Dal crinale, sormonta la valle pianeggiante che si apre alle sue pendici, quasi un paladino erto a custodia di un paesaggio dolce e mutevole, arroccato saldo da tempi lunghissimi, ma quasi onirico, risultato di un sogno misurato che può svanire anche distraendosi appena, distogliendo lo sguardo. E scompare, continuando il cammino, dietro un paio di curve, lasciando al viandante la curiosità di addentrarsi in quella distesa di facciate, per raggiungerne la vetta. «Situata al dorso di una collina sassosa, l’ultimo pendio della catena del Matese, verso sud, guarda l’oriente; ed è in questa direzione, estesa, svariata, sorridente n’è la veduta, bello e prolungato l’orizzonte»: così è raccontato infatti Morcone ne “Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato,” il cui primo fascicolo viene dato alle stampe a Napoli da Filippo Cirelli nel 1853, nell’ambito di un progetto editoriale più ampio che mirava attraverso saggi monografici a divulgare conoscenza scientifica su «tutt’i Comuni fin al più piccolo villaggio del Regno».[2] «L’Appennino - d’altronde - è luogo dell’ascesa», scrive Raffele Nigro, «erte dove gli occhi sono portati a guardare verso l’alto e dove la fatica dell’altura da scalare impedisce la parola e favorisce il pensiero». [3] La dorsale appenninica è ricca di nuclei abitati dalla conformazione urbanisitica tipica, legati a doppio filo al contesto paesaggistico che li ha generati: la cosiddetta Italia minore rappresenta il 69,85% dei comuni italiani e conta 5.521 comuni con un numero di abitanti inferiore ai cinquemila, distribuiti in larga misura lungo le catene montuose. «Diversa trovo anche la conformazione dei centri urbani - continua Nigro - arrampicati su colline e montarozzi nell’Appennino, con stradine serpeggianti, con vallate che separano i colli e i paesi,questi paesi generalmente piccolo e organizzati intorno a un campanile, sistemati in senso circoalre introno ad un castello o a una piazza che occupa la parte più alta del posto e avvolta in grappoli di casa con tetti spioventi, con coppi e tegole curve».[4] E così ci si presenta Morcone, un racconto calviniano immaginario di un paese fantastico e allo stesso tempo un luogo fisico, un corpo di muri, case e palazzi, vibrante e silenzioso. Cenni storici, un breve inquadramento Situato nella Valle del Tammaro a una quota di circa 680 mt. s.l.m., il Comune di Morcone si sviluppa nella parte più antica con una conformazione a terrazze, ma si estende per estensione di ben 101 kmq. Sono incerte le origini del nucleo storico che si pensa sia riconducibile alle due antiche città di Murganzia e Mucro del Sannio Pentro. L’ipotesi più accreditata è che esso debba il nome proprio alla caratteristica posizione geografica: l’antica Mucre, il cui significato equivale alla parola punta, diventò Mucrone e oggi Morcone. Il sito medioevale era circondato da una cinta muraria con sei porte che regolavano l’accesso della popolazione del tempo: oggi le mura sono state distrutte e delle sei porte l’unica visibile è la Porta San Marco. Nei documenti di massima attendibilità il primo riferimento a Morcone è del 776, proprio quando era gastaldato longobardo. In un passo tratto da “I Comuni della Provincia di Benevento”, edito nel 1907, da Alfonso Meomartini si legge: «Morcone fu senza dubbio una terra abitata dai tempi remotissimi […] Svolgendo le pagine di storici e di cronisti o di documenti di ogni specie, nessuna notizia si rinviene su questo Comune anteriore all’epoca longobarda […] Se quieta o torbida fosse stata la vita di Morcone durante l’invasione franca e quella greca, non sappiamo […] Nella vita e leggenda di San Leone Papa è detta “Città”». Insediamento sannitico, Morcone fu sede vescovile dal 1058 al 1122 e Arcipretura nullius, come riporta anche la pergamena conservata in Santa Maria de Stampatis. Nel 1381, la regina Margherita di Durazzo, moglie di Carlo II di Durazzo re di Napoli, soggiornò nel castello insieme ai figli Giovanna e Ladislao: è in questo periodo che il paese diventa caposaldo difensivo durante la guerra tra la casa Durazzo e la dinastia degli Angioini. La costruzione del castello, i cui ruderi ancora sono visibili sulla sommità del monte Mucre, risale al secolo VIII o poco più tardi: eretto sul sedime di mura megalitiche osco-sannitiche, considerate ciclopiche o pelagiche, ne restano oggi le mura pericolanti e la sola porta d’ingresso “rassomiglianti le membra di gigante svenato”.[5] A sud-est del castello esistono le mura dell’ormai ricostruita chiesa del Santissimo Salvatore, la più antica di Morcone, avanzo dell’antica cattedrale e sede privilegiata del Vescovo cittadino. Nei secoli successivi, il feudo morconese passò spesso di mano a causa dei giochi di potere e delle regole dei potenti. Dai Gaetani, che avevano ricevuto il titolo di Conti di Morcone dagli Aragonesi, passò ai Colonna. Nel 1554 il feudo fu portato in dote a Scipione Carafa; nel 1596 fu venduto a Giovan Francesco d’Aponte. Dopo qualche anno, nel 1614, passò a don Fabrizio de Capua, quindi al Marchese Michelangelo Baglioni, per tornare poi a un ramo della famiglia Carafa, i Principi di Colorano, Conti di Morcone. Nel XVIII e nel XIX secolo, fino al 1861, Morcone fece parte del Contado di Molise; successivamente, passò alla provincia di Benevento, inserita nel Regno Unito d’Italia. Ed è proprio nei due fascicoli del volume XIV dedicati al Contado del Molise all’interno dell’opera di Filippo Cirelli, che si ritrova documentazione delle città molisane di Sepino, Sangiuliano, Cercepiccola, Morcone, Sassinoro, Casacalenda e Isernia. I saggi, editi da autori locali, ben delineano lo scenario socio-economico della situazione molisana nel periodo prossimo all’unificazione nazionale. «Le sette città molisane appaiono come piccoli borghi arroccati sui crinali collinari; centri abitati, in parte cinti da mura (Casacalenda, Morcone e Sassinoro) dominati da castelli baronali, torri medievali, dimore nobiliari che seppure in disuso rappresentavano il segno tangibile del carattere feudale degli insediamenti e dei territori contermine. Casacalenda, Isernia, Morcone e Sepino emergono sulle altre per conformazione urbana, carattere e varietà dell’edificato: gran parte delle strade sono selciate; le piazze sono punteggiate da fontane pubbliche […] i numerosi edifizi pubblici (le farmacie, le locande, i caffè, i mulini, i fondaci del mercato, i macelli) vengono segnalati per numero, varietà e pulizia; con eccezione di Sepino, tutte le Case Comunali (annoverate tra gli Edifizi pubblici) emergono nell’edificato per bellezza e decoro; le chiese, i conventi e i monasteri, i luoghi pii vengono segnalati per qualità architettonica, ricchezza delle opere d’arte e delle reliquie nonché per le feste e i riti religiosi ivi celebrati».[6] L'importanza dell’agglomerato urbano di Morcone è descritta anche nel testo di Eugenia Aloj e Francesco Bove, in cui si legge che «Il centro abitato di Morcone costituisce il polo urbano di maggiore importanza dell’area dell’Alto Tammaro, sia per la sua dimensione demografica, sia per l’estensione del suo territorio, sia, infine, per le funzioni che ha svolto nel tempo e che ancora mantiene nell’ambito di un ampio comprensorio che confina col Sannio molisano».[7] Da sempre dedito alla pastorizia, il territorio morconese è infatti, attraversato dal tratturo denominato “Pescasseroli - Candela”, largo in alcune parti anche 55 m., e che ancora oggi, in alcuni tratti, si conserva nella forma primaria. Il “tratturo” antica via naturale di comunicazione, utilizzata in particolare per la transumanza periodica, attraversa il territorio morconese nell’area nord e all’epoca romana era chiamato “Via Minucia” dal nome di un console romano. La zona rappresentava un importante sosta di riposo e di passaggio delle greggi anche in epoca sannitico-romana, come prova il ritrovamento di reperti romani e pre-romani a Morcone, Buonalbergo Casalbore e nell’area tra Ariano Irpino e Montecalvo.[8] Gradualmente, l’attività pastorizia lascia tuttavia sempre pù spazio alla fabbricazione e alla vendita dei pannilana, come testimoniato dalle fabbriche di panni documentate dalle cronache statistiche di fine Settecento; lo sviluppo dell'arte della lana in Morcone, secondo Liborio Casilli, presenta evidenti affinità culturali e ambientali con analoghi processi nei territori circostanti, e corrisponde al coevo incremento dell'industria del pannolana nei centri minori del Regno Partenopeo.[9] Il paese godeva di prestigio per la bellezza del suo patrimonio architettonico e l’alta concentrazione di chiese disclocate tra il centro storico e le contrade: in alcuni documenti parrocchiali vengono nominate ben 27 chiese e oratori, oltre alle numerose cappelle rurali distribuite in tutto il territorio. Tra queste, la “chiesa civica” di San Bernardino, prospiciente l’omonima Piazza e protettore di Morcone, così descritta da Domenico Piombo: «disegno ardito, ma non corrispondente alle regole architettoniche presenta il tempio del protettore San Bernardino da Siena. A tre navi; di qualche grandezza; con archi svelti e sostenuti da quattro colonne di picciolo diametro».[10] I lavori di costruzione avviati nel 1515 finirono nel 1580, ma la chiesa andò quasi completamente persa durante un incendio nel Maggio del 1917. Nel 1988 l’amministrazione comunale decise di dar vita a un progetto di recupero che a partire dalle strutture non distrutte dal fuoco, (l’impianto planimetrico, la facciata, il campanile, il presbiterio e l’impianto della sagrestia) potesse restituire alla comunità un edificio così importante per la memoria storica. L'intervento di restauro della ex chiesa, oltre al recupero della fabbrica originaria, ha portato all’inserimento di una struttura in cemento a vista con la duplice funzione di copertura e di irrigidimento della muratura della facciata principale, al fine di perseguire il consolidamento statico dell’intero complesso. Il progetto, distintivo, ha trasformato San Bernardino in una piazza coperta, uno spazio multifunzionale che ospita oggi molti degli eventi culturali organizzati in paese. [11] A pochi metri di distanza, nel 1988 viene ultimato anche il progetto del Palazzo Comunale, a firma di Vincenzo Fiorino e Mariella Dell’Aquila: gli architetti della scuola napoletana instaurano un dialogo con le preesistenze, scegliendo un linguaggio riconoscibile che non tende alla mimesi. Partendo dal recupero e dalla riqualificazione di un antico edificio già in precendenza sede del comune e fortemente danneggiato dal sisma del 1980, un volume in vetro ricostruisce la cortina originaria, con l’inserimento di un bow-window triangolare in corrispondenza della stanza del sindaco. La copertura s’inserisce tra le cortine edilizie e le gradonate urbane, disegnando una piazza pubblica che «diviene al contempo anfiteatro sia sulla scena urbana, sia sulla Valle del Tammaro».[12] A Morcone l’architettura urbana abbraccia la sua dimensione rurale, consegnandoci uno dei nuclei meglio conservati della provincia di Benevento. La nuova stagione dei piccoli paesi italiani: le politiche di rigenerazione Nonostante il centro storico abbia preservato al meglio la conformazione medievale e la sua struttura stratificata di vicoli, slarghi e piazze, non si è potuto tuttavia sottrarre a un progessivo abbandono, una migrazione nella migrazione, che ha portato gli abitanti a prediligere le nuove aree residenziali sviluppatesi nelle zone di campagna o pianeggianti, di più facile accesso rispetto al sedime più antico. Il fenomeno dello spopolamento che interessa l’Area del Tammaro, al pari di tutte le aree interne del paese, alimenta un progressivo scenario di desertificazione demografica, che impatterà un tessuto sociale già sfaldato. Nel 2013 l’allora ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, immagiòa una politica di sperimentazione per le aree interne che possa essere place based: la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), ha provato a tracciare le linee guida e i principi d’intervento per linee di azione mirate ad arginare il processo di abbandono, mappando i paesi interessati da tali fenomeni per approntare azioni di riqualificazione mirate. Sono “interne” quelle aree caratterizzate da una significativa distanza dai principali centri di offerta di servizi (salute, scuola, mobilità), ma anche da una disponibilità elevata di importanti risorse ambientali (idriche, sistemi agricoli, foreste, paesaggi naturali e umani) e risorse culturali (beni archeologici, insediamenti storici, abbazie, piccoli musei, centri di mestiere). Nel breve periodo, la Strategia ha il duplice obiettivo di adeguare la quantità e la qualità dei servizi di salute, scuola, mobilità (cosiddetti servizi di cittadinanza) e di promuovere progetti di sviluppo che valorizzino il patrimonio naturale e culturale di queste aree, puntando anche su filiere produttive locali (mercato). Nel lungo periodo, l’obiettivo della Strategia nazionale per le aree interne è quello di invertire le attuali tendenze demografiche delle aree interne del Paese.[13] Attraverso fondi europei e fondi nazionali, si legge sul sito dell’Agenzia, «la Strategia nazionale punta ad intervenire su tali luoghi, investendo sulla promozione e sulla tutela della ricchezza del territorio e delle comunità locali, valorizzandone le risorse naturali e culturali, creando nuovi circuiti occupazionali e nuove opportunità».[14] Alle precedenti 72 aree di progetto selezionate nell’ambito della Strategia, tra le quali rientra anche la zona denominata Tammaro Titerno, in cui ricadono, tra gli altri, il Comune di Morcone e i vicini comuni di Sassinoro, Santa Croce del Sannio e Pontelandolfo, si aggiungono 43 nuove aree territoriali e il progetto speciale isole minori. Nella programmazione 2021- 2027, per la Campania, sono state individuate le aree denominate Alto Matese, Sele Tanagro e quella Fortore Beneventano. Massiccia la quantità di fondi destinati a progetti nel Sud Italia se si pensa che alle risorse stanziate in maniera specifica per tali politiche di coesione si aggiungono le misure previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Ma qual è la portata effettiva dei cambiamenti che le azioni di rigenerazione messe in campo da entrambe le iniziative possono avere sui piccoli centri del nostro Paese? Una stagione nuova si è aperta per tutti i paesi, appunto, dell’Italia minore, che dall’inizio della pandemia, sono stati al centro di un attenzione sempre maggiore. «L’Italia è un Paese di Paesi. I paesi sono i nodi di una rete densa, fitta, distesa sulle campagne plurali costruite dalla natura e dall’uomo nel tempo lungo della storia».[15] La definizione che il professore Rossano Pazzagli delinea nel suo libro a racconto dei luoghi e delle voci dell’area interna, potrebbe di fatto rappresentare la risposta conclusiva alla semplicistica narrazione che è stata restituita negli ultimi due anni intorno alla tematica borghi. Se si dovesse stilare una lista delle parole più utilizzate durante questo anno, o quello precedente, non potremmo infatti risparmiarci dall’inserire la parola ‘’borgo’’: metafora di vita lenta e sana, paradiso silenzioso per creativi, attrattore di energie giovanili dissipate nelle frenesie metropolitane, contraltare alla densità urbana. In un costante tentativo di definizione, l’attenzione rivolta a una cospicua parte del paesaggio italiano, soprattutto appenninico, costituita dai centri storici e dalle aree più interne, non si è affievolita, anzi si è rafforzata in questi ultimi mesi. I borghi sono stati ritenuti centrali per le strategie di ripresa economiche e sociali del Mezzogiorno, oltre che del Paese intero, come spesso sottolineato dall’ormai ex Ministro Dario Franceschini, e sono stati inseriti in un’ottica più ampia che vede nella cultura il vero volano della ripartenza del paese dopo la crisi pandemica. Copiosi gli investimenti che iI Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha quindi destinato al sistema turistisco e culturale del paese, nel tentativo di ammodernamento delle infrastrutture volto ad aumentare l’attrattività del settore. Oltre 6 i miliardi di euro previsti per la cultura, con misure che spaziano dagli investimenti nel comparto cinematografico, ai grandi interventi puntuali sugli attrattori culturali delle città e la rigenerazione dei borghi, la sicurezza sismica, il patrimonio culturale, rurale e religioso. La seconda fase del Bando Borghi, contenuta nella manovra ‘’Attrattività dei borghi storici ’’ del PNRR si è conclusa lo scorso Giugno con la selezione di 310 Comuni a cui sono state assegnate risorse per investimenti rivolti alla rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio spopolamento. Leggere le pagine di Pazzagli adesso, ci consente di riportare l’attenzione su come individuare processi virtuosi di rigenerazione in grado di rivitalizzare l’economia e le condizioni sociali delle aree marginali sia una missione che prescinde dalla retorica che ha trasformato luoghi, una volta conosciuti come paesi, in borghi, e che non può ignorare la complessità e la stratificazione delle relazioni territoriali nelle modalità di assegnazione dei finanziamenti. L’iniziativa è stata ufficialmente presentata un anno fa, a Dicembre 2021, e prevedeva due azioni d’intervento, una linea A e una linea B, e una terza linea, la C in fase di definizione e che sarà destinata a quelle imprese singole o aggregate, esistenti e nuove, agli enti del terzo settore, agli enti non profit, e alle start-up ricadenti nei borghi che sono stati ammessi al finanziamento. Il bando sarà gestito da Invitalia in qualità di soggetto attuatore con una commissione che valuterà i progetti presentati dalle imprese. I progetti dovranno ovviamente essere coerenti con il progetto finanziato dal bando borghi. Verranno finanziate circa 2500 imprese con un totale complessivo di 200 milioni di euro. La ‘’linea A’’ del bando borghi, contestatissima perché considerata divisiva, ha invece destinato 420 milioni di euro all’individuazione di 21 iniziative con finalità di rilancio economico e sociale di borghi disabitati o caratterizzati da un avanzato processo di declino e abbandono: ciascuna regione è stata chiamata quindi a selezionare un progetto pilota a cui destinare 20 milioni di euro. La selezione degli enti che potevano accedere ai fondi non è stata omogenea e i criteri di discrezionalità secondo cui sono state operate le scelte hanno causato attriti tra i Comuni classificati: in alcune regioni, come l’Abruzzo, il Molise o la Valle d’Aosta , le municipalità arrivate seconde in graduatoria hanno avviato ricorsi contro i vincitori, rallentando di fatto l’erogazione delle risorse. In Campania la scelta è ricaduta su Sanza, in provincia di Salerno, dove il progetto ‘’Sanza il borgo dell’accoglienza’’, come si legge nelle note illustrative del Ministero della Cultura, ha lavorato su un’idea di albergo diffuso che garantisca accoglienza turistica, spazi laboratoriali, residenze d’artista, residenze e spazi per la terza età. La proposta comprende inoltre luoghi per il creative social coworking e lo sviluppo di progetti imprenditoriali, in un’ottica di basso impatto ambientale. Dei 21 progetti selezionati sull’intero territorio nazionale moltissimi sono quelli che hanno basato la loro proposta sul turismo e sull’accoglienza, attraverso la consolidata formula dell’albergo diffuso, pochissimi quelli che hanno invece puntato su formazione, cultura e arte. Ma quali sono le conseguenze del considerare il turismo lo strumento risolutivo dei processi di abbandono, il mezzo per arginare lo spopolamento dei centri minori delle aree interne? Secondo Pazzagli, «il disegno per una strategia consapevole del turismo deve cominciare mettendo insieme, a sistema, il mare con l’entroterra, i borghi storici, la montagna, l’enogastronomia, i tratturi, le tradizioni».[16] Il delicato obiettivo da perseguire è la capacità d’innescare processi di rigenerazione virtuosi volti ad una fruizione che comprenda a fondo le radici di un luogo e ne preservi i caratteri originali, senza snaturarli. Secondo Domenico Cerosimo, ordinario di economia regionale all’Università della Calabria, «c’è un enfasi acritica sul turismo come risorsa, come chiave per risollevare territori fragili», una visione statica, che trasforma il Paese in una veduta da cartolina, pittoresca. «Il turismo in sé non è un settore trainante», afferma Cerosimo: sono le iniziative strategiche e trasversali a determinare quale impatto le imprese turistiche possano avere sul territorio. Senza le logiche di filiera e l’attivazione di un’economia di prossimità non esiste una ricaduta diretta e positiva sui luoghi.[17] Ed è proprio la mancanza di una visione più ampia, la carenza di strategia collettiva, a essere imputabile al progetto borghi. Questa prima manovra del Ministero è stata da molti considerata alla stregua di una lotteria, una corsa ai fondi basata su un principio di discriminazione e competività, che non ha rafforzato i principi di coesione tra i comuni ma che ha, invece, creato fratture. Una visione, questa, condivisa pienamente dal presidente dell’Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) Marco Bussone, che in una lettera aperta pubblicata sul sito dell’Uncem il 15 Marzo 2021, a poche ore dalla chiusura del termine per la presentazione delle domande per la misura B, ha ribadito la contrarietà dell’associazione: «Venti contro duemila, in questo caso. Non doveva essere così in un Paese che deve oggi come mai, generare coesione a partire dall’unità delle Istituzioni. Facendo lavorare insieme i Comuni. Solo insieme, in un territorio omogeneo i Comuni sono vincenti e forti. Non da soli e uno contro l’altro! Così si distrugge la rete dei Comuni, si ignorano le faticose reti esistenti, si inabissa il lavoro dei Sindaci che vincono i campanilismi e i dannosi municipalismi per essere forti insieme».[18] Il presidente prende poi le distanze anche dalla stessa “linea B” del bando Borghi, anticipando che l’Uncem non avrebbe preso parte ai lavori della Commissione che ha poi selezionato i 310 comuni risultati assegnatari delle risorse. Bussone ha definito inadeguate le scelte messe in campo, invitando il Ministero a orientare in modo diverso gli avvisi e i piani del PNRR : «I territori non sono tutti uguali e la fenomenologia del bando, la lasciamo a questo passato del bando borghi. Che chiudiamo volentieri mettendo una pietra sopra alle modalità-lotteria. E chiedendo a chi decide e scrive i bandi – siano interni ai Ministeri, alle Regioni o consulenti di grandi gruppi esterni, ben pagati – più attenzione a come è fatta l’Italia. Ai Sindaci e alle comunità».[19] Nella stessa lettera l’Uncem, come aveva già fatto con un diverso scritto pubblicato ad Aprile 2020, si rivolge ancora all’architetto Stefano Boeri, il quale in piena pandemia, aveva più volte inneggiato a un ritorno ai borghi, a una migrazione dalle aree urbane verso i piccoli paesi, alimentando la retorica del “borgo paradiso”. L’agognata fuga dalla città ha coinciso con il rilancio di un’idea di uno stile di vita che possa coniugare il lavoro, possibilmente smart, e un rapporto più diretto con la natura, lontano dal caos metropolitano e dalle restrizioni sul distanziamento imposte dalla pandemia. Secondo Stefano Boeri «il tema è stabilire un contratto di collaborazione tra grandi città e borghi storici per trovare nuovi equilibri».[20] Il tema è ovviamente molto più ampio, perché non si può parlare di aree interne senza pensare immediatamente ai terremoti della fascia appenninica. Non si può prescindere dalla conoscenza approfondita del territorio, da una mappatura puntuale delle aree fragili, al fine di realizzarne la messa in sicurezza ancora prima di un ammodernamento tecnologico delle infrastrutture. Lo stesso ex ministro Franceschini, commentando le iniziative del bando Borghi, aveva più volte dichiarato che le nuove tecnologie, la banda larga, lo smart working potevano consentire ai paesi di diventare dei luoghi di lavoro reali trasformando aree, che fino a qualche anno fa non potevano attrarre né persone né lavoro, in nuove destinazioni culturali. Un miraggio, quello di ripopolare i borghi grazie a una connessione internet veloce, in un paese che conta 5.521 comuni con un numero di abitanti inferiore ai cinquemila, distribuiti in larga misura lungo le catene montuose; in Campania, su un totale di 550 municipalità, i piccoli centri sono 341. Questi paesaggi, di pietre e colline, questi “paesi verticali’’ come li definisce il poeta Franco Arminio che non possono morire perché sono i luoghi dove immaginare il futuro, e sono proprio quelli che, come abbiamo visto, l’Agenzia per la coesione territoriale ha inserito nella Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI).[21] È su questa specificità che Bussone invita a riflettere, sui caratteri propri dei luoghi, ribadendo che i borghi non sono luna park, ma paesi, in cui è necessario in primo luogo introdurre modelli e progetti, costruire cioè una visione. Occorre rilanciare le politiche agricole, ripensare le dinamiche turistiche e insieme lavorare a una fiscalità dedicata per quelle aree, soprattutto montane, dove il bacino di utenza di chi vuole fare impresa non è certamente lo stesso di quello di un grande centro urbano. L’italia è un paese plurale, fatto di "ossi e di polpa"[22], come lo definisce Manlio Rossi Doria , un insieme che trova ragione proprio nelle sue differenze interne, caratterizzate da una varietà di cultura, tradizioni, capacità e biodiversità. Un tutto, particolare e globale, composto da un’ampia gamma di scenari geografici, economici e sociali, sottesa ad alimentare quell’intricata rete di piccoli paesi disseminata lungo l’intero territorio nazionale. Occorre prendere le distanze da qualsiasi tentativo di omologazione, perseguire gli obiettivi di tutela del patrimonio culturale lavorando su una progettualità multidisciplinare, aperta agli stimoli esterni, permeabile agli influssi di associazioni e studiosi che lavorano proprio su queste realtà multiple, di cui hanno indagato le dinamiche e i processi fondativi. Bisogna costruire una visione che trascenda le tendenze contemporanee, che s’immerga nel contesto, alle radici dei luoghi e all’origine del modo in cui le relazioni si sviluppano all’interno dei paesi, e occorre farlo attraverso un lavoro condiviso e un approccio coeso. In definitiva: «ai fini di un tale ripensamento non possono essere elusi, né sul piano metodologico, né su quello degli obiettivi, due elementi essenziali: quello fisico del territorio e quello sociale della partecipazione». [23] Archiviata temporaneamente la contestazione relativa alla Linea A, si è tuttavia, subito riaccesa quella per la Linea B. A pochi giorni dalla pubblicazione della graduatoria, avvenuta poi nella sera del 23 Giugno 2021, erano già molte le polemiche sollevate per le lettere di esclusione ricevute da decine di comuni italiani, con notifiche di presunte irregolarità nella compilazione del documento finale: agli esclusi sono stati contestati soprattutto vizi di forma, come ad esempio problematiche legate alla mancanza di allegati o alla firma digitale degli stessi. Il bando, che chiedeva d’individuare dieci interventi locali di rigenerazione culturale e sociale attraverso progetti volti a produrre attrattività e tutela del territorio, con strategie di contrasto allo spopolamento e d’incremento della partecipazione culturale, è stato espletato secondo un complesso documento da compilare, una procedura con molteplici difficoltà strutturali e tempi brevissimi. Un banco di prova per le piccole amministrazioni, alle prese spesso con carenze di risorse e figure specializzate capaci soprattutto di gestire processi di progettazione partecipata. La seconda iniziativa del Ministero della Cultura ha visto, tuttavia, un’adesione altissima da parte delle municipalità italiane, ed è stata oggetto di un’attenzione mediatica senza precedenti: alla scadenza del 15 Marzo risultavano pervenute 1791 candidature, con la Campania seconda in classifica per numero di domande, 175, preceduta dal Piemonte, la regione con il più alto numero di proposte, 249, mentre sono state 42 le istanze giunte dal Molise. Al bando potevano partecipare Comuni in forma singola o associata, fino a un massimo di 3 comuni, la cui popolazione residente complessiva non superasse la soglia dei 5000 abitanti alla data del 31.12 2020: a ogni proposta era destinato un finanziamento di circa di 1 milione e seicentomila per borgo, con un incremento del 30% nel caso di proposte presentate in forma associata. Anche in questo caso il presidente di Uncem, Marco Bussone, era tornato a sottolineare l’inadeguatezza del Bando Borghi e, in particolare, dei principi di valutazione adoperati in sede di aggiudicazione. «Non è questo, ancora una volta, il metodo giusto per valorizzare gli Enti e i loro progetti di rigenerazione», ha affermato Bussone ribadendo quanto possa essere penalizzante favorire un processo di burocratizzazione a scapito di una scelta effettuata in base a criteri di qualità, l’unica capace di premiare i progetti più meritevoli. «Se mancano documenti, si richiedano integrazioni – continua – se vi sono stati errori, anche nella trasmissione, si dia il tempo per correggere. Non si tolgono di mezzo i comuni in questo modo. Peraltro aprendo la strada a decine e decine di ricorsi».[24] È un approccio corale quello che ci si auspica, non solo per le singole misure, ma anche quando ci si confronta con le azioni previste dal PNRR, a cui guardare come l’occasione di lavorare su nuove visioni di comunità, proiettate al futuro, per le quali i fondi rappresentano solo uno strumento di realizzazione. Se il dibattito si riduce alla discussione su procedure, target, tempistiche e poteri, la potenziale portata innovatrice della misura si riduce a una serie di ‘’corsa al bando’’ dell’ultimo minuto, diventando, quindi, un’occasione mancata. La co-progettazione è un ingrediente chiave di tale approccio: occorre coinvolgere, oltre agli enti locali, tutti i soggetti che svolgono attività sul territorio, lavorare sulla costruzione di un sistema comune verso una visione condivisa di sviluppo. Occorre domandarsi qual è il paese che vorremo avere quando la parola borgo perderà parte della sua risonanza mediatica. I tempi della progettazione, che sono troppo spesso sacrificabili alla logica del fare, e del fare in fretta, devono poter trovare spazio all’interno delle municipalità, le stesse che, partecipando in gran numero al bando borghi, hanno espresso la volontà di avviare un processo di rigenerazione non necessariamente puntuale, episodico, ma frutto di un lavoro di ricerca più ampio. La strategia a monte deve essere definita, dibattuta ed esplorata per far sì che una visione di paese possa sedimentare, radicarsi nelle idee e nelle azioni. Un merito di questo bando, diverso nel suo genere, è stato tuttavia, quello di provare ad allontanarsi dalla retorica del turismo come risposta a ogni problematica, mettendo al centro la creatività, la cooperazione, le pratiche di progettazione partecipata che coinvolgono la società civile, la comunità: un fattore più volte sottolineato durante alcuni degli incontri di approfondimento sulle procedure del concorso organizzati a poca distanza dalla sua pubblicazione, tra gli altri, dall’Officina Giovani Aree Interne. In quell’occasione, Ottavia Ricci, consigliera dell’allora Ministro Dario Franceschini per la valorizzazione del patrimonio culturale diffuso, aveva spiegato come la stesura del bando fosse avvenuta per raggiungere gli obiettivi del PNNR europeo, stravolgendo le logiche di azione del ministero, solitamente concentrato sul restauro dei beni materiali, per introdurre una visione di rivitalizzazione sociale ed economica rivolta ai giovani. In Campania, sono 22 i progetti risultati assegnatari delle risorse che avranno ora la possibilità di concretizzare le strategie delineate, e tra questi, si contano le sei proposte selezionate nella provincia di Benevento. Il comune di Morcone, che ha partecipato al bando in forma singola, ha ricevuto la valutazione più alta nella provincia di Benevento, con un punteggio di 82 punti su 100, seguito da Pietraroja, Castelpoto e Pontelandolfo. Hanno invece scelto di partecipare in forma associata i comuni di Santa Croce del Sannio, che ha candidato il proprio progetto insieme a Circello, e i comuni di Paduli e Sant’Arcangelo Trimonte. Questo risultato rappresenta un’occasione unica per tutte le realtà sannite di lavorare a una visione a lungo termine e ad ampio raggio, alla costruzione di uno scenario futuro che superi le soglie temporali imposte dai parametri restrittivi del PNRR, incentivando una collaborazione attiva tra tutte le amministrazioni, per rafforzare le relazioni territoriali tra tutti i diversi attori che costantemente operano nell’area dell’alto Tammaro. “ TAM – La Cultura è un fiume”, un progetto di valorizzazione per Morcone Il progetto candidato dal comune di Morcone con il titolo “ TAM – La Cultura è un fiume” , è una proposta di rigenerazione del borgo storico che individua tre scenari fondamentali e complementari attraverso i quali compiersi, Territorio, Arte e Memoria, una definizione che è anche l’acronimo dell’area geografica di appartenza, quella attraversata dal fiume Tammaro. Tam è poi anche un suono che rimanda al ritmo, al richiamo, al tam tam culturale che le iniziative proposte intendono suscitare e propagare, come un’eco per tutta la valle. La metafora del fiume è stata utilizzata per identificare subito gli obiettivi del progetto: guardare alla cultura come un elemento potente, capace di sovvertire dinamiche anche consolidate, un fiume che ha la forza di modellare i luoghi che incontra, segnando nuove traiettorie a partire dal solco che l’ha generato. “ TAM – La Cultura è un fiume ”, è un progetto che parte da questo, dall’inglobare la bellezza e la fragilità di un territorio che cerca risposte e può trovarle all’interno del proprio paessaggio, coinvolgendo i propri cittadini, le scuole, le associazioni; un progetto di rigenerazione che si esprime attraverso linguaggi nuovi perché non completamente esplorati in questi luoghi, ma che partono da principi consolidati, da volontà di agire già fortemente manifestate sul territorio. Un progetto interdisciplinare, che prova a trasformare la dimensione rurale del borgo in occasione di dibattito e crescita per la comunità, ma anche, integrando cultura, paesaggio e produzione, a creare forme economiche e sociali basate sulla dimensione territoriale di filiera, attraverso dinamiche di cooperazione e d’integrazione dei saperi. Nel rimando a una geografia imprescindibile e caratteristica, che è radicata nel passato, nel presente e soprattutto nel futuro di tutti, in particolar modo dei giovani, TAM prova ad analizzare alcune delle istanze richieste e a mettere a sistema una serie di iniziative sinergiche che abbiano ricadute tangibili sulla comunità. Uno degli scopi del bando, lo ricordiamo, discutibile se si pensa al tempo strettissimo di progettazione concesso, è mettere in campo misure per contrastare lo spopolamento e innescare processi che rallentino, se non addirittura invertano la migrazione giovanile. Resta fermo che non si possano risolvere problemi così fortemente radicati con un unico bando, ma che si può, con questa opportunità fermarsi a riflettere, aprire una tavola rotonda, provare a cambiare la prospettiva da cui si guarda l’evolversi della vita di un paese, dando spazio a quelle competenze sul territorio che troppo spesso non hanno voce. La serie di azioni per una riqualificazione diffusa contenute nella proposta vincitrice, prova a fare proprio questo: creare sviluppo affiancando a logiche economiche quelle di valorizzazione locale. Attraverso dieci interventi suddivisi in 3 categorie principali, TAM Rural, TAM Borgo Bottega e TAM Atlante della memoria, si definisce una narrazione nuova della dimensione rurale del borgo come elemento centrale di una cultura contemporanea capace d’inserire Morcone in una rete globale. Il progetto è un racconto nuovo, un tentativo di riunire in un’unica visione nuovi impulsi creativi e un paesaggio che tutto pervade, nei suoi valori storico-artistici, cercando allo stesso tempo di racchiudere le energie delle mutazioni e di convalidare le emergenze permanenti, perché un paese è un luogo che cambia rimanendo sempre uguale a se stesso. Scrive ancora Pazzagli: «L’esperienza civica e diffusa di associazioni e comitati si basa su sentimenti comuni e sulla coscienza di luogo, sul senso di appartenenza a qualcosa (a una comunità, a un paese, a un gruppo sociale, a un territorio, a un paesaggio) e al tempo stesso sull’obiettivo di far diventare una questione di tutti anche le scelte puntuali». Il fine ultimo della politica non è altro che prendersi cura di ciò che ci riguarda: è solo partendo dall’idea di territorio come bene comune che il valore dei piccoli centri può emergere con forza, diventando risorsa collettiva delle comunità. Secondo Pazzagli il legame tra cultura e territorio deve tornare al centro dell’attenzione, per ridefinire dei modelli di trasformazione e di evoluzione e deve farlo attraverso due elementi essenziali: quello fisico, appunto, del territorio e quello sociale della partecipazione. Perché ci sia una ricaduta globale e non puntuale sul territorio, le iniziative devono inserirsi in una visione ampia che veda i Comuni lavorare in sinergia per elaborare una strategia di sviluppo e valorizzazione a lungo termine. In alcuni casi, come ad esempio nel Sannio e nella Valle del Tammaro, molti dei centri che hanno visto selezionate le proposte candidate alla linea B del bando borghi, vivono già di una felice dimensione di vicinanza territoriale. Si può pertanto pensare di costruire una rete progettuale sviluppando una visione d’intenti condivisa, che a partire dalle caratteristiche essenziali delle proposte selezionate elabori una progettualità che oltrepassi la logica del bando e abbracci una dimensione territoriale e paesaggistica ben più ampia. Essenziale, per raggiungere un simile obiettivo è il coinvolgimento delle comunità, dei cittadini, delle associazioni che lavorano sui territori e che hanno già avviato processi di partecipazione pubblica. Il bando borghi non fornisce la ricetta e tantomeno la soluzione alle problematiche che interessano le aree interne da molti anni, tuttavia, di fronte a tessuti sociali sfaldati, impoveriti dalla mancanza di energie dovuta al graduale spopolamento a cui sono soggette, questa iniziativa ri-attiva una riflessione sul «concetto di partecipazione pubblica e sulla sua capacità di creare o fortificare l’identità locale».[26] I territori hanno in questo momento l’opportunità non solo di guardare a iniziative nuove, ma di lavorare alla definizione di un identità che sia legata alla dimensione rurale che li contraddistingue, alle risorse ambientali e paesaggistiche in cui sono radicate, «ripartendo dalle relazioni locali, dalle persone e dagli interessi comuni».[27] L’area del Tammaro, può farlo ripartendo dai molti progetti già avviati, come il Parco Nazionale del Matese, il Parco delle acque di Campolattaro, o le azioni individuate con la strategia aree interne per l’area Tammaro – Titerno, elaborando uno studio territoriale a larga scala in cui ogni intervento diviene un tassello di una visione di rigenerazione globale. Si può avviare una fase di protagonismo per tutti i paesi del circondario: una fase in cui la convergenza di idee, di energie, e di visioni può concentrarsi su «una strategia di sviluppo nuova che integri le potenzialità endogene di un determinato territorio, in un’ottica di utilizzazione delle risorse locali tra le quali spiccano, paesaggio, ambiente e cultura».[28] [n.d.r. Nell’ottica della valorizzazione e promozione del borgo di Morcone Kinetès Edizioni ha pubblicato, nel 2021, il suo primo Itinerario Culturale, ”La Città della Cometa”, a firma di Alba La Marra, in un inedito accostamento tra le suggestioni di quello che, per la sua conformazione, è noto per essere un presepe a grandezza naturale e gli elementi più interessanti e caratteristici dell’arte presepiale napoletana. Il volume è disponibile al seguente link: https://www.kinetes.com/store/p9/lacittadellacometa.html] --- 1. I. Calvino, Le città invisibili, Edizioni Mondadori, Milano 2011. 2. Prefazione a Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato [...], Monografia Generale, vol. I, fasc. 6, Napoli 1853. 3. R. Nigro e G. Lupo, Civiltà Appennino, Donzelli Editore, Roma 2020. 4. Ibidem. 5. D. Piombo , Morcone, tratto da F. Cirelli, Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato [...], Molise, vol. XIV, fasc. 1, Napoli 1853. 6. P. Argenziano, Il Molise descritto e illustrato, una fonte per l’analisi multidimensionale del territorio a metà Ottocento, tratto da C. Gambardella, a cura di, Molise usi civici e paesaggio, La scuola di Pitagora editrice, Napoli 2008. 7. E. Aloj, F. Bove, Il paesaggio del tratturo beneventano: storia ambiente sviluppo, RCE Multimedia 2011. 8. F. Bove, Liborio Casilli, I tratturi e gli insediamenti urbani nel Sannio beneventano, tratto da E. Petrocelli, a cura di, La civiltà della transumanza Storia, cultura e valorizzazione dei tratturi e del mondo pastorale in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata, Cosmo Iannone Editore, Isernia 1999. 9. F. de Vincenzi, La produzione della lana, gli opifici e i centri di lavorazione e commercializzazione, tratto da E. Petrocelli a cura di, La civiltà della transumanza Storia, cultura e valorizzazione dei tratturi e del mondo pastorale in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata, Cosmo Iannone Editore, Isernia 1999. 10. D. Piombo, Morcone, tratto da F. Cirelli, Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato [...], Molise, vol. XIV, fasc. 1, Napoli 1853. 11. I. Prozzillo, a cura di, Progetto Morcone, Editore 10/17, Salerno 1987. 12. 1970-2000 Architetti napoletani, supplemento ad AREA nr.72, 2004 Gennaio/Febbario, Fedrico Motta Editore, Milano. 13. https://politichecoesione.governo.it/it/strategie-tematiche-e-territoriali/strategie-territoriali/strategia-nazionale-aree-interne-snai/ 14. Ibidem. 15. R. Pazzagli, Un Paese di paesi, Luoghi e voci dell’Italia interna, Edizioni ETS, Pisa 2021. 16. M. Meini, S. Mannelli, Terre invisibili.esplorazioni sul potenziale turistico delle aree interne, Rubbettino, 2018, in R. Pazzagli, Un Paese di paesi, Luoghi e voci dell’Italia interna, Edizioni ETS, Pisa 2021, p.36. 17. S. Gainsforth, Il turismo senza le persone non funziona, 29 Aprile 2022. 18. M. Bussone, Bando borghi del PNRR, Lettera aperta del Presidente Uncem, 15 Marzo 2022. https://uncem.it/bando-borghi-del-pnrr-lettera-aperta-del-presidente-uncem/ 19. M. Bussone, Ibidem. 20. P. Dezza, Dallo smart working la spinta a ridare nuova vita ai borghi, 24 Agosto 2020, Il Sole 24 Ore. 21. https://www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/ 22. M. Rossi Doria, Dieci anni di politica agraria, Laterza, Bari 1958. 23. R. Pazzagli, Un Paese di paesi, Luoghi e voci dell’Italia interna, Edizioni ETS, Pisa 2021. 24. M. Barbero, Bando Borghi ancora nel caos, 3 Giugno 2022 ItaliaOggi, num.129. 25. R. Pazzagli, Un Paese di paesi, Luoghi e voci dell’Italia interna, Edizioni ETS, Pisa 2021. 26. D. Di Siena, https://urbanohumano.org/it/la-citta-open-source-creazione-partecipata-dellidentita-locale/ 27. Ibidem. 28. R. Pazzagli, Un Paese di paesi, Luoghi e voci dell’Italia interna, Edizioni ETS, Pisa 2021.
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