di Maria Sirago Le feste religiose La festa di San Giovanni Battista Anche in alcune feste religiose il mare era presente. Una delle feste più sentite era quella di San Giovanni Battista, il 24 giugno, celebrata nella chiesa di San Giovanni a mare, nei pressi di quella di Sant’Eligio, al Mercato, prospiciente il mare (ancora esistente ma molto malandata)[88]. La chiesa era stata fondata in epoca normanna dai cavalieri gerosolimitani (poi di Malta) con un ospedale annesso per curare i feriti che tornavano dalla Terra Santa. Poi nel 1336 era stata ampliata da Giovan Battista Carafa. Nella notte di San Giovanni i napoletani di entrambi i sessi celebravano le feste in suo onore immergendosi nel mare nudi cantando salmi, un bagno purificatore e propiziatorio, quasi “battesimale”, che si richiamava ad antichi riti pagani celebrati nel solstizio d’estate: l’uso era ricordato nella anonima Storia dei cient’anne arreto stampata a Napoli nel 1789 da Giuseppe Maria Porcelli e attribuita al napoletano Velardiniello vissuto nel XVI secolo, autore di villanelle e altri componimenti in dialetto napoletano, capostipite di poeti popolari e cantastorie della città partenopea [89]. Anche Benedetto di Falco a metà Cinquecento raccontava che la vigilia di San Giovanni vi “era una antica usanza, hoggi non al tutto lasciata, che …. verso la sera e’scuro del di, tutti, huomini e donne, andare al mare, e nudi lavarsi, persuasi purgarsi de’ loro peccati, alla foggia de gli antichi, che peccando andavano al Tevere a lavarsi, e come san Giovanbattista per la lavation ne ammaestra”, una usanza raccontata anche da Petrarca che aveva visto molti “Alemani” bagnarsi nel Reno con la stessa finalità [90]. Questa festa rappresenta un buon esempio della importanza politica attribuita alla celebrazione della città: pare che sia stata introdotta con valenza politica nel 1522 quando il viceré Carlo di Lannoy ratificò le grazie e i privilegi della città concessi da re Ferdinando e confermati da Carlo V. Da quel momento cominciò una nuova tradizione, che creava un abbraccio virtuale tra la città e i napoletani, rappresentata dalla cavalcata del viceré, preceduto dall’Eletto del Popolo come suo anfitrione. La festa religiosa rappresentava il battesimo nel mare ma in realtà man mano si era trasformata, con i suoi sontuosi apparati, nella glorificazione dei viceré [91]. La festa nel corso del Cinquecento venne organizzata soprattutto in occasioni particolari come la venuta del nuovo viceré. Ma i riti che si svolgevano di notte spesso provocavano disordini per cui spesso fu proibita. Nel 1595, sotto il governo del vicerè don Enrico de Gusman conte di Olivares fu “sfarzosissima”; ed anche quelle in onore del secondo conte di Lemos don Pedro de Castro e della moglie Catalina de Sandoval, tra1613 e 1614, furono splendide [92]. Ma le più pompose furono quelle che vennero allestite all’epoca del duca d’Alba, dal 1622 al 1699, descritte anno per anno da Giulio Cesare Capaccio [93]. La festa, organizzata a spese degli artefici e mercanti, era ben codificata nel cerimoniale di corte. Il 24 giugno, giorno della nomina dell’Eletto del Popolo, che coincideva con la festa di San Giovanni, questi raggiungeva il viceré, insieme ai capitani e consultori delle Piazze. Quel giorno poiché era la festa del popolo, l’Eletto aveva il diritto di andare a cavallo prima del viceré, mostrandogli la strada che conduceva nel quartiere di sua giurisdizione, di entrare attraverso un arco trionfale con molte statue e fiori predisposto dopo la chiesa di Monserrato, e precedendo il viceré indicava il percorso lungo tutto il quartiere fino alla chiesa di San Giovanni. A partire dalla piazza dell’Olmo, tappezzata a festa, man mano gli indicava le altre piazze e tutte le decorazioni fatte in suo onore. La piazza più adorna era quella della Sellaria dove si erigeva un grosso arco trionfale e scritte in lode del viceré, il tutto volto a rappresentare l’abbondanza e il benessere della città. Lungo il percorso vi erano fuochi artificiali e musica. Di ritorno dalla cavalcata il vicerè entrava in Castelnuovo con la viceregina e salivano su un palco – belvedere per sedersi su “due ricchissime sedie” attorniati dai cortigiani per vedere lo spettacolo di fuochi pirotecnici, le luminarie e i fuochi a salva sparati da tutti i castelli e dalle galere. A questa festa il vicerè duca d’Alba partecipò durante tutti gli anni del suo governo “con un’autorità e una grandezza regale, quasi fosse stato il re in persona [94]. Lungo il percorso, ricostruito da Valerio Petrarca [95], veniva raggiunto il Borgo degli Orefici, il più ricco della città, magnificamente addobbato insieme a quello dei taffettari (commercianti di stoffe preziose) e si allestivano cuccagne con cibi di ogni genere, specie quelli ittici, adagiati su drappi azzurri per richiamare l’elemento marino e venivano create fontane da cui sgorgava vino [96]. Nella ricostruzione del Petrarca vengono illustrate le tavole iconografiche allestite di volta in volta, dal ritratto del viceré, di cui veniva illustrata la virtù, al mitico passato della città con le ninfe marittime, in primis Partenope e il fiume Sebeto, cantato dal Sannazaro, tritoni e tutto l’apparato allegorico marino, immagini stampate nel testo dell’Orilia [97]. L’area urbana veniva trasformata in un immenso teatro e venivano costruite macchine effimere, uso consolidatasi nel tempo, archi, porte, teatri, architetture commestibili e pirotecniche (che davano precisi messaggi al viceré, poiché insistevano sul territorio del mercato cittadino. Le porte e gli archi riconoscevano il ruolo del viceré e la devozione dei mercanti a Madrid. Gli apparati trasformavano il percorso in una gigantesca festa dove i mercanti delle varie corporazioni facevano a gara nel mostrare la loro importanza, per ostentare la loro funzione nella vita economica e sociale della città. Nel percorso si nota una deviazione verso il luogo frequentato dai pescatori, la pietra del pesce, per inglobare nella topografia simbolica delle città anche lo spazio vitale delle acque del golfo: qui veniva costruito un enorme effimero pirotecnico a forma di pesce, incendiato al tramonto, quando il viceré tornava a Palazzo [98]. Era una festa importante perché sottolineava il legame fra viceré e popolo, quasi un abbraccio virtuale del potere costituito con l’elemento popolare, pronto alla ribellione specie quando mancava il pane, per cui era necessario tenerlo a bada e consentire apparente spazio di manovra. Il momento di maggior splendore della festa si ebbe proprio negli anni di governo del duca d’Alba, dal 1622 al 1629 [99], per il quale si conservano otto testi, in buona parte scritti da Giulio Cesare Capaccio, che nel 1602 aveva ricoperto il ruolo di segretario della città [100], in cui si evince un eccezionale ritratto dell’ideologia espressa come specchio del “buon governo” spagnolo [101]. Le celebrazioni furono proibite il 1647, poiché si avvertiva un certo movimento nella città sfociato pochi giorni dopo, il 7 luglio, nella “rivolta di Masaniello [102]. Lo stesso accadde l’anno seguente, anche se i tumulti erano stati repressi. Ed un altro momento di stasi si ebbe durante la peste del 1656. Ma a parte queste interruzioni Andrea Rubino nel suo inedito diario conservato presso la Biblioteca della Storia Patria di Napoli confermava i festeggiamenti svoltisi tra il 1649 ed il 1668 [103]. Nel 1649, dopo la repressione della rivolta, la cavalcata, la più importante cerimonia che la città offriva al governo del viceré, fu una autentica consacrazione delle capacità del conte d’Oñate Íñigo Vélez de Guevara viceré dal 1648 al 1653 come manipolatore della comunicazione festiva, anche perché la festa doveva sancire la pacificazione della città e del regno [104]. Anche negli anni seguenti la festa ebbe un certo rilievo: in quella del 1660 dedicata a Gaspar de Bracamonte y Guzmán, conte di Peñaranda, viceré dal 1659 al 1664, Andrea Rubino nota: «In quest’apparato vi furono molti elogii in lode del Viceré»[105], da lui non riportati perché non aveva reperito i testi. Durante il governo del cardinale Don Pietro Antonio d’Aragona, viceré dal 1664 al 1666, l’eletto del Popolo Francesco Troise “per lodare in parte il felice et ottimo governo, et insieme commendare con le sue virtù l’utilissime et grandiose fabriche da lui fatte nella Città di Napoli, come quella dell’Armaria nel Castello Nuovo, l’Hospitio de Poveri, l’edificio di Pizzofalcone per la soldatesca, la Tracina (darsena) per la sicuretà delle navi, quale era già in fine, i bagni in Pozzuolo, et altri abbellimenti, gli dedicò con dimostrationi estraordinarie la celebre festa di San Giovan Battista”[106]. Ma pian piano, mentre si profilava una difficile successione alla morte di Carlo, che non aveva eredi, la festa cominciò a perdere di importanza, anche se nelle cronache di Innocenzo Fuidoro e nel testo di Carlo Celano ancora a fine Seicento veniva illustrata. Quando il regno divenne indipendente, all’arrivo di Carlo di Borbone (1734), svanito l’antico ruolo politico, i festeggiamenti per il santo si ridussero a semplici cerimonie religiose [107]. Una delle feste più sontuose celebrata in San Giovanni a Mare, addobbata pomposamente, come ricorda Domenico Antonio Parrino, fu quella organizzata per Gregorio Carafa, priore di Roccella, eletto Gran Maestro dell’Ordine di Malta nel 1680 [108]. Anche qui si costruirono quadri scenografici per richiamare le antiche virtù di un nobile napoletano assurto a tale prestigioso ruolo [109]. Alla festa partecipò anche il viceré marchese di Los Velez, Fernando Joaquín Fajardo de Requeséns y Zúñiga che però, su consiglio del maestro di cerimonie per motivi di etichetta, vi andò solo nel dopo pranzo [110]. Le cuccagne organizzate per la festa di san Giovanni erano simili a quelle organizzate il primo maggio dalla comunità dei marinai che avevano eretto la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo nella vicina piazza di Majo di Porto. Qui il primo maggio “si faceva una festa apparandosi tutta di fiori di ginestre, che fino a’ nostri tempi di chiamano fiori di majo, e vi si piantava un lungo arbore di nave e nella cima vi s’attaccavano diversi premii, ed erano di coloro che a forza di braccia e destrezza vi salivano, e questo gioco anco a’ tempi nostri ritiene il nome di maio”[111]. La festa di Piedigrotta La festa di san Giovanni venne man mano sostituita da quella della Madonna di Piedigrotta, celebrata l’otto settembre dal viceré con tutta la sua corte. Anche questo culto è antico, risalirebbe alla venuta di San Pietro a Napoli dove aveva deciso di costruire una piccola cappella in onore della Madonna nella grotta in cui si celebravano i riti orgiastici di Priapo. Anche in questo caso c’è una sovrapposizione dei culti cristiani su quelli antichi che riaffioravano nel momento della festa. La Chiesa fu visitata anche dal Petrarca durante il suo soggiorno napoletano a metà Trecento. Poi nel 1493 fu affidata ai canonici lateranensi che la accrebbero e abbellirono. Durante la dominazione spagnola ebbero a cuore la festa e vi intervennero personalmente a partire dal 1616 [112]. Jean Jaques Bouchard, che visitò Napoli nel 1632, annovera la festa che si svolgeva tra la marina di Mergellina e l’odierna riviera di Chiaia tra quelle più importanti per sfarzo e apparati scenografici: la mattina vi concorreva il popolo napoletano che danzava e cantava mentre venivano allestite delle “bancarelle” traboccanti di ogni sorta di cibo. Nel dopopranzo arrivava anche il viceré con tutta la nobiltà per cui a partire dalla porta di Chiaia per due miglia si snodava una lunga fila di carrozze tanto compatta da impedire il passaggio ai pedoni, una vista simile a quella del Louvre di Parigi [113]. La corte viceregnale aveva mostrato di essersi consolidata dagli inizi del Seicento, quando il vicerè conte di Lemos Fernando Ruiz de Castro e la viceregina donna Catalina de la Cerda avevano commissionato all’architetto Domenico Fontana la costruzione del nuovo palazzo reale, aveva consolidato la sua immagine proprio attraverso queste feste, codificate da un rigido cerimoniale [114]. Dalla seconda metà del Seicento fu stabilito che sfilassero anche le truppe per cui si ebbe una vera e propria parata militare. Nella Gazzetta del 1675 si dava avviso della festa: … fu innumerabile il concorso di tutte sorti di persone alla Chiesa di Santa Maria di Pie’della Grotta; e su’l tardi vi si portò con numeroso corteggio Sua Eccellenza che fu’ salutata con salva di moschettaria dal Squadrone di Fanteria, che per tal festa si trovava piantato al Borgo di Chiaia. Due anni dopo si descriveva la stessa cerimonia ma la novità era che il vicerè era intervenuto con “una nuova e assai bella carrozza”[115]. Nel Diario di Innocenzo Fuidoro viene descritta la festa del 1695: per essere stata bella giornata, vi fu gran passeggio di carrozze piene di dame e cavalieri e d’infinita gente a piedi dell’uno e dell’altro sesso, com’anche di fellughe e barchette per mare [116]. Per la festa era previsto un preciso cerimoniale: il viceré andava al “passeggio” con la viceregina; se ella non era presente veniva accompagnato da quattro cavalieri avvertiti dal mastro di cerimonie che lo raggiungevano a cavallo; in quel caso anche il viceré interveniva a cavallo. Si faceva una funzione fuori della porta di Chiaia, dove veniva predisposto un gradino di legno per il viceré; insieme ai quattro cavalieri era accompagnato dal capitano della guardia, dal maestro di cerimonie, dal giudice della vicaria. In un altro passo dei cerimoniali si specificava che se la viceregina era in carrozza con le dame e il viceré a cavallo egli doveva andare “vicino allo staffone della carrozza” e gli altri dignitari dietro la carrozza [117]. In tal modo il viceré rendeva presente il re assente, in modo da divenire un rappresentante di sé ma anche di un altro, con la sua duplice veste di nobile e incaricato di governo, una eccezionalità sancita anche dal rigoroso cerimoniale e sugli apparati volti a confermare questa immagine particolare. Attraverso le cerimonie la corte viceregnale si proiettava sull’intero spazio urbano e sulla piramide sociale. Il linguaggio cerimoniale era dunque il primo mezzo di espressione per una capillare propaganda [118]. La descrizione della festa di Carlo Celano era ancor più dettagliata: egli aggiungeva che vi accorrevano non solo i cittadini ma anche “tutta la gente de’casali”, tanto che la spiaggia era quasi impraticabile per la folla mentre in tutte le case vicine si allestivano lauti banchetti e lungo il percorso si vendevano cibi di ogni tipo, una sorta di street food ante litteram. Poi nel pomeriggio arrivavano il viceré e la regina con la carrozza attorniata da quelle degli altri nobili, anche 200,e aspettavano il tramonto, quando le milizie sparavano a salve e dalle galere si facevano fuochi artificiali [119]. Anche Domenico Confuorto descriveva la fastosa festa: l’8 settembre del 1683 il “viceré, accompagnato dalli signori generali delli vascelli e delle galere, andò alla festa …, servito dalle compagnie di lancie; e si fecero nel Borgo di Chiaia molti squadroni, così di cavalleria come di fanteria italiana e spagnola, quali, nel passar che fecer, ferono molte salve. E fu tanta la folla delle carrozze de’ cavalieri e dame, oltre la gran turmaglia del popolo, che per tutta quella strada lunga e larga del Borgo di Chiaia non si poteva passare”[120]. Si codificava così di anno in anno, insieme alla festa religiosa, l’esposizione in grande assetto della parata militare, a simboleggiare la potenza spagnola, proprio negli anni in cui iniziava la sua decadenza. Anche il 1700, quando si appressava la morte di Carlo II, si fecero simili cerimonie mentre si profilava una difficile successione [121]. E negli anni seguenti si continuò a celebrare la festa con la stessa pompa [122]. Dopo l’arrivo degli austriaci, nel 1707, la festa continuò a essere celebrata con le stesse modalità, seguendo il consolidato cerimoniale. I viceré austriaci continuarono l’antica tradizione dell’offerta al popolo di una festa volta a celebrare la potenza del re lontano, anche se ora era un imperatore austriaco, allestendo cuccagne e spassi vari che potessero rallegrare la plebe, sia pure per un solo giorno [123]. Anche in questo periodo si seguiva un rigoroso cerimoniale: l’eletto del popolo doveva provvedere alle torce per i capitani di strada, l’aiutante generale doveva far preparare lo squadrone di cavalleria e fanteria e due compagnie di cavalleria per scortare il viceré, dovevano intervenire il cappellano maggiore, l’uditore generale e il reggente della Vicaria”. Il cavallerizzo maggiore preparava le carrozze e “rigava le strade a marcio” ma prima della partenza del corteo sei “soldati alemanni dovevano abbattere le strade”. Inoltre il “repostiero” doveva preparare lo “strato”, un tappeto prezioso su cui si doveva inginocchiare il viceré durante la cerimonia religiosa che si svolgeva al Borgo di Chiaia. Il corteo doveva essere composto in modo preciso: In primis va la compagnia di cavalli. Poi il maestro di cerimonie. Poi una muta a sei di rispetto. Poi due trombetti di Sua Eccellenza a cavallo. Siegue la guardia alemanna, in mezzo di essa il tenente della guardia, in mezzo di essa la familia bassa e li laccheidelli quattro cavalieri. Poi la muta a sei, con il signor viceré vestito di rocchetto e mozzetta, con liquattro cavalieri. Poi due paggi a cavallo dietro la carrozza, quello con la balige alla deritta, e l’altro alla sinistra. L’aggiutante reale a cavallo, avanti li paggi alla deritta, mantenendosi al fianco della carrozza. Poi il cavallerizzo maggiore, dietro di esso il suo sottocavallerizzo. Poi la muta a sei di camera, andando ivi il camariero maggiore e auditor generale. Poi il treno delle carrozze a due, al numero di sette per li gentilhuomini, paggi e aggiutanti di camera. Poi vanno le quattro carrozze delli cavalieri che vanno con il signor viceré. Poi serra detto treno di retroguardia l’altra compagnia di cavalli [124]. Questa rigorosa organizzazione della parata in una festa religiosa dimostrava come la festa popolare man mano si era trasformata in una parata militare a tutti gli effetti, durante la quale la popolazione, pur partecipe ai festeggiamenti con cuccagne, musiche e balli, doveva essere ben conscia della spettacolarità e della potenza espressa da questo apparato, un monito necessario per ricordare il potere di un re assente rappresentato da un suo emissario. Ma dopo il 1734, all’arrivo di Carlo di Borbone, la festa, pur mantenendo le stesse caratteristiche, andò man mano cambiando per il diverso ruolo rappresentato dal re [125]. Gli spassi di Posillipo o Posillicheate Dalla metà del Cinquecento cominciò a diffondersi la moda degli “spassi di Posillipo”, una delle feste marine più importanti, che duravano per tutto il periodo estivo, dalla festa di San Giovanni, 24 giugno, a quella di Piedigrotta, 8 settembre, e talvolta, se il tempo lo consentiva, anche in altri periodi dell’anno, il giovedì e la domenica, dal tramonto a mezzanotte. In quel locus amoenus, il tratto di mare tra Mergellina e le pendici della collina di Posillipo, un teatro naturale con una splendida scenografia [126], dove i romani avevano costruito superbe ville, veniva allestito un vero e proprio festival musicale acquatico a cui partecipava il viceré con la sua corte su imbarcazioni allestite in modo superbo, che suscitava l’ammirazione della popolazione festante e rafforzava l’immagine del potere spagnolo [127]. Tommaso Costo nella raccolta di novelle Il fuggilozio scriveva: “quel mare empiendosi di barche tutte a gara ornate di varie e diverse bandiere, e piene di gentiluomini e gentildonne, è cosa invero degna da vedersi. A questo si aggiunge che in molte di quelle barche soglion venire raunanza di musici eccellenti, i quali con diversi strumenti sonando e cantando riempiono l’aria, il mare e la terra di più armonie; ed il simile facendo altri musici dentro di Sirena [Il Palazzo della Sirena dei Carafa][128]. l condottivi qui da que’ signori convitanti, per appunto che e le Driadi e le Napee, con tutte le ninfe così terrestri come marine, si siano qui a cantar adunate”[129]. A Posillipo i Carafa avevano edificato il Palazzo della Sirena dove era stato costruito uno scenografico teatro prospiciente il mare. Qui nel 1630 furono allestite molte commedie con ambientazione marina in onore della regina d’Ungheria, Maria Anna d’Asburgo [130]. Anche il viceré Ramiro Nuñez Felipe de Guzmàn, duca di Medina de la Torres, nel 1636, quando arrivò a Napoli, dove sposò donna Anna Carafa, abitò per qualche tempo nel “Palazzo della Sirena” in attesa che il duca di Monterrey, Manuel de Zuñiga y Fonseca, viceré uscente, partisse da Napoli. A Posillipo il Medina fece allestire molte commedie con scenografia marittima nel teatro dove erano state allestite quelle per la regina d’Ungheria. Poi fece abbattere l’antica villa e ricostruire quello che oggi è detto il Palazzo donn’Anna, un “palazzo di delizie”, in onore della moglie, eretto su uno scoglio tufaceo proteso nell’acqua dagli architetti Bartolomeo e Francesco Antonio Picchiatti con la collaborazione di Cosimo Fanzafo. Nel palazzo furono rinnovati gli “spassi di Posillipo” e furono allestite scenografie per commedie di argomento marino, con Ninfe e Nereidi, visto che il teatro costruito nel palazzo poteva ospitare un numeroso pubblico. In effetti il viceré, per manifestare tutto la potenza della sua casata e di quella della moglie, aveva voluto imitare la sistemazione degli spazi organizzati a Madrid nel Buen Retiro, costruito alcuni anni prima, dove vi era un estanque (stagno) che ben si prestava agli allestimenti acquatici. Il palazzo però è rimasto incompiuto dopo il ritorno del Medina in Spagna, vedovo di Anna Carafa ma il teatro è ancora in uso [131]. Per gli “Spassi di Posillipo” dei viceré erano stati costruiti nell’arsenale napoletano un “bucintoretto” o gondola, su modello veneziano insieme ad alcune feluche. Le gondole erano costruite nell’arsenale napoletano, dove vi era una antica tradizione costruttiva. insieme a quelle inviate in Spagna per l’estanque (stagno) del Buen Reiro a Madrid [132]. Già nel 1627 il viceré Antonio Alvarez di Toledo, duca d’Alba aveva inviato in dono a Filippo IV a Madrid,”una filuca con due altre barche ornate tutte riccamente con i loro marinari vestiti di velluto e tele d’oro per servire a Sua Maestà ne vivai o laghi che sono alla Casa del Campo” [133]. Il viceré Juan Alonso Pimentel Herrera conte di Benavente fin al suo arrivo aveva continuato la tradizione degli “Spassi”. Egli era arrivato a Gaeta scortato da 10 galere di Carlo Doria principe di Melfi e duca di Tursi il 5 aprile 1603 per prendere possesso della carica di viceré; e da qui, secondo un antico cerimoniale, si era recato a Pozzuoli dove si era fermato in attesa della partenza di Francisco de Castro, reggente in luogo del padre Fernando, conte di Lemos, morto all’improvviso[134]. Fin dal suo arrivo in Napoli insieme alla moglie andava “per … diletto a Posillipo con la gondola e il brigantino reale”. Sulla gondola vi erano tre musici, due soprani castrati e un musicista che doveva suonare la chitarra, l’arpa e altri strumenti cantando dolcemente. Sul brigantino vi erano altri musici con strumenti a fiato e numerosi servitori. Infinesu due feluche vi erano i musici della Cappella Reale. E su altre due feluche vi erano alimenti e bevande, La gondola del viceré era scortata da tutte le galere presenti in porto che sparavano a salve sia all’imbarco al molo di Santa Lucia che al ritorno. Tutto il corteo era accompagnato “a volte a più di 200 [feluche] tanto da sembrare un’armata reale schierata”[135]. Le imbarcazioni dei viceré erano utilizzate anche per rendere omaggio ai personaggi illustri in visita. Il 29 aprile 1603 il Benavente aveva inviato il “bucintoretto” a Pozzuoli, dove soggiornava il duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, per scortarlo in città a Palazzo reale dove il viceré aveva organizzato una festa in suo onore. Il duca alle 20 era montato sull’imbarcazione “dove vi erano musici che continuamente facevano concerti di diversi instrumenti” ed era accompagnato da altri cavalieri che lo seguivano su alcune feluche. Arrivato nel porto fu ricevuto nel cortile dell’arsenale accolto festosamente dagli spari provenienti dai cannoni delle fortezze [136], una scenografia simile a quella utilizzata per gli “spassi di Posillipo”. Anche per il “principe del mare” Emanuele Filiberto, figlio del duca di Savoia Carlo Emanuele I, il viceré Benavente fece preparare la gondola e il brigantino “con corrimani e guarnizioni sontuose per lo sbarco” messi in ordine in modo da essere pronti per il generale, se avesse manifestato il desiderio di andare a Posillipo [137]. La bellissima collina di Posillipo era un dolce rifugio dalla calura estiva, con la sua ricca vegetazione, per cui vi erano state costruite alcune ville. In essa, scriveva Giuseppe Mormile “siveggono magnifici palazzi con vaghi et dilettevoli giardini … per tutta la riviera, edificati da Napolitani per li molti comodi, et piaceri dell’estate, et per la buona, et salutifera temperie dell’aria”[138]. Giulio Cesare Cortese in una strofa del poema La vaiasseide ricordava “Posilleco che quanta songo state Songo e saranno cose de piacire … dove vanno amigliara le barcate co musice e co’ buono da ‘ngorfire…”[139] Nel 1616 il viceré don Pedro Téllez Giron III duca de Osuna,al suo arrivo in Napoli all’atto della presa di “possesso” della sua carica introdusse un nuovo cerimoniale per l’ingresso nella città partenopea. L’Osuna, valente uomo di mare, durante il suo viceregno in Sicilia (1610-1616) si era costruito una propria flotta di vascelli per andare “in corsa” contro turchi e barbareschi [140]. Perciò amava molto la scenografica cornice marina, ancor più quella del golfo partenopeo. Aveva deciso infatti di non sbarcare più a Pozzuoli, come si faceva fino a quel momento, ma di arrivare con la flotta fin nelle acque di Posillipo, in attesa della partenza del precedente viceré. Poi da qui, con un corteo di galere e vascelli pavesati a festa, era arrivato nel porto di Napoli dove era stato allestito un arco trionfale ligneo sul tipo di quelli creati per le altre festività, in primis quelli per Carlo V. Il viceré aveva voluto riprendere e ampliare gli spazi scenografici di Posillipo, dove i viceré solevano recarsi con le loro “gondole” nelle sere estive accompagnati dalla flotta. Lo stesso viceré nel 1620 per festeggiare l’avvenuta guarigione di Filippo III, ai primi di marzo aveva allestito nel nuovo Palazzo reale, la cui costruzione era iniziata agli inizi del Seicento [141], una “festa a ballo” con una rappresentazione, le Delizie di Posillipo boscarecce e marittime, una disputa favolosa tra le forze silvestri capeggiate da Pan e quelle marine guidate da Venere per la conquista della collina di Posillipo [142]. Durante questa rappresentazione sembrò che il teatro marino entrasse in modo barocco nel teatro di terra. Fu progettato un palco rilevato, sul quale si vedevano in prospettiva il profilo di Posillipo e il Palazzo della Goletta, residenza di Alvaro di Mendoza, il castellano regio che aveva promosso la festa. Lo scenario era completato da scogli e grotte marine, simili a quelli del palazzo Sirena, e con un passaggio i ballerini potevano scendere fino al pubblico [143]. Anche Scipione Guerra nei Diurnali racconta con meraviglia l’uso scenografico del mare: il 30 luglio 1623 il viceré duca d’Alba “fè un gran festino alla costiera di Posillipo nel luogo del duca di Traetto ove fè fare dentro mare un tavolato sopra una gran quantità di barche, che lo mantenevano immobile, come fusse stato in terra, ed ivi si recitò una commedia spagnuola, concorrendovi un’infinità di dame e cavalieri, essendovi ancora molti altri spassi di balli e musica, che durarono sino a mezza notte”[144]. Nel 1629 Cristobal Suarez de Figueroa, ricordando la festa organizzata dall’Osuna, evocava le delizie sensoriali delle feste marine allestite a Posillipo, “tratto de delicias”, in cui si poteva ascoltare un ricco repertorio di canzonette e villanelle [145]. L’anno dopo il vicerè duca d’Alcalà, Fernando Afàn de Ribera, organizzò sontuosi festeggiamenti per Maria Anna d’Asburgo, sorella del re Filippo IV, in viaggio per raggiungere il marito Ferdinando II, re di Ungheria e Boemia [146]. Alessandro Fellecchia ha stilato una cronaca puntuale della sua permanenza napoletana e degli omaggi ricevuti dalle più illustri dame dell’aristocrazia napoletana con una “Descrittione di Pausilipo” e della villa Sirena dove la regina si trattenne alcuni giorni, durante i quali furono allestite numerose feste [147]. Nel promontorio di Posillipo “in modo di Riviera …arricchita et ornata, dal tempo e dagli habitanti di vaghissimi Giardini, di altri edifici, di superbe logge e di cristallini fonti” vi era “uno scoglio dalla natura prodotto, e dal Duca mio signore [l’Alcalà] fatto accomodare per uso de’ passeggieri, e commodo ricetto ad innumerabili carrozze, nelle quali si veggonta l’hora infinite e bellissime Dame, in guisa che paiono tante Nereide e Sirene, passano per ordine lungo all’incontro le dette sponde del mare cento, et mille barchette con poppe dorate coperte, altre con serico drappo, ed altre con altro più ricco intessuto d’oro, con mille dorate statue, e tremolanti bandiere, sopra le quali vanno diversi Cavalieri e Dame”. La regina fu condotta a Palazzo scortata da un lungo corteo di cavalieri il cui disegno è accluso al libro del Fellecchia. Poi raggiunse Posillipo con una imbarcazione fatta costruire per lei dal viceré “in termine di hore 13”, “una gondoletta tutta dorata all’intorno con coperta, coscini, stendardi e bandiere d‘arme sì cremesino tutta guarnita di ricchissime frangie, e ciappe de oro”[148]. La regina fu alloggiata nel “Palazzo della Sirena”, della famiglia Carafa, dove poi sarebbe stato costruito il Palazzo donn’Anna [149]. In esso vi era “una bellissima Galleria, et appresso una larga, et longa loggia, a cui faceva teatro et ombra in padiglione di ritorte viti, … vedevansi all’intorno le mura ornate di varie pitture, …sporgevansi in fuori dalla parte del mare alcuni balconi, dalli quali assai agiatamente tutta questa sponda con la villa goder si potevano” La sera dell’arrivo il principe Carafa offrì una sontuosa colatione di cose di cose di zuccaro, con artificiose materia in varie forme cesellate, accompagnate da infinite sorti di acque agghiacciate”, rinfreschi ripetuti per tutto il suo soggiorno insieme a “ridicolissime Comedie” allestite in suo onore, a cui assistevano anche molte dame e cavalieri; e molti si accalcano sotto le sue finestre per omaggiarla con canzoni scritte in suo onore”. Poi quando ripartì fu fatta avvicinare la Galera Reale “ornata da diverse statue dorate, e freggiate da superbi, e rilevanti lavori… tutta coperta di broccato cremesino … e fino alla prora coperta di serico e listato drappo” con attorno innumerevoli bandiere dorate”[150]. Anche la sua partenza fu organizzata secondo la solita scenografia barocca, con il golfo partenopeo come sfondo. Una delle descrizioni più accurate del “Passeggio di Posillipo è quella del francese Jean Jaques Bouchard, forse venuto a Napoli come spia, rimasto in città per circa otto mesi [151]. Nel suo Journal egli parlava diffusamente di questo “passeggio ouPosilippoqu’ilsappellent, … “le coursoupromenade … de Naples à Posilipo par mer et par terre … la chose la plus magnifique de Naples”, proprio singolare, visto che solo le dame di Messina facevano qualcosa di simile. Nei mesi estivi questa passeggiata del giovedì e della domenica poteva essere effettuata solo dal viceré e dalla sua corte, nessuno si poteva bagnare in quel tratto di mare e nessuno poteva sistemare “la sua feluca in gondola” (sic), cioè mettere la tenda o “imperiale” sulla poppa come quella del viceré. Verso le 21 tutte le dame invitate arrivavano a Mergellina, vicino alla marina, in carrozza mentre i cavalieri arrivavano col viceré sulle feluche allestite per la cerimonia o in carrozza fino al convento di San Leonardo (non più esistente, odierna rotonda Diaz) dove si imbarcavano. Quelli che avevano feluche proprie se invitati potevano seguire il corteo. Ma la feluca del viceré era molto più lunga, “in forma di gondola” (sic) coperta di drappi d’oro su fondo verde e dalla parte posteriore ve ne era una simile sostenuta da una infrastruttura dorata in modo che si formava una camera. La piacevolezza del “cours” consisteva nell’andare e venire lungo la marina dov’erano le carrozze delle dame per salutarle al passaggio mentre le gondole venivano inclinate a mo’ di inchino. In queste passeggiate era importante il cibo portato in grossi panieri nelle feluche e nelle carrozze mentre i contadini della vicina collina preparavano in bell’ordine cestini di frutta detti “quadretti” (sic). E questi spassi venivano allietati da dolci villanelle [152]. Anche per questi “spassi” si doveva seguire un rigoroso cerimoniale: Quando si va a Posillipo con cavalieri in pubblico, senza viceregina, si devono prendere nove lance … , oltre della gondola di Sua Eccellenza e quella di rispetto e la filuca della Camera, nella quale va il cameriere maggiore, il maggiordomo, l’uditore generale, il tenente del maestro di campo generale ed altri gentiluomini di camera, tre filuche per i musici, una per i paggi, altra per il maestro di cerimonie, due per i soldati di guardia, una per le trombe ed altra per i rinfreschi di Sua Eccellenza … Quando la viceregina va col vicerè si pongono loro due soli nella gondola… Quando la viceregina volesse andare per terra e Sua Eccellenza per mare con i cavalieri, la viceregina deve andare in carrozza con le dame in pubblico e con la guardia alemana e si fermerà allo scoglio” dove potranno fermarsi solo le dame. Venivano forniti anche dolci e bevande ai musici e agli altri partecipanti e pane e vino ai soldati. Inoltre al ritorno le feluche della Camera, del maestro delle cerimonie e dei paggi dovevano avanzare rispetto alla gondola del vicerè per accoglierlo allo sbarco ed i paggi dovevano portare le torce per illuminare il cammino. Inoltre era proibito ad ogni feluca dei nobili di essere “indorata nè (porre) li tendali con oro né con stendardi o bandiere” come quella del viceré [153]. Il paseo de Posilipo, fastosa e cerimoniale passeggiata a mare compiuta dai viceré nelle domeniche estive accompagnato dalla corte e dalle autorità cittadine è raffigurato in un dipinto di Gaspar von Wittel eseguito durante il soggiorno napoletano del pittore, tra il 1699 ed il 1701 per conto del viceré duca di Medinacoeli e marchese di Cogolludo, Luigi Francisco de la Cerda. In primo piano si vede la gondola riccamente decorata d’oro e velluto rosso su cui si intravede lo stesso viceré vestito con un abito di gala d’oro; attorno alla gondola vi sono altre ricche imbarcazioni con i dignitari di corte. Si scorgono anche i musicisti vestiti di nero. La gondola del viceré è riccamente adornata e gli altri aristocratici possono allestirne di proprie ma meno sfarzose. Nel 1688 (ma 1687), il primo giugno, lo stesso Medinacoeli, allora generale della flotta napoletana [154], aveva seguito il viceré marchese del Carpio, Gaspar de Haro su una feluca riccamente adornata, migliore di quella del vicerè che si era alterato ed aveva deciso di rimandare la passeggiata, adducendo il contrattempo ad un malore; poi aveva fatto fare indagine sul cerimoniale della passeggiata in cui si era evinto che nessun generale delle galere napoletane era mai uscito con una imbarcazione riccamente decorata per rispetto del viceré [155]. Nel 1685 Sarnelli, vescovo di Bisceglie [156], nella “Guida de’ forestieri” descriveva Posillipo, dove vi erano “palagi con vaghi e dilettevoli giardini … per tutta la riviera … edificati da’ napoletani per amenissimo divertimento nell’estate, essendo l’estate eziandio di una temperia salutifera”[157]. In questo “luogo dell’anima”, dove era andato a fare una scampagnata a casa di un amico, che gli aveva imbandito un lauto pranzo, aveva ambientato la Posillicheata, una raccolta di cinque fiabe in napoletano stampate a Napoli nel 1684 con lo pseudonimo anagrammatico di Masillo Reppone di Gnanapoli: il testo era una prima parte di una silloge che avrebbe dovuto comprendere 115 racconti come raccontava l’autore nell’Avvertenza «A livertoluselejeture». Egli poi ricordava che era necessario pigliare una boccata d’aria di tanto in tanto, cosa necessaria anche per quelli che si dedicavano agli studi: Na longa vita senza narecreazione, a lomunno, è ghiusto comme à no longo viaggio senza na taverna pe defrisco, senza n’alloggiamiento pe repuoso. Pe la quale cosa li stisse uommene d’azzò, e che camminano co lo chiummo e lo compasso, de quanno n’quanno fanno qualsche ‘sciutaquarche sferrata fore de lo cafuerchio, pe pegliare àjero e non fetire de ‘nchiuso e de peruto[158]. Questa splendida cornice scenografica fu utilizzata da Gaspar Méndez de Haro y Guzmán settimo dal marchese del Carpio, vicerè di Napoli dal 1682 al 1687, un rinomato collezionista, per organizzare delle fantasmagoriche feste marine, tra le più belle dell’epoca vicereale. Egli aveva organizzato delle magnifiche feste a Posillipo il 26 luglio 1684 e il 26 luglio e 25 agosto 1685 in onore della regina madre Marianna e della regina Maria Luisa di Borbone – Orléans, moglie di Carlo II, facendo costruire elaborate “scenografiche marine” al regio architetto e ingegnere romano Filippo Schor, venuto al seguito del vicerè[159]. Il Sarnelli nel 1684 narrava che il marchese del Carpio aveva organizzato “due meravigliosissime feste sopra il mare per solennizzare i nomi delle due regine, Madre) e Reggente”: per i festeggiamenti aveva fatto costruire “una macchina grande ‘n forma di teatro che stava mmiez o mare, tutt’attorniata da frunne verde che t’arrecreavan la vista”[160]. L’anno seguente Domenico Confuorto descriveva la sontuosa festa di Sant’Anna del 26 luglio organizzata dallo stesso viceré “col solito corteggio di tutte le galere …23, che si ritrovavano in Napoli, di più squadre”. Per l’occasione il viceré aveva “fatto fare un capace steccato, che dallo scoglio di Mergoglino (Mergellina) si sporgeva in mare un tiro di pietra, con molti palchetti, ivi dentro fe’ fare il gioco de’ tori, con concorso d’infinito popolo, quale per vedere, non solo con felluche e barchette in mare, ma in terra e per le colline ivi introno s’erano posti, oltre dei palchetti fatti attornoquali erano pieni tutti di dame. Finito il giuco s’illuminarono tutte le galere, facendo di loro bellissima vista, sparando ognuna diversi fuochi artificiali e all’ultimo ne fecero una salva di cannonate. Qual festa durò sino alle tre ore di notte”[161]. Un’altra festa simile con la costruzione di una palizzata [163] fu organizzata dall’architetto Cristoforo Schorr, fratello di Filippo nel 1699 in onore delle regina madre Marianna per conto del vicerè Luigi de la Cerda, duca di Medinaceli, che lo aveva conosciuto a Roma quando era ambasciatore di Spagna [164]. Poi non se ne organizzarono più di così fastose. Conclusioni Tutte le feste, sia quelle religiose che quelle profane, erano organizzate per manifestare la potenza spagnola, rappresentata dai suoi viceré, una rappresentazione codificatasi nel tempo con precise modalità. Esse dovevano manifestare il fasto e la propaganda, due concetti fondamentali per ottenere il consenso, un vero e proprio gioco del potere, espresso con il linguaggio delle etichette165. Lo stesso sistema fu applicato nel periodo autriaco166. Ma le feste marine avevano una loro peculiarità. La città di Napoli, col suo golfo, definito dal profilo del Vesuvio e delle sue isole, “a guisa di un bel teatro”167, ha fatto sempre da sfondo ad ogni vicenda, sia religiosa che politica soprattutto nei mesi estivi. Il viceré e la corte si dilettavano durante gli “spassi” di Posillipo con le loro belle imbarcazioni “vestite a festa” ma facevano partecipare a questi eventi anche la popolazione, che veniva a vedere le rappresentazioni soprattutto sul calare della sera, quando poteva assistere allo spettacolo dei fuochi pirotecnici danzando al suono dei mandolini e cantando canzoni popolari. Ma si trattava di piaceri effimeri, perché il giorno dopo si doveva tornare alla dura quotidianità. Lo stesso accadeva anche nelle feste religiose. Quella di San Giovanni, una festa popolare offerta dagli artigiani al viceré, pian piano si andò codificando nella sua struttura per poi lasciare il passo a quella di Piedigrotta. La stessa festa di Piedigrotta, organizzata per il culto popolare, si trasformò a fine Seicento fu trasformata dagli spagnoli in una parata militare per voleva testimoniare la potenza asburgica proprio nel momento della decadenza. Le feste del marchese del Carpio e quella del Medinaceli erano volte ad innalzare la potenza spagnola proprio nel periodo più critico, il difficile momento della successione, visto che Carlo II era senza eredi. Proprio in questo momento cruciale esse vennero organizzate in un modo sfarzoso, quasi per sfidare la sorte avversa e testimoniare che la situazione politica era sotto controllo. Ma furono le ultime feste sfarzose. Poi cambiata la scena politica cambiò anche il modo di allestire le feste, anche quelle organizzate nel golfo partenopeo. 88. G. Iannella, Les fêtes de la Saint-Jean à Naples (1581-1632), in F. Decroisette, M. Plaisance, a cura di, Les fêtes urbaines en Italie à l’époque de la Renaissance: Vérone, Florence, Sienne, Naples, Parution, Paris, 1993, pp. 131-185; cfr. anche T. Megale, Gli apparati napoletani per la festa di San Giovanni Battista tra Cinque e Seicento, «Comunicazioni sociali», 1994, 1-2, pp. 191-213 e Tra popolo e vicerè: dialettica politica e dissimulazione festiva negli apparati napoletani di San Giovanni Battista (XVI – XVII secolo), «Argomenti», vol 6, ns, 2000. 89. F. Russo, Il poeta napoletano Velardiniello e la festa di San Giovanni a mare, Casa Editrice “Modernità”, Roma, 1913, poi Stamperia del Valentino, Napoli, 2019, pp. 7 ss.. 90. B. Di Falco, Descrittione de i luoghi antichi e del suo amenissimo distretto, Giovanni Paolo Suganappo, Napoli, 1549, ora online, Fondazione Memofonte, http://www.memofonte.it, a cura di Michela Tarallo, Napoli, Firenze, 2019, p. 41. 91. G. Iannella, Les fêtes de la Saint-Jean à Naples (1581-1632); cfr. anche G. Guarino, Public rituals and festivals in Naples, 1503-1799, in T. Astarita, a cura di, A Companion to Early Modern Naples, Brill, Leiden – Boston, 2013, pp. 256-279. 92. Biblioteca Nazionale, Napoli, G. C. Capaccio, Relatione dell’apparato fatto dal popolo napoletano nella festività del Glorioso San Giovanni Battista all’Eccellentissimi Don Pietro di castro e Donna Caterina Sandoval nell’anno 1614. Cfr. anche l’edizione a stampa di G. C. Capaccio Relatione dell'apparato fatto dal popolo napoletano nella festività del glorioso S. Giovanni Battista... nell'anno 1614. G.C. Carlino, Napoli, 1614. 93. G. C. Capaccio, Apparato della festività del glorioso San Giovan Battista fatto dal fedelissimo Popolo napoletano nella venuta dell’eccellenza del signor don Antonio Alvarez de Toledo, viceré nel Regno, Giovan Domenico Roncagliolo, Napoli, 1623; Id., Apparato della festività del glorioso San Giovan Battista fatto dal fedelissimo Popolo à 23 di Giugno 1624, Giovan Domenico Roncagliolo, Napoli, 1624; Id., Apparato della festività del glorioso S. Giovanni Battista fatto dal fedelissimo popolo napolitano à 23 di giugno 1625, Ottavio Beltrano, Napoli, 1626; Id., Apparato della festività del glorioso San Giovanni Battista fatto dal fedelissimo Popolo napolitano à XXIII di Giugno MDCXXVI, Napoli, Domenico Maccarano, 1626; Id., Apparato della festività del glorioso San Giovanni Battista fatto dal fedelissimo Popolo napolitano à XXIII di Giugno MDCXXVII, Domenico Maccarano, Napoli, 1627. cfr. anche F. Russo, Il poeta napoletano Velardiniello e la festa di San Giovanni a Mare, Stamperia del Valentino, 2019, pp. 21 ss.. 94. Cerimoniale Diex de Aux, 1622, in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1503-1622, arte’m, Napoli, 2015, p. 162, testo originale, e pp. 331-332, traduzione italiana. 95. V. Petrarca, La festa di San Giovanni Battista a Napoli nella prima metà del Seicento Percorso, macchine, immagini, scrittura, Quaderni del Servizio Museografico della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, Palermo, 1986. 96. M. Sirago, Il consumo del pesce e dei prodotti ittici a Napoli in età moderna (1503- 1861), «Archivio Storico per le Province Napoletane», 2018, pp. 117-126. 97. F. Orilia, Il Zodiaco over idea di perfettione di prencipi, formata dall’Heroiche Virtù dell’Illustriss. Et eccellentiss. Don Antonio Alvarez di Toledo duca d’Alba vicerè di Napoli Rapresentata come in un Trionfo del Fidelisssimo Popolo Napoletano Per opera del Dottore Francesco Antonio Scacciavento suo Eletto nella Pomposissima Festa di San Giovanni Battista, celebrata a 23 di Giugno 1629 per il settimo anno del suo Governo raccolta per Francesco Orilia e dedicata All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signor Don Ferdinando Alvarez di Toledo Contestabile di Navarra, Appresso Ottavio Beltrano, Napoli, 1630. Sulla cavalcata della vigilia di San Giovanni Battista e Il Zodiaco di Orilia cfr. G. Muto, Spazio urbano e identità sociale: le feste del popolo napoletano nella prima età moderna, in M. Meriggi A. Pastore, a cura di, Le regole dei mestieri e delle professioni. Secoli XV-XIX, Franco Angeli, Milano, 2000, pp. 305-325 e J. A. Marino, The Zodiac in the steeets. Inscribing “Buon Governo” in Baroque Naples, in G. B. Cohen e F. A.J. Szabo, a cura di, Embodiments of power: building baroque cities in Europe, Berghahnn Books, New York -Oxford, 2007, pp. 203-229. 98. V. Petrarca, La festa di San Giovanni Battista a Napoli…, 1986, cit.. 99. D. Carriò Invernizzi, Il V duca d’Alba Antonio Álvarez de Toledo viceré di Napoli (1622-1699), in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli (1535 – 1637), arte’m, Napoli, 2019, pp. 45-73. 100. S. Nigro, G. C. Capaccio, a cura di, Dizionario Biografico degli Italiani, 18, 1975, www.treccani.it 101. J. A. Marino, The Zodiac in the streets. pp. 203-204. 102. G. Guarino, Public rituals and festivals in Naples, p. 273. 103. J. A. Marino, The Zodiac in the streets, p. 204 cfr. anche I. Mauro, Un omaggio della città al viceré: la festa di San Giovanni a Napoli dopo la Rivoluzione di Masaniello (1648-1669), in A. Gòmez Castillo e J. S. Amelang, a cura di, Opinión pública y espacio urbano en la Edad Moderna, Trea, Gijon, 2010, pp. 117-136. 104. E. Cicconio, Relatione del famoso et ammirando apparato Fatto nella Vigilia della Festa di San Giovanni Battista nella Città di Napoli dell’anno 1649, Napoli, 1649; cfr. anche I. Mauro, Spazio urbano, pp. 94 ss.. 105. A. Rubino, Notitia, II, ff. 239-240. 106. A. Rubino, Notitia, IV f.131. 107. V. Gleijeses, Feste, farina e forca, Società Editrice Napoletana, Napoli, 1976, pp. 128-133. 108. M. Sirago, Gregorio Carafa Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Centro Studi Melitensi, Taranto, Piazza Ameglio, 2000, pp. 47ss.. 109. T. Strozzi, Il tempio della virtù e dell’onore eretto in Napoli alla chiesa di San Giovanni a Mare a festeggiare le glorie dell’Eminentissimo Principe F.D. Gregorio Carafa priore della Roccella nella sua esaltazione al Gran Magistero dell’ordine gerosolimitano, per Novello de Bonis Stamp. Arciv., Napoli, 1681. 110. A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1650-1717, p. 347. 111. B. Di Falco, Descrittione de i luoghi antichi, p.49; cfr. anche I. Mauro, Spazio urbano, p. 320. 112. V. Gleijeses, Feste, farina e forca, cit., pp. 18 ss.. 113. J. J. Bouchard, Voyage dans le Royaume de Naples, in E. Kanceff, a cura di, Journal, 2 vol., Einaudi, Torino, 1976, II, p. 426. 114. G. Muto, Corte e cerimoniale nella Napoli spagnola, in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1650-1717, pp. 81-102, pp. 94-95. 115. Gazzette, 1675-78, volumi conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli, Sezione manoscritti e rari, 11/9/1675, n. 32, e 14/9/1677, n. 37. 116. I. Fuidoro, V. D'onofrio, Giornali di napoli dal MDLX al MDCLXXX, 4 voll., I a cura di Franco Schlitzer, II, a cura di Antonio Padula, III e IV a cura di Vittoria Omodeo, Regia Deputazione di Storia Patria, 1934-1943, II, p. 182, 8/9/1694. 117. A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1650-1717, p. 179 e p. 347, anni Ottanta, epoca del viceré los Velez. 118. C. J. H. Sanchez, Immagine e cerimonia: la corte viceregnale di Napoli nella monarchia di Spagna, in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1650-1717, pp. 37-80, pp. 45 ss.. 119. C. Celano, Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forestieri date dal canonico Carlo Celano, divise in dieci giornate, nella stamperia di Giacomo Raillard, Napoli, 1692, ora online, Fondazione Memofonte, http://www.memofonte.it, a cura di Maria Luisa Ricci, Napoli, 2009, Giornata IX, p. 17 (f. 49). 120. D. Confuorto, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCIC, in N. Nicolini, a cura di, Società Napoletana di Storia Patria, presso Luigi Lubrano, Napoli,1930, 2 vol., I, p. 107, 8 settembre 1683. 121. Gazzette, 14/9/1700, n. 32, Biblioteca Nazionale, Napoli, sezione manoscritti e rari. 122. Gazzette, 9/9/1704, n. 37, Biblioteca Nazionale, Napoli, sezione manoscritti e rari. 123. G. Guarino, Cerimoniale e feste durante il viceregno austriaco a Napoli, in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno austriaco di Napoli 1707 -1734, arte’m, Napoli, 2014, pp. 69-82. 124. A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno austriaco di Napoli 1707 -1734, pp.138-139, 8 settembre 1723. 125. F. Mancini, P. Gargano, Piedigrotta nel segno della tradizione. I luoghi le feste le canzoni, Guida, Napoli, 1991. 126. T. Megale, Tra mare e terra, pp. 127 ss.. 127. J. P. Fernàndez Cortés, Musica y paisaje sonoro en la cultura festiva napolitana durante el vireinnato del duque de Osuna, in E. Sanchez Garcia, a cura di, Cultura della guerra e della pace Il III Duca di Osuna in Sicilia e Napoli (1611- 1620), Tullio Pironti ed., Napoli, 2016 pp. 267- 285, p. 273. 128. Per una visione d’insieme sul palazzo cfr. P. Belli, a cura di, Palazzo Donn’Anna Storia, arte e natura, Allemandi, Torino, 2017. 129. T. Costo, Il fuggilozio, C. Calenda, a cura di, Salerno editrice, Roma, 1989, p. 16 (I ed. appresso Mattia Collosini e Barezzo Barezzi, Venezia, 1601). L’opera è ambientata negli anni Settanta del Cinquecento. 130. A. Fellecchia, Viaggio della Maestà di Bohemia e d’Ungheria da Madrid fino a Napoli colla descrizione di Pausilipo e di molte Dame Napolitane, Secondino Roncagliolo, Napoli, 1630, con pianta acclusa di Alessandro Baratta. Cfr. anche V. Fiorelli, «Non cala la testa de niuna maniera»: il soggiorno napoletano di Maria Anna d’Austria nel 1630, in G. Galasso, J. Vicente Quirante, J. L. Colomer, a cura di, Fiesta y ceremonia en la corte virreinal de Nápoles, siglos XVI y XVII, Madrid, CEEH, 2013, pp. 333-354. 131. E. Sánchez García E., Il viceré Medina de las Torres a Napoli. Decoro del lignaggio e avanguardia culturale, in P. Belli, a cura di, Palazzo Donn’Anna Storia, arte e natura, Allemandi, Torino, 2017, pp. 39-69. Cfr. anche T. Megale, Tra mare e terra, pp. 131ss.. 132. Archivo General, Simancas, Estado, Nàpoles, Legajo 3311/141, 7/4/1683, il re al viceré. 133. Archivio Medici, leg 4955, lettera di Raffaello de’ Medici e Andrea Cioli, Madrid, 4/9/1627, cfr. D. Carriò Invernizio, Il V duca d’Alba Antonio Álvarez d Toledo, viceré di Napoli (1622- 1629), in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli (1535 – 1637), arte’m, Napoli, 2019, pp. 75-95, p. 95, n. 64. 134. V. Favarò, Carriere in movimento. Francisco Ruiz de Castro e la monarchia di Filippo III, in «Mediterranea», Archivio studi e ricerche, Quaderno, Palermo, 2013, on line sul sito www.mediterranearicerchestoriche.it. Cfr anche Ead., Gobernar con prudencia. Los Lemos, estrategias familiares y servicio al Rey (siglo XVII), Universidad de Murcia, Murcia, 2016. 135. A. Antonelli, Cerimoniale 3, 2015, pp.347-348. 136. A. Antonelli, Cerimoniale 3, 2015, pp.302-306. Cfr. anche Archivio di Stato, Mantova, AG b 388, Narrativa di tutto il viaggio di Sua Altezza nel di Napoli dell’anno 1603 in A. Antonelli, Cerimoniale 3, pp. 302, n. 449. 137. A. Antonelli, Cerimoniale 3, 2015, pp. 384-385. Cfr. anche A. Antonelli, Cerimoniale 5, 2019, pp. 340-344, cerimoniale da seguire durante la visita del Gonzaga. 138. G. Mormile, Descrittione dell’amenissimo distretto della città di Napoli e del suo amenissimo distretto et dell’antichità della città di Pozzolo, nella Stamperia di Tarquinio Longo, Napoli, 1617. 139. G. C. Cortese, La Vaiasseide, poema, nella Stamperia di Tarquinio Longo, Napoli, 1612 in D. De Liso, La Napoli barocca in D. De Liso, I. Di Leva, A. Putignano, Napoli città d’autore. Un racconto letterario da Boccaccio a Saviano, Cento Autori ed., Napoli, 2008, I vol., pp.123 – 248, pp. 190-191; cfr. anche A. Antonelli, Cerimoniale 3, 2015, p. 347, n. 542. 140. M. Sirago, La flotta napoletana, pp. 243ss. 141. I lavori furono affidati all’architetto Domenico Fontana dalla viceregina donna Catalina de la Cerda, moglie del viceré Fernando de Castro, conte di Lemos: cfr. M. Sirago, Donna Catalina Zuňiga y Sandovalde la Cerda V contessa di Lemos una viceregina napoletana “intraprendente” (circa 1550 -1628), «Archivio Storico per le Province Napoletane», CXXXVIII, 2020, pp. 61-74, p.64. 142. A. de Mendoza, P. A. Giramo; F. Lambardi; G. M. Trabaci, A. Anzalone, Breve racconto della festa a ballo Fattasi in Napoli per l’allegzza della salute acquistata dalla Maestà Cattolica di Filippo III d’Austria alla presenza dell'Illustriss. & Eccellentiss. sig. duca d'Ossuna vicerè del regno, nella real sala di palazzo al 1. di marzo 1620., per Costantino Vitale. Napoli, 1620; cfr. anche G. De Miranda, Una quiete oziosa. Forma e pratiche dell’Accademia napoletana degli Oziosi (1611- 1645), Napoli, 2000, p. 174, n. 276. 143. T. Megale, Tra mare e terra, pp. 132-133. 144. Biblioteca Nazionale, Napoli, ms. IX C 66, Diurnali di Scipione Guerra, f.77r. 145. J. P. Fernàndez Cortés, Musica y paisaje sonoro, p. 273. 146. G. Coniglio, I viceré spagnoli di Napoli, F. Fiorentino, Napoli, 1967, pp 226-231. 147. A. Fellecchia, Viaggio della Maestà di Bohemia e d’Ungheria. Cfr. anche Bibliotca Naazionale, Napoli, ms. XV G 23, Arrivo della Maestà della Regina d’Ungheria in Napoli sorella di re Filippo IV. 148. A. Fellecchia, Viaggio, pp. 13-17. 149. M. Visone, Palazzo donn’Anna: equivoco modello per i pensionnaires, in G. Belli, F. Capano, M. I. Pascariello, a cura di, La città, il viaggio, il turismo Percezione, produzione e trasformazione, The City, the Travel, the Tourism Perception, Production and Processing, CIRICE, Napoli, 2017, pp. 811- 817. 150. A. Fellecchia, Viaggio, pp. 17ss. 151. M. Sirago, Un letterato parigino nella Napoli del primo Seicento: Jean Jaques Bouchard, in G. Belli, F. Capano, M. I. Pascariello, a cura di, La città, il viaggio, il turismo. Percezione, produzione e trasformazione, The City, the Travel, the Tourism, Perception, Production and Processing, Atti Convegno Internazionale AISU (Associazione Italiana di Storia Urbana) 2017, Napoli, 7 -9 settembre 2017, Napoli, CIRICE, pp. 2293– 2324. www.iconografiacittaeuropea.unina.it/.../2291_Lo%20straniero%20e%20le%20città.p. (ultima consultazione 2020). 152. J. J. Bouchard, Voyage dans le Royaume de Naples, pp. 419ss. 153. A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1650-1717, pp. 225-227, epoca del viceré Medinacoeli Luigi Francisco de la Cerda, 1605-1702 e di Carlo Borromeo Arese (1710-1713), che andava colla viceregina e le figlie. 154. M. Sirago, La flotta napoletana, pp. 321ss. 155. Cerimoniale 1489, ff. 132r.- 132v., in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1650-1717, 2012, pp. 225- 227; cfr anche id., Cerimoniale del viceregno austriaco di Napoli 1707 -1734, pp.174-175. 156. M. Leone, Sarnelli Pompeo, voce a cura di, Dizionario Biografico degli Italiani, 90, 2017, www.treccani.it. 157. Pompeo Sarnelli, La vera guida de’ forestieri curiosi di vedere e d’intendere le cose più notabili della regal città di Napoli e del suo amenissimo distretto, ritrovata colla lettura de’ buoni scrittori e colla propria diligenza da monsignor l’abate Pompeo Sarnelli, oggi vescovo di Bisceglia, Napoli, 1708-1713, online in Fondazione Memofonte, a cura di Lucio Oriani e Mariano Saggiomo, Napoli, 2015, pp.228ss.. 158. Pompeo Sarnelli, Posilecheata, E. Malato, G. e M. Benincasa, a cura di, Roma, 1986, p. 18. 159. A. Cappellieri, Filippo e Cristoforo Schor Regi Architetti e Ingegneri, in Capolavori in festa Effimero barocco a Largo di Palazzo (1683- 1759), Catalogo della mostra, ELECTA, Napoli,1997, pp. 75-90, p. 75. 160. Pompeo Sarnelli, Guida de’ Forastieri curiosi di vedere e d’intendere le cose più notabili della Real Città di Napoli e del suo amenissimo distretto, G. Roselli, Napoli, 1685, p. 337, cit. da A. Cappellieri, Filippo e Cristoforo Schor… cit., n.15. 161. D. Confuorto, Giornali di Napoli, I, p. 129. 162. La tavola in cui è raffigurato il “tablato” (tavolato) su cui era stata organizzata la “gara dei tori” (una vera e propria corrida), conservata in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli, XV G 23, è stata descritta da Maria Gabriella Mansi, “Vi si vidde inalzata una gran Machina. La festa barocca in alcune cronache manoscritte della Biblioteca Nazionale di Napoli, in Capolavori in festa Effimero barocco a Largo di Palazzo (1683- 1759), Catalogo della mostra, ELECTA, Napoli,1997, pp. 119-123; la scheda della tavola è a p. 236, 4.6; la tavola è raffigurata a p. 80. 163. Relazione della famosissima festa nel giorno della Gloriosa Sant’Anna 26 di luglio 1699. 164. A. Cappellieri, Filippo e Cristoforo Schor, pp.78ss. 165 C. J. H. Sanchez, Immagine e cerimonia, pp. 53 ss.. 166. A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno austriaco di Napoli 1707 -1734. 167. G. Tarcagnota, Del sito et lodi della città di Napoli con una breve istoria de gli re suoi, appresso Giovanni Maria Scotto, Napoli, 1566., f. 5r. Cfr. anche V. Caputo, “A guisa di un bel teatro”. La Napoli dello storiografo Giovanni Tarcagnota, in P. Sabbatino, a cura di, Il viaggio a Napoli tra letteratura e arti, ESI, Napoli, 2012, pp. 177-194.
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