di Giuseppe Morante Quella di Silvia Carpentieri è un’arte riflessiva che adotta sovente delle forme direttamente autobiografiche. Riflessività che è elemento peculiare anche dell’arte austriaca di inizio Novecento. Per l’artista la speranza esistenziale collocata nell’arte come la sola via che possa ristabilire un sentimento di unità e di senso, produce in più dei criteri di eccellenza tecnica con esigenze di sincerità e di veracità che è difficile soddisfare. Alla ricerca di una verità autoanalitica dell’arte risponde la scelta dell’artista delle “piccole forme”, che meglio rispondono all’esigenza di sperimentazione che non le grandi forme. Dallo studio dell’opera dell’artista appare in modo chiaro come la tematica naturalistica, gli arabeschi, i richiami esotici, la preferenza per ritmi “musicali” impostati sulla linea curva, la ricercatezza ed il preziosismo del colore e delle decorazioni avvicina la pittura di Silvia Carpentieri al gusto neo rococò, in un’atmosfera surreale ed onirica, con una narrazione interrotta e barocca a metà strada tra l’espressionismo e il surrealismo, giocando sulla contrapposizione tra sogno e realtà. Alla riflessività come caratteristica della sua arte, va aggiunta la dimensione del sogno che consente all’artista di essere spettatrice della propria vita, di isolarsi, di astrarsi, di fantasticare, dove si accentua l’astrazione dalla realtà ed in questo spazio privato fatto di solitudine, l’artista riesce a svuotare la propria anima. Impossibile non vedere nella dimensione del sogno di Silvia un richiamo diretto alla poesia cosmica mitteleuropea. Come in sogno, l’artista scopre il suo duplice io: quello che sogna e lo spirito che contempla il sogno. Nella dimensione del sogno l’artista va a cercare negli abissi, per trarli in piena luce, tutti i nostri sentimenti segreti, quelli che trascuriamo di conoscere. Ci designa dei personaggi, eppure non sono essi; sono insieme simili e diversi; il sogno disegna al lume di luna. Al lume di luna Silvia Carpentieri disegna soprattutto volti femminili, alla ricerca del proprio volto, della propria immagine, della propria identità. La figura femminile rappresenta per l’artista un’importante funzione stabilizzatrice. Originata probabilmente dalla volontà di replicare la propria immagine per sottrarla all’evanescenza, tale riproduzione arresta per un momento il flusso dell’esistenza e consente di costruire un oggetto solido e stabile, fuori dal tempo, definito nel suo contorno, dove sotto l’impulso dell’emozione tale contorno ha assunto una forma espressiva; è diventato un ordine, un’unità, un equivalente formale della sua emozione. In questo processo di scomposizione del volto, l’artista mette in moto un meccanismo che tecnicamente prevede la divisione, la differenza, la scissione all’interno del soggetto. Ci troviamo di fronte a una relazione dove l’oggetto si trasforma da osservato in osservatore, così che l’artista che dipinge diventa a sua volta oggetto di osservazione da parte di questa porzione scissa di sé. Gli occhi vanno dallo specchio al quadro, ma anche dal quadro al pittore. Non è più l’artista che si guarda allo specchio, ma è lo specchio della tela che osserva l’artista e attraverso l’artista noi fruitori. Questi volti e profili si alternano alla simbologia dell’albero. Albero il cui tronco, a volte, è sottile e senza foglie, allegoria alla condizione femminile di solitudine e a volte tale albero è rigoglioso, pieno di fiori rimandando ad uno stato d’animo di serenità e di dolcezza. L’albero ha per l’artista un valore determinante poiché si radica nel profondo ed il suo radicamento nell’oscurità dell’inconscio è equivalente al suo radicamento nello spazio notturno celeste, in quanto grande albero del mondo, che avvolge, salvaguarda e alimenta questo mondo, al quale l’uomo appartiene. Nell’icona dell’albero l’artista offre una delle massime espressioni della bellezza, intesa come capacità di rivelare il tutto nel frammento. La contemplazione dell’albero ridesta la coscienza dell’uomo e l’artista, in tal modo, mostra la strada verso quelle immagini ancestrali che aprono alla creazione artistica. Il desiderio insopprimibile dell’unità, della verità, delle nostre origini più nascoste e del pieno compimento a cui aspiriamo, il bisogno e la ricerca inesauribile della giustizia, del bello e dell’amore che da sempre affascinano l’umanità, sono come condensati nella rappresentazione di questo particolare della realtà, che assume nelle opere dell’artista di volta in volta aspetti e significati diversi. È nella grafica che fiorisce lo stile dell’artista; è qui che possiamo sottolineare una maggiore autonomia riguardo alla pittura, il linearismo che armonizza sulla medesima superficie forme estrapolate e figurative e la percettibilità per la ripartizione della superficie. L’artista divulga l’elegante linguaggio dell’ornamentazione grafica stilizzata che l’avvicina alle esperienze dell’Art Nouveau tra immagini che pretendono di avere valore esclusivamente decorativo, non facenti allusioni a particolari soggetti esterni, e quelle predisposte a stilizzare in senso astratto composizioni di stampo naturalistico, in cui l’io individuale si sviluppa in totale armonia con l’universo. La Carpentieri si pone, in un certo senso, nel solco della lezione secessionista dove il passato è la principale ossessione, non l’avvenire; la cui modernità nasce da uno stato di agitazione, di turbamento con il passato. Queste opere non sono recupero di modelli poetici tardo barocchi, dove l’esigenza di esprimersi pittoricamente inizia solo quando dominano le oscure sensazioni e dominano sulla soglia che conduce all’altro mondo, il mondo in cui le cose non si scompongono più nel tempo e nello spazio. Ma questo “altro” rappresenta per Carpentieri non una sublimazione della realtà nella quale veder superate le bruttezze e le storture della natura umana, ma una costante tensione dialettica fra due realtà parallele che non potendo compenetrarsi si oppongono. Alla sfera del brutto non contrappone l’universo del bello, ma una controparte astratta di quella quotidianità alla quale la vita spirituale dell’artista si sente totalmente estranea. Ed allora l’“altro mondo” assurge a radicale metafora dell’esperienza artistica complessiva, rifugio supremo del “soggetto interiore” che Carpentieri ritiene possa esistere ed agire solamente in una dimensione totalmente spirituale. La creazione artistica significa per Carpentieri rispecchiare, costruire, far risuonare un mondo, un altro mondo che, afferrato interiormente nella sua totalità ed essenza, si contrappone alla confusione del quotidiano. Ma questa scelta non ha esiti mistici, contemplativi, che si riflettono in un afflato religioso verso l’assoluto raggiunto con la catarsi spirituale, cammino ascetico verso la santità. L’azione del soggetto interiore, dello spirito creativo all’interno di questo universo metaforico ha un fondamento oscuro, una dimensione intrinsecamente tragica che si traduce in una progressiva dichiarazione di totale impotenza di fronte all’ineluttabile, alla cessazione del sogno, alla scomparsa del mito. L’artista, pertanto, nel creare l’oggetto e nel proiettarlo nell’opera d’arte, è in grado di trasformare la sofferenza in compiacimento e godimento del prodotto artistico. Siamo al di là del bello e del brutto, la bellezza è sovrastata dall’urgenza espressiva dove il tutto è condensato nella cieca disperazione dell’uomo che si raggela e si dissolve nella sua impotente immobilità. Arte come movimento interiore, azione volontaria di esternare ed oggettivare la profondità della psiche, il subcosciente, l’inconscio, in cui le figure ritornano al grembo dell’essere, ove non è più possibile distinguere l’individuo dal “tutto”.
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