di Claudio Bocci e Silvia Cacciatore Le imprese culturali giocano un ruolo fondamentale all’interno della società, in quanto riflettono l’identità culturale di un Paese, nella misura in cui i prodotti che offrono rispecchiano gli abitanti di quel Paese e tutti i loro costumi, valori, contraddizioni e aspirazioni […]. Le imprese culturali aprono una finestra sul mondo […] e rappresentano una forza economica importante in virtù dei posti di lavoro che creano e del loro contributo al Prodotto interno lordo della Nazione. François Colbert, Marketing delle arti e della cultura (2009) In Italia [1] la partecipazione culturale complessiva da parte di turisti e residenti relativa al patrimonio storico e artistico (monumenti, musei, gallerie d’arte e siti archeologici), nel confronto con gli altri Paesi Europei, si attesta intorno al 44,5%, a fronte del 55,8% della Germania e del 77,6% del Lussemburgo. Nel settore dei teatri e concerti siamo al 43,7%, rispetto al 48,5% della Grecia e al 77,8% del Lussemburgo. Nell’ambito del Cinema i numeri sono più confortanti: il nostro Paese è al 51,4% rispetto al 56% della Finlandia e al Lussemburgo, che detiene ancora il virtuoso primato, con il 73,3% di partecipazione. Guardando ai dati Istat [2], nel 2016 i visitatori dei soli siti statali italiani sono stati 49.917.120 unità, (110.567.265 i visitatori complessivi di musei statali e non statali nel 2015), con un’incidenza della spesa per ricreazione e cultura sul budget complessivo delle famiglie passata dal 5,8% del 1998 al 7% del 2014 (intorno ai 65.326,4 euro). Le imprese culturali e creative in Italia [3] sono circa 413.752 e riescono, da sole, a generare un valore aggiunto di 89,9 miliardi di euro, occupando 1.495.000 persone. Dopo che l’Unesco, proprio in questi giorni, ha aggiunto altri siti italiani nella lista del Patrimonio dell’Umanità, portando a 53 i luoghi simbolo sul nostro territorio (l’Italia si situa quindi al primo posto, seguita da Cina, Spagna, Francia e Germania), occuparsi di politiche pubbliche in grado, non solo di tutelare, ma di valorizzare le nostre inestimabili ricchezze culturali, rappresenta una priorità, soprattutto in relazione allo sviluppo di una fruizione sempre più ampia che investa le generazioni presenti e quelle future. I TEMI DELLA CONFERENZA NAZIONALE DELL'IMPRESA CULTURALE È proprio a partire da tale contesto e con l’intento di diffondere una maggiore consapevolezza su questi argomenti che, a partire dal luglio 2016, Federculture, Agis, Alleanza Cooperative Turismo e Beni culturali e Forum del Terzo Settore (realtà diverse, ma tutte protagoniste nel Paese della gestione e della valorizzazione dei beni e delle attività culturali), si sono riunite per la prima volta con lo scopo di avviare un tavolo di lavoro comune sul tema dell’Impresa Culturale. All’interno del più ampio sistema culturale, possiamo definire Imprese culturali quelle che, in attuazione dell’art. 9 della Costituzione, svolgono attività tese alla realizzazione di progetti di valorizzazione dell’eredità culturale - anche nel senso inclusivo e partecipativo previsto dalla Convenzione di Faro - e sono accomunate dalla finalità di garantire il diritto di accesso alla cultura da parte del pubblico. Le imprese creative, d’altra parte, sono rappresentate da quei soggetti che, partendo da un input culturale, producono beni e servizi destinati al mercato (es. design, architettura, moda, videogiochi) e che, con un legittimo orientamento al profitto economico, appaiono complementari al sistema delle imprese culturali. I Promotori del tavolo di lavoro sull’impresa culturale (ai quali si sono affiancati anche FAI e WWF) hanno condiviso un percorso di confronto ed elaborazione comune per far emergere gli elementi distintivi del sistema culturale in cui operano e che rappresentano. La prima esigenza che si è evidenziata è stata quella di individuare le specificità del settore che, nelle sue varie sfaccettature, può essere descritto come la “filiera” costituita dal complesso delle imprese culturali e creative. Il punto di convergenza sul quale il lavoro si è incardinato è stato la condivisione di una “cultura di gestione” quale tema sul quale tutte le diverse realtà si misurano nell’approccio alla valorizzazione culturale. LA NECESSITA' DI FARE IMPRESA Da queste premesse è nata l’idea della Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale, svoltasi a L’Aquila il 5 Luglio scorso, come momento di confronto e proposta focalizzato sul segmento delle imprese culturali. La Conferenza ha avuto, come primo obiettivo, quello di incrementare, tra gli attori istituzionali, gli stakeholder pubblici e privati e, soprattutto, tra gli amministratori locali e nazionali, la coscienza del peso strategico delle imprese protagoniste nella gestione dell’offerta culturale del Paese in chiave di pubblica fruizione. E soprattutto di diffondere la consapevolezza che un’impresa culturale “innovativa e sostenibile” contribuisce a rafforzare il ruolo degli attrattori culturali anche in chiave turistica, creando un ecosistema di servizi “ancillari” che, se integrati a quelli culturali, contribuiscono alla creazione di un circolo virtuoso di sviluppo territoriale. L’evento ha rappresentato il primo appuntamento nazionale durante il quale è emersa la necessità di dotarsi di una disciplina normativa specifica per l’impresa culturale che, in prospettiva, affermi il principio dell’«eccezione culturale», legato alla finalità di fruizione pubblica che ne contraddistingue l’identità. L’obiettivo è dunque avviare una interlocuzione attiva con il Paese e con i decisori politici dei diversi livelli istituzionali (Stato, Regioni, Comuni, Sistema Camerale), in merito al ruolo dell’impresa culturale e alla sua capacità di creare valore sociale ed economico per la collettività, ponendo quindi le basi per lo sviluppo territoriale legato alle molteplici finalità che il settore in sé persegue. LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE Il momento per avviare un tavolo di lavoro condiviso coincide con le importanti novità introdotte a livello legislativo proprio in questa fase. Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti, ha approvato il 28 Giugno scorso, in via definitiva, tre decreti legislativi di attuazione della legge delega per la Riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale (L. 6 giugno 2016 n. 106). Il decreto è volto a colmare le attuali lacune, relative al regime fiscale delle Imprese Sociali, e a rimuovere le principali barriere al suo sviluppo, rafforzando il ruolo del Terzo settore nell’ambito della crescita economica del Paese. Le principali novità riguardano:
Secondo la nuova normativa, possono acquisire la qualifica di Impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti in forma societaria, che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività. Per le loro specifiche caratteristiche, le imprese sociali rafforzano il concetto che si può fare buona impresa anche senza avere il profitto come fine fondamentale di attività. OCCUPAZIONE E SISTEMI DI GOVERNANCE La Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale non poteva non prendere in considerazione l’iter legislativo del disegno di legge contrassegnato AC 2950 sul sostegno alle imprese culturali e creative; del provvedimento ha riferito la Relatrice, On. Irene Manzi, a cui, da più parti, è stata segnalata l’utilità di distinguere, nel legiferare su un comparto che potrebbe avere importanti riflessi in termini di nuova occupazione, tra le due tipologie di imprese, proprio in ragione delle differenti finalità ultime che esse perseguono. Il tema degli effetti che le politiche pubbliche debbono concretamente perseguire è stato il cuore dell’intervento del Sottosegretario Mibact, On. Prof. Antimo Cesaro. Consapevole delle scarse risorse che sono assegnate al settore, il Sottosegretario Cesaro si è riproposto di verificare con attenzione gli effetti delle modalità di attribuzione, attraverso bandi non di facile applicazione da parte delle associazioni culturali, degli oltre 105 mln di euro assegnati dal Bando Cultura Crea del PON Cultura e Sviluppo. Il Sottosegretario, consapevole che il Ministero è titolare di una quota minoritaria di beni culturali, ha poi segnalato l’orientamento, che il Mibact intende sempre più perseguire, nel promuovere un percorso di valorizzazione di concerto con gli altri livelli istituzionali (Regioni, Province e Comuni in primo luogo) e ha accolto la proposta di istituire un Tavolo Interistituzionale permanente per le politiche della gestione. Nel corso del dibattito che si è sviluppato, sono state avanzate interessanti proposte e si è ribadito come lo sviluppo dell’Impresa culturale debba coincidere con la creazione di nuova occupazione, con una partecipazione attiva e più ampia da parte della cittadinanza, con la possibilità di creare uno scenario condiviso per la crescita sostenibile del sistema creativo. Se infatti le varie Associazioni e Cooperative rappresentano uno strumento prezioso per lo sviluppo di borghi e paesaggi rurali, è anche vero che spesso mancano le competenze giuste al loro interno, e, ancora più spesso, le risorse economiche per acquisirne di nuove. Si fa notare [4] come nel settore delle Performing Arts si contino, infatti, 129.500 occupati a fronte di 1.061 imprese, mentre in quello del Patrimonio Storico Artistico gli occupati siano circa 53.000 per un totale di imprese pari a 12.337 (si passa quindi da circa 122 addetti/ impresa a circa 4 addetti/impresa, per una forbice di 118 assunti in meno per ogni impresa culturale che opera nel settore del patrimonio artistico). È in questo contesto che emerge, in maniera chiara, il ruolo svolto dal volontariato: il suo peso all’interno delle strategie pubbliche di tutela dei beni culturali e, soprattutto, il suo utilizzo da parte delle attività profit e non -profit che investono in prima persona nel settore. I volontari costituiscono sicuramente un’importante risorsa per il nostro Paese (basti pensare che il FAI, tra gli Enti promotori della Conferenza, ne include moltissimi all’interno delle proprie Giornate del Patrimonio ma riesce, poi, nel complesso, a coinvolgere anche 3.500.000 cittadini in iniziative di partecipazione pubblica sul web e nelle aule scolastiche, generando 4,4 milioni di euro in investimenti nei confronti del patrimonio e una capacità di autofinanziamento dell’89%: numeri virtuosi, che da soli riescono a spiegare concretamente che unire mentalità imprenditoriale e attività sociale è possibile). Ma se si riducesse l’adesione volontaria alla partecipazione culturale e, con essa, l’impegno di milioni di persone che amano i luoghi della cultura, non si genererebbe forse un enorme, impressionante, fabbisogno di personale? Si tratta di un punto critico su cui occorre un supplemento di riflessione da parte delle politiche pubbliche perché se, da un lato, occorre salutare con soddisfazione i rilevanti livelli di impegno volontario dei cittadini, dall’altro, occorre evitare che questa disponibilità sottragga lavoro ad un settore che ha un enorme fabbisogno di professionalità e competenza e che, invece, proprio da una consapevole politica che affronti il tema della gestione sostenibile, potrebbe creare nuove imprese e nuova occupazione. VALORI E SOSTENIBILITÀ L’esperienza di Federculture e dei suoi Associati dimostra che è possibile fare buona impresa, creare nuova occupazione e favorire lo sviluppo sociale ed economico dei territori. Ciò è realizzabile, però, a condizione che si affermi una consapevole governance di parte pubblica, che individui e promuova modelli gestionali innovativi e sostenibili in grado di generare valore. Un valore che, trattandosi di cultura, è, insieme, economico e sociale. L’attività dell’impresa culturale, infatti, è in grado di generare risorse economiche che, tuttavia, non sempre sono in grado di equilibrare i costi. D’altra parte, una rilevante quota di valore generato dall’impresa culturale è di tipo sociale che, per sua natura, trova difficoltà ad essere misurato in assenza di una metrica che valorizzi le attività finalizzate a creare coesione sociale, a favorire il dialogo interculturale, a promuovere la partecipazione di pubblici spesso lontani dall’esperienza culturale. È in questa linea di confine che dovrebbe collocarsi il finanziamento pubblico dell’impresa culturale, chiamata a generare valore per la comunità dei cittadini e per i turisti. Non va dimenticato, infatti, che siamo e restiamo in un’Europa sociale di mercato, in cui la competitività dei settori economici convive con un’attenzione crescente verso il welfare, attuato da politiche pubbliche che favoriscono la partecipazione culturale. (In questo senso, molto c’è ancora da fare: nel 2015 l’88.3% della popolazione complessiva del nostro Paese non ha mai assistito ad un concerto di musica classica, il 78.8% non ha mai visto uno spettacolo teatrale, il 51.9% non ha mai letto un quotidiano, il 56.5% non ha mai aperto un solo libro) [5]. Qualsiasi organismo vocato a promuovere cultura, grande o piccolo che sia, è responsabile dell’accesso, della fruizione e della partecipazione all’esperienza culturale dei cittadini. Ed è quindi prioritario, per ognuno di essi, cercare di diffondere, non solo conoscenza ma consapevolezza, modelli di condivisione, capacità di fare rete. D’altra parte, l’esperienza culturale può essere promossa anche da realtà associative di non grandi dimensioni ma fortemente radicate sul territorio. E’ anche a questo comparto che occorre prestare attenzione e verificare l’efficacia della riforma del Terzo Settore che, come è stato sottolineato [6], in prima battuta sembra non tenga adeguatamente conto delle piccole Associazioni culturali, prima tappa verso la costituzione di vere e proprie Imprese: gruppi formati prevalentemente da giovani appassionati, che sono riusciti a trasformare la loro passione per la cultura in progetti solidi, che hanno avuto sinora un ruolo cruciale sia sul fronte della produzione culturale che su quello dalla salvaguardia e della valorizzazione del patrimonio. Nel disciplinare in modo chiaro la materia, il Codice del Terzo Settore considererà prioritari cinque aspetti in particolare [Consiglio, D’Isanto, 2017]:
La spinta verso un modello unico di Impresa Sociale inviterà, pertanto, le attuali Associazioni ad adeguarsi alla normativa; ci si augura che, in questo passaggio, esse possano essere sapientemente guidate verso l’acquisizione di una diversa forma giuridica, che ne rispetti la natura intrinseca e le finalità, consentendo loro di acquisire uno status con maggior potere nell’economia complessiva del Paese. UNA VISIONE STRATEGICA E INTEGRATA DEL PATRIMONIO Il patrimonio culturale non ha solo la funzione di essere fruito, ma può svolgere un ruolo molto più ampio, sia nell’ambito di una nuova economia sostenibile, sia nell’ambito della coesione sociale, dell’inclusione, di un welfare cittadino e territoriale. È necessario quindi che le imprese culturali siano valutate proprio per la portata di utilità pubblica che riescono a generare. Oltre alla distinzione necessaria dell’impresa culturale dall’impresa creativa, (entrambe inscrivibili all’interno di una filiera in cui l’una nasce come presupposto dell’altra), si evidenzia come sia essenziale posizionare l’offerta culturale all’interno di un mercato che, al momento, è ancora in fieri, e solo potenziale, perché non studiato in maniera appropriata. È da qui che nasce il Premio Cultura di Gestione, promosso da Federculture, Agis, Alleanza Cooperative Italiane Turismo e Beni Culturali e Forum del Terzo Settore, allo scopo di individuare e valorizzare i modelli che si sono rivelati innovativi nella gestione della cultura poiché hanno saputo generare un incremento della domanda e migliorare l’offerta di beni e di attività culturali, coniugando la sostenibilità economica con il raggiungimento di obiettivi di pubblica fruizione delle risorse culturali e paesaggistiche. Tra i vari premiati (Fondazione Aquileia; Teatri di Bari; Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino; Anonima Impresa Sociale Soc. Cooperativa; Associazione Culturale “Ecomuseo della Valle dell’Aso”; Teatro Stabile dell'Aquila, oltre a sei Menzioni Speciali ai progetti presentati da: Fondazione ELSA; Consorzio Camù; FOQUS Fondazione Quartieri Spagnoli onlus; Parco Culturale Ecclesiale "Terre del Capo di Leuca – De Finibus Terrae”; Casa Cava Scrl; Cooperativa Terradamare) un’attenzione particolare è stata rivolta al lavoro encomiabile svolto dalla Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino. Basta guardare i dati [7]: la Fondazione è passata da 286.296 visitatori del 2005 a 847.300 nel 2016, con un fatturato totale, nell’ultimo anno, di 118.650 euro, raggiungendo una percentuale di autofinanziamento che attualmente sfiora il 110%. Il valore della produzione è praticamente quadruplicato nell’arco di 6 anni, passando da 3.294.247 euro del 2010 a 12.061.364 euro nel 2016. Come è stato possibile? Grazie a una rinnovata attenzione ai reperti, (dall’allestimento agli standard conservativi), a un’attenta ridefinizione del network di ricerca con altre istituzioni, a un nuovo approccio didattico/divulgativo e un profondo, rinnovato interesse per la centralità del pubblico (programmi di inclusione sociale). Il risultato è un Museo che, con una sapiente operazione commerciale e di comunicazione, è divenuto luogo di aggregazione e al contempo mezzo di diffusione culturale, grazie alle tante pubblicazioni divulgative e scientifiche che hanno contribuito ad amplificare l’interesse e la conoscenza verso la collezione ed i preziosi reperti custoditi al proprio interno. Questo significa che è possibile coniugare valore culturale ed economico, finalità sociali e politiche di marketing, cittadinanza attiva e inclusione sociale. Emerge la necessità di porre l’Audience Analysis al centro delle strategie di sviluppo e di rinnovare l’offerta formativa nel management culturale che contribuisca alla creazione di nuove figure manageriali, con competenze multidisciplinari, che aiutino le nuove Imprese culturali a fronteggiare la domanda crescente di cittadini e turisti e contribuiscano a fare del nostro Paese il centro propulsore di nuove politiche culturali. Alle soglie dell’Anno europeo del Patrimonio, l’Italia deve farsi promotore e snodo principale di una nuova dimensione economica, in grado di reggere il confronto con il resto del mondo: innovazione creativa, ricerca scientifica, attrazione turistica, sostenibilità ambientale e crescita dei territori devono esserne le parole chiave. L’accountability delle imprese culturali deve divenire strumento di misurazione dell’utilità pubblica, intesa sia come capacità di realizzare coesione sociale, che come contributo allo sviluppo sostenibile. La valutazione delle Imprese culturali deve avvenire predefinendo obiettivi ed indicatori, che siano non solo quantitativi, ma anche qualitativi, di impatto occupazionale, culturale e sociale. È venuto il momento di riconoscere la portata strategica che i beni e le attività culturali rappresentano per il nostro Paese. Perché, come ha sostenuto a chiare lettere il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella lettera inviata in occasione dell’apertura dei lavori della Conferenza, «siamo custodi di un patrimonio straordinario, unico al mondo. Un tesoro che trae origine dalla nostra Storia, dalla creatività, dalla Cultura, dai territori, dalle comunità che l’hanno forgiato e incrementato nel tempo. Questa ricchezza, se chiusa in un forziere, sarebbe sterile, rischierebbe di deperire. Occorre, al contrario, che essa sia motivo di ispirazione, contribuisca alla qualità della vita contemporanea, sia leva di crescita civile, occasione di dialogo e di pace, stimolo ulteriore alla creatività dei giovani. La fruizione dei beni e delle attività culturali è un valore e ha carattere pubblico. Allargare sempre più l’area degli utenti e dei beneficiari, italiani e stranieri, è obiettivo dell’intera società. Attivare un tessuto virtuoso in cui siano legate fra loro la rigorosa tutela e conservazione di beni culturali, con la creatività, lo sviluppo dell’industria turistica, costituisce una sfida rilevante per il nostro Paese e il suo ruolo di leader culturale. Le imprese – nelle loro diverse forme – che svolgono attività legate alla cultura, all’Arte, al turismo, allo spettacolo, sono essenziali a questo scopo». Siamo di fronte a nuove sfide, che gli operatori del settore dovranno cogliere e affrontare, riconoscendo il nostro inestimabile patrimonio come vero e proprio vantaggio competitivo nei confronti degli altri Paesi del Mondo. Gli esempi e i numeri virtuosi della Fondazione Museo delle Antichità Egizie, presentati a L'Aquila nell'ambito della Conferenza Nazionale dell'Impresa culturale, dovrebbero presto divenire prassi comune, se si vuole fare del nostro Paese un luogo dove la Cultura significhi davvero "coltivare il sé". È per questo che, se le politiche rivolte alla gestione possono determinare una nuova qualità dello sviluppo, è quanto mai urgente estendere la consapevolezza dei decisori politici, ai diversi livelli istituzionali, sull’articolato percorso che occorre intraprendere. In questa direzione potrebbe svolgere un compito rilevante la proposta di Federculture di istituire una Scuola di governo locale per lo sviluppo a base culturale, rivolto in primo luogo ad Amministratori e funzionari pubblici chiamati a declinare correttamente il rapporto tra cultura e sviluppo. NOTE
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
SITI INTERNET CONSULTATI
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