di Italo Iasiello «Il tuo rispetto, o Cesare, per la giustizia e l’onestà / è grande quanto quella di Numa: ma Numa era povero. / Non è facile non cedere il proprio animo alle ricchezze / e dopo aver sconfitto tanti ricchi Cresi, essere Numa». In questo modo Marziale (Epigr. 11, 5, nella traduzione di Simone Beta), esaltatore dei potenti vecchi e nuovi, sottolineava l’adozione di un diverso linguaggio celebrativo, che pretendeva di tornare agli antichi valori romani, facendo mostra di superare, anche solo per lo spazio di un regno, i rituali dinastici in auge con Domiziano, il fasto del nuovo Palazzo, la predilezione per i giovinetti, l’assimilazione agli Dei. Prendo le mosse da questo componimento di Marziale perché sintetizza efficacemente l’immediato mutamento di prospettive propagandistiche legato al cambiamento dinastico e politico in atto, marcando le caratteristiche diverse con cui il nuovo Cesare giunto dalle province e dall’esercito aveva piacere, con tutta evidenza, a farsi riconoscere, e con questo l’importanza che la “comunicazione” politica nelle sue diverse forme doveva rivestire nell’impero romano. L’uscita, in rapida successione, di alcuni volumi relativi alla figura di Traiano e all’Arco beneventano, impone una riflessione al riguardo, a partire proprio dal volume oggetto di questa recensione. Si tratta, nella sostanza, della pubblicazione degli atti del convegno dallo stesso titolo svoltosi a Benevento il 21 e 22 febbraio 2020 presso l’Aula Magna dell’Università Giustino Fortunato e si inserisce nei pluriennali interessi del curatore verso l’antica Dacia, attuale Romania, e conseguentemente verso la figura del suo conquistatore Traiano. Livio Zerbini, difatti, insegna Storia romana all’Università di Ferrara, dove dirige il Laboratorio di studi e ricerche sulle Antiche province Danubiane, ed è visiting professor all’Università di Cluj-Napoca, in Romania; per la Giustino Fortunato dirige il Centro di ricerca e applicazione tecnologica sulla didattica e sul patrimonio culturale. La collaborazione con Radu Ardevan, fra gli autori presenti in questi atti, data da anni e ha offerto anche studi di sintesi sulla Dacia[1], mentre lo stesso Zerbini ha pubblicato a più riprese sulle guerre daciche[2] ed ora, come ricordavo in apertura, sullo stesso Traiano.[3] Il convegno sull’Arco, cui ebbi modo di assistere, si rivelò interessante e spiace un po’ che alcune di quelle relazioni non siano poi confluite in questo volume. In particolare ricordo la bella disamina della fortuna dell’Arco nella ricerca storico-artistica ad opera di Simone Foresta con L'Arco di Traiano a Benevento: da oggetto di studio a monumento da tutelare. Proprio a riguardo di questa fortuna è invece utile richiamare la quasi contemporanea uscita di un volume[4] di traduzione italiana dei principali studi della storiografia artistica tedesca sull’Arco prodotti nel lasso di tempo compreso fra quelli oramai classici di Almerico Meomartini e di Mario Rotili, indice di un interesse che in Città rimane vivo e diffuso a più livelli. Per poter procedere nell’analisi credo opportuno individuare alcuni nuclei tematici di discussione, con la consapevolezza di non poter trattare compiutamente di tutte le molteplici questioni offerte alla considerazione. Innanzitutto, mi appare di notevole rilievo la presenza di contributi di carattere architettonico e strutturale sull’Arco in se stesso, come monumento antico, vero punto di forza di questi atti. Nell’ordine sono: Rosalba De Feo, Il processo biunivoco di conoscenza storia ed intervento: il caso dell’Arco di Traiano a Benevento (pp. 73-78); Alfredo Balasco, Considerazioni preliminari su alcuni aspetti architettonici e strutturali dell’Arco di Traiano, alla luce delle nuove acquisizioni dai lavori di manutenzione alla copertura dell’Attico (pp. 79-89); Marcello Balzani – Federico Ferrari, Rilievo e rappresentazione dell’Arco di Traiano a Benevento, per il restauro e la valorizzazione (pp. 91-103). Il primo articolo ribadisce opportunamente l’esigenza di contestualizzazione dell’Arco nel tessuto storico cittadino attraverso i secoli, con l’approfondimento delle analisi conoscitive ed iconografiche. In particolare si segnala una fotografia dell’Arco, databile però ai primi del Novecento più che al tardo Ottocento[5], nella Collezione Infantino della Soprintendenza e l’analisi dei rapporti di Domenico Mustilli nel 1937 per i lavori in corso, contribuendo a chiarirne modalità e obiettivi. Il contributo di Alfredo Balasco, poi, spicca per ampiezza di visione e problematiche, affrontando finalmente le caratteristiche costruttive e strutturali dell’attico nell’Arco beneventano, che permettono di differenziarlo in modo netto da quello di Tito, cui veniva tradizionalmente avvicinato per motivi stilistici e proporzionali, tanto da aver fatto supporre[6] una stessa bottega. Altri elementi pregevoli dell’articolo sono l’analisi del contesto scenografico urbano di età imperiale in cui l’Arco era elemento centrale, ma non isolato, condotto attraverso la documentazione d’archivio delle demolizioni effettuate, ed inoltre lo studio (in corso) dell’archivio di disegni di Mario Paolini. L’ultimo dei tre saggi ricordati fa riferimento, invece, all’uso di una tecnologia che si sta dimostrando sempre più utile e versatile: il rilievo laser scanner 3D, che costituisce uno strumento documentazione e analisi del monumento, ma anche, potenzialmente, di valorizzazione e comunicazione, attraverso la modellazione con stampante 3D di copie di parti scultoree. Passo ora ad un altro nucleo tematico, quello degli alimenta, trasversalmente toccato in molti saggi del volume, ma in particolare oggetto della relazione di Laura Audino, L’Arco di Benevento e le Institutiones Alimentariae (pp. 61-66). L’argomento degli alimenta, sul quale esiste ormai una enorme bibliografia[7], viene sintetizzato dalla Audino in questo articolo che, direi giustamente, elude quel che nel titolo si vorrebbe richiamare, cioè un ipotetico rapporto diretto fra l’Arco beneventano e gli alimenta, al di là dei riferimenti ad un elemento fra gli altri dell’azione e della propaganda traianea. Prima di proseguire mi sembra ugualmente giusto dichiarare che ho letto con piacere ed interesse il di poco precedente saggio della Audino sul reclutamento dei Daci nell’esercito romano[8], argomento della sua tesi di dottorato presso l’Università di Cluj-Napoca. Per la trasversalità della menzione degli alimenta in questo volume sull’Arco credo a questo punto opportuno ribadire alcuni punti sui quali mi sono espresso già trent’anni fa: è innanzitutto non corretto ritenere avvenuta o evocare la concessione di alimenta alla colonia di Benevento, come suggerisce la mancanza di riferimenti a questi nel pur ricchissimo patrimonio epigrafico cittadino[9], tenuto conto poi che almeno una parte del suo territorio era direttamente coinvolto nelle obligationes per gli alimenta dei Ligures Baebiani che, è sempre opportuno ribadirlo, era un centro autonomo e che conservava la giurisdizione su di un proprio territorio.[10] Al riguardo, è necessario sottolineare che da questa considerazione consegue che può essere fuorviante parlare di una «Tabula Beneventanorum», come pure è stato fatto[11], perché anche se il territorio beneventano era coinvolto nelle ipoteche, beneficiaria ne era la comunità dei Ligures. Quanto poi questo possa rientrare in una più generale strategia traianea di sostenere centri in potenziale difficoltà rispetto alle grandi città, e quindi sul valore di concreto aiuto oppure di propaganda sociale dell’institutio, è argomento di riflessione e di dibattito sull’insieme di questi provvedimenti. [12] Per quanto poi riguarda il significato delle rappresentazioni sull’Arco credo sia ancora utile guida la voce stilata nel 1994 da Erica Simon per l’Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientali.[13] Così è abbastanza unanime il riconoscimento del rilievo del fornice come una distribuzione del sussidio alimentare alla presenza di personificazioni con corone turrite[14], ma voler individuare in queste ultime, come avviene diffusamente in questo volume[15], un riferimento diretto alla colonia di Benevento è quanto meno problematico. Ricordo brevemente che per la Simon vi compaiono l’Italia, come «patria di molte città fiorenti», mentre le altre tre personificazioni vengono definite dei loro attributi come «Fortunae, dee del destino, non di una città in particolare, ma di tutte le città italiane in generale». Al contrario, troviamo spesso posto in maniera diretta il rapporto con il territorio beneventano, almeno a partire dagli anni ’50 con Paul Veyne, in un peraltro notevolissimo articolo sugli alimenta, che ha così creduto di riconoscere nella figura in maggiore evidenza Beneventum e nelle altre tre Caudium, i Ligures Baebiani ed il pagus Veianus assurto a rango di municipio (ipotesi in vero contraddetta dalla stessa epigrafe CIL IX 1503, datata al 167) o in alternativa i Ligures Corneliani, tutte ridotte ad enclave nel territorio beneventano.[16] A respingere questa ipotesi inducono sia la certezza che i Ligures abbiano conservato un proprio territorio sia le stesse forzature nell’identificazione delle tre “enclave”[17]; del resto non sembra convincente neanche che su di un’opera dallo spiccato carattere urbano ed emanante dal Senato romano trovasse spazio «la manière dont les Bénéventins aimaient se représenter les rapports de leur cité avec leurs minuscles voisins». Quest’ultimo punto è in verità fondamentale, perché investe la natura stessa dell’Arco e le modalità della propaganda imperiale. Detta in altri termini, dobbiamo chiederci quanto l’Arco di Traiano, dedicato dal Senato, possa risentire, nell’insieme di questo “panegirico figurato”, del suo posizionamento a Benevento. Sarebbe stato diverso se fosse stato realizzato a Roma o putacaso a Brindisi? Dopo queste prime valutazioni, mi appare interessante la grande apertura proprio alle esperienze traianee nell’area danubiana e non solo per un pubblico locale. Al proposito ricordo l’articolo di Radu Ardevan su Le colonie traianee: status quaestionis (pp. 113-118) e quello di Cezarina Fulger e Florica Bohîlţea-Mihuţ, L’iconografia del trionfo sulla propaganda traianea – alcune osservazioni sull’iconografia della conquista della Dacia (pp. 43-59), con un raffronto fra la monetazione e le testimonianze figurative della Colonna e del monumento di Adamclisi. Ai risultati degli scavi di Tibiscum (Jupa) è dedicato l’articolo di Adrian Ardeţ, L’Appia traiana e le guerre daciche (pp. 147-152), anticipazione di un più ampio lavoro in corso con Livio Zerbini. Un’ultima considerazione riguarda l’attenzione in un gruppo di articoli alla rete stradale dell’Impero, altro punto qualificante degli interessi dell’imperatore, argomento sul quale sono confluiti i pluriennali interessi di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli sulla Via Appia,[18] quelli di Giuseppe Ceraudo sulla Via Traiana[19] e quelli di Giuseppe Scardozzi sulla rete viaria delle province africane e orientali,[20] mentre la Via Nova in Arabia è argomento affrontato da Marcello Spanu.[21] Al celeberrimo ponte sul Danubio è dedicato un articolo di Emanuela Borgia,[22] argomento sul quale si segnala anche lo studio di Silvia Ripà[23] negli atti del convegno di Ferrara del 2017. In conclusione merita attenzione il documentato saggio di Rossella Del Prete, Per un’economia della bellezza: il ruolo della storia nella governance del patrimonio culturale (pp. 191-210). Pur premettendo che personalmente non condivido l’espressione «Economia della Bellezza», a causa dei pregiudizi estetizzanti che pur non volendo rischia di veicolare, è pur vero che l’Economia dell’Arte, e della Cultura in generale, è un argomento imprescindibile di programmazione dello sviluppo per le comunità territoriali e che anzi è ancora troppo sottovalutata proprio in Italia, come ci viene spesso rimproverato dagli osservatori europei. A scanso di equivoci, nel saggio si sottolinea come “la bellezza” rappresenti non solo un valore estetico culturale, ma identitario e produttivo. Vorrei richiamare a questo punto il celebre discorso del Presidente Ciampi che due decenni fa, commentando l’articolo 9 della Costituzione, richiamava proprio il valore identitario per l’Italia di cultura e patrimonio artistico, la cui buona gestione è fondamentale per il presente e il futuro, con l’avvertenza che la «doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione».[24] Credo che queste parole del Presidente Ciampi rappresentino bene gli obiettivi che abbiamo il dovere di porci nel migliorare sempre più la governance della nostra eredità culturale al fine di promuoverne la conoscenza e la fruizione, per il benessere dei cittadini e lo sviluppo dell’Italia. Per fare questo, come sottolinea Rossella De Prete, «non bisogna pensare soltanto a quanta essa (la “bellezza”) conti, ma sapere anche quanto essa valga».[25] Il saggio, poi, suggerisce alcune linee metodologiche che dovrebbero guidare la progettazione di un piano di valorizzazione turistica e culturale del territorio in un confronto costante sia fra le discipline accademiche che con le altre realtà nazionali, affinché la valorizzazione della propria identità non vada nel senso di una chiusura verso l’altro, ma anzi funga da elemento di attrazione e di dialogo. Riflessioni queste evidentemente scaturite dalla sua duplice esperienza professionale come storica e amministratrice. L’Arco di Traiano a Benevento e gli archi trionfali romani: tra ideologia e propaganda, di L. Zerbini (a cura di) --- 1. R. Ardevan, L. Zerbini, La Dacia romana, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2007. 2. L. Zerbini, Le guerre daciche, il Mulino, Bologna 2015. 3. Sono usciti in successione: L. Zerbini, a cura di, Traiano. L’Optimus Princeps, Associazione culturale Brè Edizioni, Treviso 2019, edizione degli atti del convegno di Ferrara del 29 e 30 settembre 2017, presentati dalla Giustino Fortunato il 9 marzo 2021; L. Zerbini, Traiano, Salerno Editrice, Roma 2021, presentato dalla Giustino Fortunato il 13 novembre 2021. 4. G. Di Pietro, a cura di, Storiografia tedesca sull’Arco di Traiano di Benevento, Archeoclub di Benevento, Benevento 2021. 5. Fig. 4 a p. 75; alla «seconda metà del XIX secolo» si fa riferimento a p. 74. La foto appare evidentemente successiva ai lavori di restauro al coronamento portati a termine nel dicembre 1895 con le parti integrate dallo scalpellino Gennaro Della Rocca, su cui compaiono già tracce di sporco: L. Guerriero, L’Arco di Traiano a Benevento nel XIX secolo: un restauro archeologico tra ripristino e conservazione, in G. Fiengo, a cura di, Tutela e restauro dei monumenti in Campania 1860-1900, Electa Napoli, Napoli 1993, pp. 347-350. Per la prima fotografia nota dell’Arco: F. Morante, Giuseppe Pallante e la descrizione dell'Arco di Traiano, in “Samnium”, 81-82 (21-22 n.s.)/2008-2009, pp. 467-482. 6. Secondo Franz Josef Hassel più che gli elementi di dettaglio differenti giocavano nel senso di una affinità progettuale «tipo, struttura ed ornamenti», instaurando un rapporto di dipendenza fra i due monumenti «che si lascia chiarire solo perché l’Arco di Traiano è stato costruito dalla stessa bottega dell’Arco di Tito»: F. J. Hassel, L’Arco di Traiano in Benevento. Una costruzione del Senato Romano, in Storiografia tedesca, op. cit., p. 182. Nel volume in esame, p. 81. 7. Fra l’altro si è lavorato molto sulle fondazioni alimentarie private: I. Cao, Alimenta. Il racconto delle fonti, Il Poligrafo, Padova 2010; R. Laurendi, Institutum Traiani. Alimenta Italiae obligatio praediorum sors et usura. Ricerche sull’evergetismo municipale e sull’iniziativa imperiale per il sostegno all’infanzia nell’Italia romana, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2018. 8. L. Audino, Il reclutamento dei Daci nelle truppe ausiliarie dell’esercito romano durante l’impero di Traiano, in Traiano. L’Optimus Princeps, op. cit., pp. 201-211. 9. Per la sua ricchezza cfr. in questo stesso volume in esame il saggio: A. Parma, Ceti dirigenti e società cittadina a Beneventum in età traianea: il contributo dell’epigrafia (pp. 105-111), p. 105. 10. Mi si consenta di fare riferimento a quanto ribadito ancora in I. Iasiello, Presentazione. Dopo trent’anni: la Valle del Tammaro tra archeologia ed epigrafia, in N. De Palma, Pago Veiano nell’antichità. Le pietre raccontano, Internationale Printing, Avellino 2021, pp. 15-16. 11. V. A. Sirago, La “Tavola Alimentaria” dei Liguri Bebiani, in “Rivista Storica del Sannio”, XI, 21 (s.3) / 2004, pp. 8-9 dell’estratto, articolo più volte citato dalla Audino. Identica posizione in un precedente articolo del 1993, Traiano e gli alimenta, poi confluito in V. A. Sirago, Il Sannio romano. Caratteri e persistenze di una civiltà negata, Arte Tipografica, Napoli 2000, pp. 111-121, particolarmente p. 112: «Perciò insistiamo a sottolineare che la Tabula riguarda soprattutto Benevento e suo territorio, non già solo una parte – quella dei Ligures Baebiani –. Va dunque considerata come documento pertinente a Benevento romana». 12. Ad esempio, a favore di una partecipazione volontaria e non coattiva dei proprietari si pone, sulla base di un esame della Tavola di Veleia, G. Soricelli, I proprietari fondiari e gli alimenta traianei: una partecipazione forzata?, in “Zeitschrift für Papyrologie un Epigraphik”, 140 / 2002, pp. 211-226. Ad un obbligo di fatto, derivante dalla difficoltà di eludere un coinvolgimento nella politica evergetica imperiale pensa E. Lo Cascio, Il princeps e il suo impero. Studi di storia amministrativa e finanziaria romana, Edipuglia, Bari-S. Spirito 2000, p. 278. 13. E. Simon, s.v. Benevento. Arco di Traiano, in “Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale. Secondo Supplemento 1971-1994”, vol. I, Roma 1994, pp. 661-668. 14. Ivi, pp. 662-663. 15. Così M. Rotili, L’Arco di Traiano nella storia di Benevento (pp. 13-35), che a p. 14 evoca la «particolare sollecitazione locale» di M. Rutilus Lupus. Così L. Zerbini, L’Arco di Benevento tra ideologia e propaganda (pp. 37-41), che a p. 38 vi riconosce la contestualizzazione del luogo nel quale è stato eretto l’Arco (cfr. anche Traiano, op. cit., p. 131). 16. Così P. Veyne, La table des Ligures Baebiani et l’institution alimentaire de Trajan. I, in “MEFRA”, LIX / 1957, pp. 107-111, e poi ancora Contributio: Bénevent, Capoue, Cirta, in “Latomus”, XVIII / 1959, pp. 579-582. Così anche L. Keppie, Colonisation and veteran settlement in Italy, 47-14 b.C., Rome 1983, p. 159 n. 39 riprendeva questa ipotesi ed aggiungeva fra le identificazioni possibili in alternativa Telesia. 17. Mi ero già espresso in questo senso in I. Iasiello, I pagi nella valle del Tammaro: considerazioni preliminari sul territorio di Beneventum e dei Ligures Baebiani, in Lo Cascio E., Storchi Marino A., a cura di, Modalità insediative e strutture agrarie nell’Italia meridionale in età romana, Edipuglia, Bari- Santo Spirito 2001, p. 477 nota 16. 18. L. Quilici, St. Quilici Gigli, Interventi sulla Via Appia, da Roma a Benevento, nel contesto dei lavori per l’Appia antica (pp. 119-129). 19. G. Ceraudo, Viam a Benevento Brundisium pecunia sua fecit. Riflessioni storiche e topografiche sulla costruzione della via Traiana (pp. 131-145). Al riguardo si ricordi almeno L. Castrianni, G. Ceraudo, a cura di, La Regina Viarum e la via Traiana. Da Benevento a Brindisi nelle foto della collezione Gardner, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda 2013. 20. G. Scardozzi, Gli interventi di Traiano sulla rete viaria delle province africane e orientali (pp. 165-181). 21. M. Spanu, La Via Nova di Traiano in Arabia (pp. 183-190). 22. E. Borgia, Il ponte di Traiano sul Danubio e le infrastrutture stradali traianee in Dacia (pp. 153-163). 23. S. Ripà, Il Ponte di Traiano sul Danubio nelle epistole di Marsili: tra fonti edite e inedite, in Traiano. L’Optimus Princeps, op. cit., pp. 189-199, interessante indagine sul lascito intellettuale di un protagonista della Repubblica delle Lettere settecentesca. 24. Carlo Azeglio Ciampi, Intervento del presidente della Repubblica in occasione della consegna delle medaglie d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, Palazzo del Quirinale, 5 maggio 2003 (http://presidenti.quirinale.it/Ciampi/dinamico/ContinuaCiampi.aspx?tipo=discorso&key=22144). 25. Esigenza imprescindibile e che per essere efficace deve avvenire secondo criteri riconosciuti e condivisi: cfr. A. L. Tarasco, Diritto e gestione del patrimonio culturale, Gius. Laterza & Figli, Bari-Roma 2019.
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