di Maria Sirago Introduzione La corte e l’aristocrazia partenopea in estate potevano usufruire di un particolare luogo teatrale, il golfo che secondo la leggenda aveva preso le sembianze sinuose del corpo della sirena Partenope, morta per amore alla foce del Seberto, presso l’isolotto di Megaride, dove poi fu costruito Castel dell’Ovo. In epoca antica in suo onore ogni anno su quella spiaggia si svolgevano le Lampadromie, delle feste durante le quali si faceva una gara di corsa con le fiaccole[1]. In questo tratto di mare che dal Palazzo Reale si spingeva fino alla spiaggia di Mergellina e alla costa di Posillipo, si allestivano feste e banchetti sontuosi, volti alla celebrazione del potere spagnolo, tramite i suoi viceré, a cui assistevano estasiati i sudditi, che per un giorno potevano dimenticare le tribolazioni quotidiane ed anche la fame, assaltando le numerose cuccagne marine che si allestivano[2]. Napoli è sempre stata legata a tre elementi, mare, musica, festa, una immagine che ben si attaglia al suo popolo “festaiolo” anche se povero, apparentemente privo di preoccupazioni quotidiane sui bisogni primari, ma che in realtà sublimava col canto le preoccupazioni esistenziali[3]. Gli scenari aperti, le gite in barca con accompagnamento musicale, hanno fatto sempre da sfondo al popolo partenopeo quando assisteva agli “spassi di Posillipo” organizzati in estate per i viceré su “gondole reali” addobbate a festa, accompagnate da altre imbarcazioni con cibarie e musici[4]. Lo scenografico uso del mare anche in chiave politica rispecchiava un’antica tradizione: nel 1421 al suo primo arrivo a Napoli, Alfonso d’Aragona fu accolto «con Barche coronate di fiori, ben adorne di tapezzarie, ch’andaro à salutar il Re fin’alla Galea» prima di muoversi dal Castello dell’Ovo[5]. Durante il regno aragonese si allestivano splendide feste nella maestosa villa di Poggioreale, ora non più esistente, commissionata dal duca di Calabria, il futuro Alfonso II, al prestigioso architetto fiorentino Giuliano da Maiano, di cui abbiamo un ricordo nel dipinto di Viviano Codazzi e Micco Spadaro conservato a Besançon presso il Museé des Beaux-Arts et d’Archéologie. I giardini degradanti fino al mare offrivano un’adeguata vista scenografica in cui era inglobato il golfo partenopeo. Il cortile, secondo un modello vitruviano, poteva essere coperto con un solaio ligneo per essere sfruttato per feste e rappresentazioni, oppure essere allagato come effetto scenico per allestire naumachie o battaglie navali[6]. Il mare era presente anche nelle feste di corte, come quella organizzata nel 1477 per le nozze della diciassettenne Costanza d’Avalos, figlia di Innigo, con Federico del Balzo, conte di Acerra, dal poeta Jacopo Sannazaro[7]. Il poeta in occasione delle nozze scrisse una farsa, la Lausconiugii, recitata durante i festeggiamenti[8]. Le nozze di Costanza e Federico si inserivano nelle accorte strategie matrimoniali aragonesi, funzionali a creare fitte reti di parentele e alleanze con potenti famiglie e altre corti della penisola, come quelle degli Sforza. Perciò, dopo la celebrazione della funzione, lo stesso re Ferrante condusse la sposa dalla casa paterna a quella maritale. E, mentre il corteo nuziale procedeva, istrioni e giullari intrattenevano il popolo in festa, i “musici” spagnoli e napoletani al servizio della corte accompagnavano i canti popolari[9], soprattutto villanelle inneggianti all’amore[10], si spargevano fiori. In aria poi svolazzavano «navicelle, trireme e simili figure, le quali, all’apparir della sposa, appiccatovi il fuoco, di subito con soli rimbombi, combattevano insieme a vicenda» (una sorta di battaglia navale aerea), effondendo nell’aria fumi profumati. Anche il banchetto nuziale, formato da sei montagne di cibo, richiamava il mare: difatti la terza era «quasi un mare, e pesci nelle acque e ricci marini e tutte quante le conchiglie»[11]. Questa scenografia venne ripresa anche dopo la conquista spagnola, quando i viceré furono chiamati ad illustrare la magnificenza del re lontano. Ma quando l’imperatore Carlo V giunse a Napoli vittorioso dopo la conquista di Tunisi, nel novembre del 1535, rimanendo nella capitale partenopea per alcuni mesi, si fecero festeggiamenti trionfali, su modello di quelli dell’epoca romana, per celebrare la vittoria del “Novello Africano”[12]. Anche in questo contesto la cornice marina venne utilizzata per allestire i momenti trionfali con archi e simulacri di Partenope e delle altre ninfe marine e con naumachie. Le ecloghe piscatorie di Jacopo Sannazaro e dei suoi emuli Dal 1503, dopo la conquista spagnola, Napoli perse il suo status di capitale. Ma aveva già assunto l’aspetto di una metropoli, con i suoi 220.000 abitanti, di cui un notevole numero di miserabili, attirati dagli sgravi fiscali e dalla possibilità di lavorare presso le sontuose dimore degli aristocratici[13]. All’inizio del 1505, dopo la morte di re Federico d’Aragona che aveva seguito in Francia in volontario esilio, il poeta Jacopo Sannazaro tornò a Napoli conscio che l’età dell’oro del periodo aragonese fosse ormai tramontata per sempre[14]. Egli volle tornare nella dolce patria” e alla donna amata, che i biografi identificano in Carmosina Bonifacio[15], come scriveva nell’Arcadia, il prosimetro composto alla fine del regno aragonese e pubblicato in una seconda redazione col suo permesso e con alcune aggiunte nella capitale partenopea nel 1504[16]. Questa seconda redazione può essere considerata il “romanzo del ritorno” alla città gentile, un’immagine edenica della città gentile aragonese, che viene ricordata come un sogno perduto[17]. Il poeta al suo ritorno a Napoli era stato ospitato ad Ischia da Costanza d’Avalos, che aveva ottenuto il titolo di governatrice del castello[18] e nel 1503 lo aveva difeso dagli assalti dei francesi[19]. Ma la sua residenza abituale era nella villa di Mergellina, donatagli nel 1499 dal re Federico d’Aragona per i suoi buoni uffici; poi fece costruire la chiesa dedicata a San Nazario e la sua tomba, dove riposa[20]. Qui viveva appartato, lontano dalla corte spagnola, in cui si sentiva un estraneo, dedito ai suoi studi umanistici e filologici raccogliendo l’eredità del Pontano, morto l’anno precedente, divenendo il centro della sodalitas pontaniana, universalmente ammirato dai numerosi studiosi che frequentavano la sua casa, confortato dall’affetto di Cassandra Marchese, una gentildonna che egli assistette e difese in una lunga e sfortunata lite coniugale[21]. In quegli anni ispirato dall’ambiente marino che lo circondava scrisse cinque ecloghe pescatorie in latino, pubblicate nel 1526[22], in cui traspose ai pastori protagonisti dell’Arcadia i pescatori ambientandole nella spiaggia di Mergellina e nei dintorni, il suo locus amoenus, che faceva da sfondo a vari eventi festivi. In tal modo divenne l’inventor generis della poesia piscatoria[23], come ricordava anche Ludovico Ariosto: JacoboSannazar, ch’a le camene Lasciar fa i monti ed abitar l’arene (Orlando Furioso, XLV 17) Il modello dell’ecloga teocritea e virgiliana utilizzato nell’Arcadia si era sviluppato a fine Quattrocento nel territorio toscano, tra Firenze e Siena poi nelle principali corti italiane, tra cui quelle di Ferrara con Matteo Maria Boiardo e di Napoli con il Sannazaro[24]. Il Gran Sincero volle però sperimentare questo genere anche nell’ambito marino, facilmente adattabile alla recitazione scenica nel golfo partenopeo, ricordando con orgoglio Salsas deduxi primus ad undas / Aususinexpertatemptarepericulacymbis[25] In questi “idilli marinareschi” il piscator diveniva protagonista, Nettuno subentrava a Pan ed il poeta poteva attivare una sperimentazione linguistica volta al sondaggio del lessico piscatorio e marittimo, forse tratta dall’antica tradizione alieutica latina e greca, da Ovidio a Oppiano, che si andava riscoprendo in quegli anni[26] (retia, pisces, orcas, ostrea, conchylia) con un’ambientazione realistica grazie ai toponimi del golfo, Mergeline, Pausilypus, Nesis (Nisida), Cumae[27]. La suggestione poteva essergli venuta da Teocrito, un poeta molto caro al Gran Sincero, che aveva scritto due idilli di ambito marino I pescatori (XXI) e Il ciclope (XI). Ma egli attingeva anche ad altre fonti, tra cui si ipotizza anche il poema di Ausonio[28]. Il progetto, di cui restano 5 ecloghe e il frammento di una sesta[29], doveva essere stato avviato prima dell’esilio (ecloghe I-II) e ripreso dopo il suo ritorno dalla Francia[30]. Esse furono pubblicate nel 1526 a cura dello stesso poeta che volle curarne l’edizione. Nelle ecloghe oltre i pescatori protagonista era il paesaggio del golfo partenopeo, composto di scogliere, scogli, grotte dove si riparavano i pescatori – poeti, che erano intenti ai loro mestieri, descritti accuratamente[31]. Ma in esse si evince anche la storia napoletana, dall’ascesa della dinastia aragonese alla sua caduta, conclusasi con la perdita della libertà, quando il paesaggio marino e gli studi eruditi di latino diventano un dolce conforto[32]. Poco prima di morire il poeta dovette assistere ad altri eventi calamitosi: nel 1528 la città venne assalita e assediata dal generale francese Odette de Foix, Lautrec, e liberata solo grazie alla morte dello stesso generale a causa della peste[33]. In quei lunghi mesi egli ancora una volta trovò rifugio nel castello di Ischia, ospitato magnificamente da Costanza d’Avalos e dalla poetessa Vittoria Colonna, vedova del nipote Ferrante, marchese di Pescara, che amava molto la poesia sannazariana[34]. Dopo la morte del poeta, nel 1530, molti si cimentarono nella composizione del nuovo genere poetico in lingua volgare, riscuotendo molto successo per il particolare uso del mare che si faceva durante le festività[35]. Pian piano questo nuovo genere “marinaresco”, basato sul modello del Gran Sincero[36], si diffuse tra Cinquecento e Seicento, assumendo un suo tratto caratteristico[37]. La corte di Ischia era una delle fucine di questo nuovo genere[38]. Lo stesso Alfonso d’Avalos, cugino e allievo di Vittoria, da lei cresciuto come un figlio, uomo d’armi e poeta[39], volle riprendere tale tematica, componendo un sonetto di tema “pescatorio”[40]. Anche Luigi Tansillo, allievo di Vittoria insieme ad Alfonso[41], nel 1540 scrisse tre ecloghe “piscatorie” dedicate al pescatore Albano[42], alias don Garcia de Toledo, generale delle galere napoletane, figlio del vicerè don Pedro, presso il quale il poeta prestava servizio come “continuo”, seguendolo anche sulle galere. Il pescatore Albano cantava il suo infelice amore per Galatea, cioè Anna de Cardona, sua promessa sposa, che gli aveva preferito il duca di Montaldo, Antonio d’Aragona[43]. Altro poeta interessato al genere bucolico tratto dal “Gran Sincero” fu Garcilaso de La Vega, che instaurò rapporti di amicizia con Bernardo Tasso e Luigi Tansillo e introdusse nelle sue poesie il petrarchismo seguendo la scia dei poeti partenopei[44]. Berardino Rota allievo dell’umanista Marcantonio Epicuro[45], accogliendo l’invito della marchesana, nel ricordare le lunghe conversazioni ischitane del 1527, verso il 1533 scrisse 14 ecloghe piscatorie in volgare ispirandosi alla poetessa, sua musa ispiratrice, cantata come Nice (Vittoria) nella IX ecloga, recitandole nella sua corte ischitana[46]. Fortunato Pintor, che si basava sulla testimonianza di Scipione Ammirato, amico del Rota e curatore della pubblicazione dei suoi sonetti e delle ecloghe piscatorie[47], nella introduzione ipotizzava che il Rota e Bernardo Tasso durante il loro soggiorno nella corte ischitana sarebbero stati esortati dalla stessa Vittoria a compiere la trasposizione in volgare delle ecloghe sannazariane[48]. Bernardo Tasso fu ospite della marchesana tra la metà del 1532, di ritorno dall’Ungheria con Alfonso d’Avalos, ed i primi del 1534, quando andò a Salerno per ricoprire l’incarico di segretario del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, cugino del suo protettore, Andrea d’Avalos. In quel periodo di fecondo otium letterario su istanza della sua mecenate si cimentò in questa nuova impresa, trasponendo le istanze sannazariane nella sua poetica. Nell’epistola dedicatoria della quarta sezione del Libro secondo degli Amori intitolata “Ecloghe et elegie” dedicata alla sua protettrice in contraccambio dei benefici ricevuti tracciò la duplice immagine di vedova sconsolata e di dotta poetessa, protettrice magnanima di uomini di intelletto[49], immagine tratta dalla frequentazione con la sua mecenate[50]. Nel corpus dedicato alla Marchesana vi sono un’egloga pescatoria, Davalo, Crocale Galatea, e una bucolica, Davalo, entrambe dedicate al marito defunto, modulate su modello sannazariano delle Ecloghe pescatorie e dell’Arcadia. Nella pescatoria la ninfa marina Crocale (Vittoria), scendendo dal castello di Inarime (Ischia)[51] alla spiaggia, piange disperata la morte del suo Davalo (il marchese di Pescara), richiamando l’attenzione di Galatea, figlia del dio Nereo, attorniata dall’idilliaco paesaggio delle isole di Ischia e Procida e del promontorio di Miseno, partecipi della sua tristezza, ambiente paesaggistico tipicamente sannazariano, utilizzato poi dai poeti che modularono la loro poetica sulla scia del Gran Sincero[52]. Al crepuscolo, un’ora che invita alla triste meditazione, ella torna al castello immersa nella tristezza, un luogo che vide felice giovane sposa. Qui sono presenti tutti i topoi letterari utilizzati dal Gran Sincero, il fiume Sebeto che ricorda Napoli, Nereo, signore dell’Oceano con le ninfe marine, sue figlie, tutti miti legati al mare, in un modo simile a quello di Berardino Rota nelle sue 14 ecloghe[53]. La poesia pescatoria o marinaresca cominciò poi a diffondersi anche nel resto dell’Italia grazie al beneventano Nicolò Franco, autore di Rime marittime pubblicate in appendice ai Dialoghi marittimi di Giovan Iacopo Bottazzo nativo di Montecastello (Alessandria) insieme ad alcune ecloghe pescatorie del mantovano Giovan Francesco Arrivabene, tutti esponenti dell’Accademia degli Argonauti costituita a Casale Monferrato[54]. Nella seconda metà del Cinquecento, in età manieristica, il genere inventato dal Sannazaro venne ripreso con esiti particolari. Monsignor Paolo Regio, vescovo di Vico Equense, compose la novella Siracusa piscatoria su modello sannazariano, dedicando l’ultima parte a Partenope, già celebrata da Virgilio[55]. A fine Cinquecento anche Giulio Cesare Capaccio volle cimentarsi in questo genere poetico, componendo nel 1598 la Mergellina[56], una silloge di dieci egloghe su modello sannazariano preceduta da altrettante prose. Nell’incipit dedicatorio egli ricordava il topico locus amoenus, una sorta di “Parnaso marittimo”: Già dalla giovinezza, quando scherzar mi era concesso con le Muse, emulo di quei che cominciarono a solcar con molta lode la marittima poesia, andai giocando tra le spelonche, quando a diporto andava nel tempo dell’estate alla nostra amenissima riviera di Posillipo, co i versi che l’aura del mare mi andava alle volte dettando (f.1r.)[57]. Ma il corpus più interessante è quello delle Rime marittime di Giovan Battista Marino, cinquanta sonetti inclusi nelle Rime pubblicate nel 1602[58].In essi il poeta usava elementi e personaggi marini per costruire metafore e concetti. Il mare dei sonetti pulsa di vita e movimento. In uno di essi (16) invocava Tritone e Proteo perché placassero i venti in modo che la sua voce potesse essere sentita da Lilla, la sua donna. Nelle rime si anticipano alcune scene che saranno riprese nell’Adone, in cui il ruolo del Mediterraneo vi figurava appena, in apparenza, anche se era presente in due punti cruciali del poema, all’inizio e nella conclusione della storia principale, mostrando, come nel resto della letteratura pescatoria, una fusione fra elementi mitologici ed elementi marini[59]. Questo ponderoso corpus di letteratura piscatoria servì poi ad allestire scenografiche feste marine. All’inizio si cominciò ad allestire le ecloghe in modo scenografico proprio sulla spiaggia di Mergellina, tanto amata dal Sannazaro, in modo da ricevere dal dialogo con il panorama effetti naturalistici, nei quali la finzione scenica si confondeva con la realtà[60]. Poi vennero messe in scena anche in altre corti italiane: i Gonzaga duchi di Mantova, che possedevano i feudi di Molfetta e Giovinazzo, in Puglia, ai primi del Seicento allestivano nel fiume mantovano «pescatorie, naumachie, balletti di sirene»[61]. In quel periodo si sviluppò anche il genere delle “favole piscatorie”, come quella di Paolo Regio, un altro particolare genere derivato dalla favola pastorale, come quella di Orfeo di Angelo Poliziano[62]. La prima, l’Alceo, composta da Antonio Ongaro nel 1582[63], forse ispirato dal paesaggio marino della sua città natale, Nettuno, fu messa in scena proprio in quello specchio di mare. Ma per la pedissequa imitazione dell’Aminta di Torquato Tasso la favola ottenne l’epiteto di “Aminta bagnato”[64]. Una mappa tra le pastorali “bagnate” è stata creata da Elisa Ragni che ha raccolto cinquantaquattro titoli di opere a stampa, un cospicuo corpus di testi teatrali e musicali di ambientazione marittima (ma anche lacustre e fluviale) pubblicati a partire dalla seconda metà del Cinquecento sull’onda della diffusa “poesia marinaresca”. Talvolta vi è uno sconfinamento tra boschi e riviere o le pastorali sono ambientate in prossimità di lidi o su isole. L’incipit è dato dall’Alceo di Antonio Ongaro, che inaugura la tradizione della pastorale bagnata” e diventa il testo di riferimento per la successiva produzione “piscatoria”, una nutrita produzione con numerose ristampe che testimonia la fortuna di questo genere. I centri più attivi di questa produzione erano Napoli e Venezia (rispettivamente 10 e 15 pubblicazioni), cui seguivano alcune città venete e del centro Italia. Alla scenografica immagine del mare e dei pescatori si aggiungeva quella del corsaro, un problema ben presente, date le frequenti scorrerie di turchi e barbareschi lungo le coste italiane[65]. Nel 1525 apparve il testo di Girolamo Britonio, Trionpho[66], in cui la sirena Partenope cantava le imprese del marchese di Pescara, morto alla fine di quell’anno per le ferite riportate nella battaglia di Pavia. Il Britonio era stato accolto ad Ischia da Costanza d’Avalos nel 1512 come precettore dei nipoti Ferrante, marchese di Pescara, e Alfonso; dopo le nozze di Ferrante con Vittoria era passato al servizio di Vittoria e per lei nel 1519 aveva scritto la raccolta di rime Gelosia del Sole[67], a lei dedicato[68], intriso delle istanze culturali della corte ischitana, in cui l’isola era considerata un rinnovato Parnaso delle muse meridionali, luogo di restaurazione della poesia grazie al mecenatismo della sua castellana[69]. Poi aveva seguito il marchese di Pescara in battaglia e dopo la sua morte era stato incaricato di raccoglierne le carte[70]. Perciò sarà stato incaricato dalla marchesa di scrivere un encomio per l’amato sposo, in cui egli inserì la tematica marittima tanto amata dalla poetessa. Lo stesso Britonio nel 1535 pubblicò un Elegantissimo dialogo pastorale et marittimo et ninfale per celebrare l’elezione di papa Paolo III Alessandro Farnese (1534), dedicato a Francesco di Toledo, figlio del viceré don Pedro, in cui il secondo atto era “tutto marittimo”, recitato in presenza del papa alla Mole di Adriano[71]. Anche Giovan Battista Basile si cimentò in questo ambito componendo una favola marittima in cinque atti in versi, Le avventurose disavventure, pubblicata a Napoli nel 1611, dedicata a Luigi Carafa principe di Stigliano e duca di Sabbioneta[72]. La scena era ideata nel palazzo marino della Sirena, possesso del Carafa, dove poi si sarebbero recitate numerose commedie, dato che nel palazzo vi era un teatro prospiciente il mare[73]. Altre rappresentazioni scenografiche: naumachie, feste con la flotta, cantastorie al molo La scenografia marittima venne utilizzata nel 1519 in occasione delle feste per festeggiare l’elezione di Carlo V: in quella occasione fu allestita nel Golfo una naumachia, cioè un finto combattimento navale, simile a quelle organizzate nell’antichità[74]. Nel novembre del 1535 per lo stesso imperatore, arrivato a Napoli da Tunisi, vittorioso come un Novello Scipione, venne organizzato un ricco programma di festeggiamenti in cui il mare, dove si erano svolte le battaglie, era l’elemento predominante. Teresa Megale sottolinea come «l’abbraccio del mare di fronte a Castelnuovo veniva largamente impiegato per ‘rappresentazioni marine’, tra le quali gli ingressi trionfali» per re e viceré e «permeava di sé tanto la figurazione pittorica», come quella della Tavola Strozzi, «quanto la produzione drammaturgica delle ‘ecloghe piscatorie’»[75]. Questa “moda” si diffuse rapidamente in Italia ed in Europa. Nel 1587 venne allestita una naumachia a Monaco per l’arciduca Ferdinando; e nel 1608 se ne allestì una a Firenze, sull’Arno per le nozze dei principi di Toscana, riproposta nuovamente due anni dopo[76]. Ma molte naumachie erano allestite insieme ai balletti di sirene ed alle ecloghe piscatorie a Mantova dai Gonzaga che amavano gli “allestimenti marittimi”[77]. Poiché questi spettacoli suscitavano notevole interesse, il gesuita napoletano Nicola Partenio Giannettasio compose una Naumachia, 14 ecloghe piscatorie e un poema Nautica[78], forse ispirato da quello composto da Berardino Baldi[79], che aveva composto un poema su modello delle Georgiche virgiliane, sostituendo gli agricoltori con i pescatori[80]. Ancora nel 1721 a Vienna venivano allestite naumachie, un genere di spettacolo molto affascinante, su modello di quello organizzato nel mare napoletano fin dal Cinquecento. Venivano rappresentate anche finte battaglie navali ingaggiate dalle galere che lanciavano fuochi artificiali simulando attacchi dei nemici, suscitando lo spavento della popolazione. Il 24 luglio 1672 il viceré Antonio Perez Alvarez de Toledo, marchese d’Astorga, ne aveva organizzata una a Mergellina dove era stato innalzato un castello su due tartane pieno di fuochi artificiali difeso dai turchi[81]. Il mare serviva da scenografia anche per l’allestimento di commedie: nel 1537 Luigi Tansillo, allestì nel porto di Messina in onore di Antonia de Cardona, promessa sposa del generale don Garcia de Toledo, un suo poema, I due pellegrini, utilizzando il palco creato con l’abbattimento delle paratie di due galere affiancate, collegate con un ponteggio[82]. Altre feste erano organizzate per la posa per il primo chiodo della galera da costruire ed il varo dell’imbarcazione, secondo un preciso cerimoniale[83]. La flotta di galere era utilizzata anche per scortare i viceré nel golfo quando si recavano a Posillipo per gli “spassi”. Inoltre all’arrivo di un importante personaggio per il suo sbarco al molo veniva allestito dagli architetti regi un puente (ponteggio) riccamente adornato su cui venivano posizionati musici, in modo da creare un ingresso spettacolare, sistema utilizzato anche quando arrivava il nuovo viceré[84]. Tra le cerimonie di inaugurazione una delle più rappresentative fu quella della inaugurazione della darsena, una sorta di «festa militare», celebrata il 25 luglio 1666, solennità di san Giacomo, l’apostolo delle Spagne, fatta costruire dal viceré Pedro Antonio d’Aragona per riparare i vascelli del Mar Oceano costruiti da Andrea d’Avalos principe di Montesarchio[85]. Alla cerimonia di inaugurazione partecipò anche l’ammiraglio della flotta siciliana, il giovane duca di Ferrandina, che due anni dopo avrebbe temporaneamente sostituito il viceré, durante l’ambasciata di obbedienza offerta da Pedro Antonio d’Aragón al nuovo pontefice Clemente IX. Sulla sua galera fu offerto un rinfresco di confetture e canditi concluso da un brindisi alla salute del re Carlo II. La viceregina assistette a «quanto di curioso vi fusse nel preparato festeggiamento» dalle sale del «Palloneto di Palazzo … luogo che era eminente, et sovrastante al nuovo porto»[86]. Il mare era protagonista di un altro “spasso”, la passeggiata lungo il molo nelle sere d’estate che il popolo faceva al fresco della sera illuminata dalla luce della lanterna. Il passeggio sul molo era allietato da vari spettacoli, in primis quello del cantastorie, che doveva pagare una percentuale dei suoi guadagni all’affittatore della lanterna poiché di sera usufruiva della sua luce. Il cantastorie declamava i versi dei maggiori poemi cavallereschi, talvolta accompagnato da musici. Vi era anche il Guarattellaro, cioè il burattinaio con i suoi burattini e il teatrino a tracolla, che intratteneva amenamente grandi e piccini con le sue storie e le sue musiche. E vi era un fiorente commercio di cibo da strada (antesignano del moderno street food), l’acquaiola, il venditore di frittelle, di spaghetti, di vino, ecc., tutto un mondo brulicante che faceva da contorno a queste “passeggiate marine”[87]. [1] A. D'Andria, Biografie impossibili. Mito delle origini e valore della “biografia” di Partenope in Giovanni Antonio Summonte, «Rassegna Storica Lucana», n. 45-46, 2006, pp. 127-130. [2] T. Megale, Tra mare e terra Commedia dell’arte nella Napoli spagnola (1575-1656), Bulzoni ed., Roma, 2017, pp. 115 ss., Topografia dello spettacolo: dai teatri ‘di terra’ ai ‘teatri di mare’. [3] R. Del Prete, L’industria creativa: creazione, regolazione e dinamiche del mercato musicale a Napoli in età moderna, in F. Cotticelli P. Maione, Storia della musica e dello spettacolo a Napoli, Il Seicento, Turchini ed., Napoli, 2019, 2 voll., II, pp. 1715- 1766, pp. 1721ss. [4] D. Fabris, Partenope da Sirena a Regina. Il mito musicale di Napoli, Cafagna ed., Barletta 2016. [5] C. A. Addesso, Teatro e festività nella Napoli aragonese, Leo Olschki editore, Firenze 2012, p.30. [6] M. Visone, Poggio Reale rivisitato: preesistenze, generi e trasformazioni in età vicereale, in E. Sanchez García, a cura di, Rinascimento meridionale. Napoli e il viceré Pedro de Toledo, Tullio Pironti, Napoli 2016, pp. 771-798. [7] E. Papagna, Tra vita reale e modello teorico: le due Costanze d’Avalos nella Napoli aragonese e Spagnola, in L. Arcangeli e S. Peyronel, a cura di, Donne di potere nel Rinascimento, Viella ed., Roma 2008, pp. 536 – 574. [8] C. A. Addesso, La prima farsa di Iacopo Sannazaro? La 'lausconiugii' per le nozze di Costanza d’Avalos (1477), «Studi Rinascimentali», 9, 2011, pp. 89-97. [9] C. Galiano, Nuove fonti per la storia musicale napoletana in età aragonese: i musicisti dei libri contabili del Banco Strozzi, in L. Bianconi e R.Bossa, Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, Olschki ed, Firenze 1983, pp. 47-59. [10] D. C. Cardamone, The “canzone villanesca alla napoletana” and Related Forms 1537-1570, 2 voll., Ann Arbor, Michigan 1981; R. Cossentino, La canzone napoletana dalle origini ai nostri giorni: Storia e protagonisti, Rogiosi ed., Napoli 2015: la villanella o canzona villanesca era una canzone popolare già presente a Napoli all’epoca di Boccaccio che si strutturò nella prima metà del XVI secolo ed ebbe poi un notevole sviluppo nel Cinquecento e nel Seicento. [11] Addesso, Teatro e festività nella Napoli aragonese, cit., pp. 79 ss. [12] M. J. Rodriguez Salgado, ¿CarolusAfricanus? El Emperador y el turco, in Carlos V y la quiebra del humanismo politico en Europa 1530-1558, in Congreso Internacional Carlos V y la quiebra del humanismo político en Europa (1530-1558), Madrid, 3-6 de julio de 2000, Madrid, Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlos V, 2001, vol. I, pp. 487-531. [13] G. Galasso, Napoli capitale. Identità politica e identità cittadina. Studi e ricerche 1266-1860, ELECTA, Napoli 1998, p. 132. 14. C. Vecce, Sannazaro in Francia: orizzonti europei di un ‘poeta gentiluomo’, in P. Sabbatino, a cura di, La cultura napoletana nell’Europa del Rinascimento, Convegno internazionale di studi Napoli 27-28 marzo 2006, Olschki ed., Firenze 2009, pp. 149-166. [15] G. Villani, Iacopo Sannazaro, in Storia della Letteratura Italiana diretta da E. Malato, vol. III, Il Quattrocento, Salerno Editrice, Roma 1996, pp. 763-802, p. 768-769. [16] J. Sannazaro, Arcadia del Sannazaro tutta fornita et tratta emendatissima dal suo originale et nouamente in Napoli restampita, a cura di P. Summonte, Sigismondo Mayr, Napoli 1504. [17] P. Sabbatino, «La più fruttifera e dilettevole parte di Italia»”. Il ritorno a Napoli nell’Arcadia del Sannazaro, in P. Sabbatino, a cura di, Il viaggio a Napoli tra letteratura e arti, ESI, Napoli, 2012, pp. 155-173. [18] Biblioteca Nazionale Napoli, ms. XI D 10, libro degli uffici, 1623 circa: nella città di Ischia non si nominava il capitano perché la carica era concessa in governo al marchese del Vasto, d’Avalos, che nominava l’ ufficiale di guardia pagando uno stipendio di 12 ducati al mese. [19] E. Papagna, Tra vita reale e modello teorico: le due Costanze d’Avalos, cit. [20] C. Vecce, Sannazaro Jacopo, voce a cura di, Dizionario Biografico degli Italiani, 90, 2017, ww.treccani.it [21] G. Villani, Iacopo Sannazaro, pp. 768-769: Cassandra Marchese era l’infelice consorte di Alfonso Castriota, marchese di Atripalda, che da lei pretese e ottenne il divorzio anche se il Sannazaro si era adoperato presso la Curia di papa Leone X scrivendo al Bembo una lunga lettera il 19 aprile 1518 per perorare la causa della nobildonna. [22] J. Sannazaro, Le Ecloghe piscatorie, a cura di S. M. Martini, Elea Press, Salerno 1995. Cfr. anche l’edizione americana a cura di W. P. Mustard, The Piscatory Eclogues of Jacopo Sannazaro, John Hopkins Press, 1914. [23] M. Sirago, La poesia “piscatoria” da Sannazaro a Parini, in G. Imbucci, a cura di, Studi in onore di Francesco Volpe, Editrice Ermes, Potenza 2007, pp. 203- 213, p. 203. Per il genere piscatorio cfr. F. Angelini, Enciclopedia dello spettacolo, Casa ed. Le Maschere, Roma 1961, vol. VIII, p. 190, voce “Piscatoria favola”. Cfr. anche M. Luisi, Alle origini dell’ecloga piscatoria, in “… E c’è di mezzo il mare”: lingua, letteratura e civiltà marina, Atti del Congresso dell’A.I.P.I, Spalato (Croazia), vol I, Cesati, Firenze 2002, pp. 345 – 358. [24] M. Sirago, La poesia “piscatoria” da Sannazaro a Parini, p. 203; per una visione d’insieme cfr. A. Beniscelli, M. Chiarla, S. Morando, a cura di, La tradizione della favola pastorale in Italia. Modelli e percorsi, Atti del Convegno di Studi Genova 29-30 novembre-1 dicembre 2012, ArchetipoLibri, Bologna, 2013. [25] J. Sannazaro, Le Ecloghe piscatorie, IV ecloga, Proteo, vv.19-20; egli ribadiva la progenitura anche nell’elegia III, 2, vv. 57-58; N. De Blasi, La letteratura a Napoli nel primo Cinquecento, in A. Rosa, a cura di, Letteratura Italiana, Storia e Geografia, II, Età moderna, Einaudi, Torino 1988, pp. 235-325, pp. 279-280. [26] A. Zumbo, “Piscatoria instrumenta” da Oppiano a Maurolico, Accademia Peloritana dei Pericolanti, Classe di Lettere, Filosofia e Belle Arti, LXVII, 1991, pp. 293-302: la tradizione della letteratura halieutica risaliva ad Oppiano che Aveva dedicato i suoi libri a Marco Aurelio poi era ripresa da Ovidio, di cui non è riasto molto, per riemergere nel 1500 con gli studi di Maurolico. [27] N. De Blasi, La letteratura a Napoli nel primo Cinquecento, cit., p. 279. [28] C. Bonnan, G. et G. Lecoindre, En aspicelusus. Sannazar lecteur d’Ausone? Le jeu de la citation dans les Eclogae Piscatoriae, in E. Wolff, a cura di, La réception d'Ausonedans les littératures européennes, Ausoniuséditions, Bordeaux 2019, Scripta Receptoria - 15, pp. 147-160. [29] L. Monti Sabia, Storia di un fallimento poetico: il ‘fragmentum’ di una ‘Piscatoria’ di J. Sannazaro, «Vichiana», n.s., XIII, 1983, pp. 255-281. [30] G. Villani, Iacopo Sannazaro, pp. 793-794. Per una analisi delle ecloghe cfr. C. Salemme, Le Eclogaepiscatoriae di Iacopo Sannazaro, «Studi Latini», Loffredo ed., Napoli 2007 [31] M. Sirago, Gli agricoltori del mare ascritti alla gleba. I sistemi di pesca nei golfi di Napoli e Salerno in Età Moderna (1503-1806), in F. Pirolo, a cura di, La pesca in Campania e Sicilia. Aspetti storici, Licosia ed., Ogliastro Cilento (Salerno) 2018, pp. 21-84. [32] G. Lecoindre, Paesaggi e prodotti marini nel Golfo di Napoli nelle EclogaePiscatoriae di Iacopo Sannazaro, in G. Germano, a cura di, Per la valorizzazione del patrimonio culturale della Campania Il contributo degli studi medio e neo-latini, Paolo Loffredo ed., Napoli 2016, pp. 107-111. [33] M. Sirago, La flotta napoletana nel contesto mediterraneo (1503- 1707),Licosia, Ogliastro Cilento (Salerno) 2018, pp. 124ss. [34] M. Sirago, Bernardo e Torquato Tasso da Tunisi a Lepanto, in corso di stampa. [35] M. Sirago, La poesia marinaresca o piscatoria’ da Sannazaro a Parini. [36] P. Chierchi, R. Morosini, Adone mediterraneo, «Lettere Italiane», 2017/1, a. 69, pp. 83-109. [37] Per un’evoluzione del genere piscatorio, definito “variante“ del genere pastorale, cfr. N. Smith, The Genre and Critical Rezeption of Jacopo Sannazaro’s Eclogae Piscatorie (Naples 1526), «Humanistica Lovaniensia of Neo – Latin Studies», 2011, pp, 199-219; M. Chiarla, La variante “marittima” della favola pastorale: La Creazione della Perla di Gasparo Murtola, in G. Baldassarri, V. Di Iasio, P. Pecci, E. Pietrobon, V. Tomasi, a cura, di, La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena, Atti del XVI Congresso Nazionale, Sassari-Alghero, 19-22 settembre 2012, Adi editore, Roma 2014, pp. 1 – 10, www.italianisti.it/Atti-di-Congresso; E. Fredericksen, Jacopo Sannazaro’sPiscatoryEclogues and the Question of Genre, «New Voices in Classical Reception Studies», issue 9, 2014, pp. 19-29. [38] G. de la Torre Ávalos, El grupo poetico de Ischia y la adaptacion al vulgar de la égloga piscatoria, «Bulletinhispanique, 119-2, 2017, pp. 537 – 554 [39] T. R.Toscano, Due allievi di Vittoria Colonna: Luigi Tansillo e Alfonso d’Avalos, in Idem, Letterati corti accademie. La letteratura a Napoli nella prima metà del Cinquecento, Loffredo ed., Napoli 2001, pp. 85-120; M. Sirago, La poesia marinaresca o piscatoria, cit. [40] A. Rubbi, F. Baldi Rota, F. Del Vasto, Marittimi e pedanteschi del secolo XVI, presso Antonio Zatta, Venezia 1787, p. 208, “In mezzo all’onde salse in fragil legno/un pescator…”. [41] T. R.Toscano, Due allievi di Vittoria Colonna; M. Sirago, La poesia marinaresca o piscatoria, cit. [42] L. Tansillo, Il canzoniere edito e inedito secondo una copia dell’autografo ed altri manoscritti a stampa, 2 voll., I, Poesie amorose, pastorali e pescatorie, personali, famigliari, e religiose, a cura di E. Percopo, ristampa anastatica dell’ed. Napoli 1926 e II, Poesie eroiche ed encomiastiche, edizione delle carte autografe di E. Percopo, a cura di T. R. Toscano, Napoli 1996, I, pp. 201-239. [43] M. Sirago, Don Garcia de Toledo ammiraglio della flotta napoletana e spagnola e viceré di Catalogna e Sicilia, , «Archivio Storico per le Province Napoletane», 2011, pp. 77- 94: il pescatore Albano cantava il suo infelice amore per Galatea, cioè Antonia Cardona, che gli aveva preferito il duca di Montaldo, Antonio d’Aragona. [44] A. Gargano, Garcilaso en Nàpoles entre humanismo latino y clasicismo vulgar, in E. Sànchez Garcìa, a cura di, Rinascimento meridionale Napoli e il viceré Pedro de Toledo (1532 – 1553), Tullio Pironti ed., Napoli 2016, pp. 371 – 385. [45] L. Milite, Rota Berardino, voce a cura di, Dizionario Biografico degli Italiani, 88, 2017, www.treccani.it [46] B. Rota, Sonetti et canzoni del s. Berardino Rota. Con l’Egloghe pescatorie, appresso Gio. Maria Scotto, in Napoli, 1560. [47] B. Rota, Delle poesie del Signor Berardino Rota Colle annotazioni di Scipione Ammirato sopra alcuni sonetti, 1 ed. Napoli 1560; cfr. anche l’edizione moderna B. Rota, Rime, a cura di L. Milite, Fondazione P. Bembo, Guanda ed., Parma 2000. [48] F. Pintor, Delle liriche di Bernardo Tasso, Estratti dagli Annali della R. Scuola Normale di Pisa, Tip. Succ. Fratelli Nistri, Pisa1898; anche G. de la Torre Ávalos, El grupo poetico de Ischia, che disquisisce su tale ipotesi. [49] A. Magalhães, 33, «Studia Aurea», XIV, 2020, pp. 541-582, p.544, in corso di stampa, gentilmente inviato dall’autore. [50] B. Tasso, Rime, Giolito de’ Ferrari, Venezia 1560, dedicato a Ferrante Sanseverino, pp. 161-162. [51] Inarime è il nome coniato da Virgilio nell’Eneide (IX, 716) per indicare l’isola d’Ischia. [52] M. Sirago, Il paesaggio marino napoletano nei letterati e viaggiatori, in P. Sabbatino, a cura di, Il viaggio a Napoli tra letteratura e arti, ESI, Napoli, 2012, pp.463 – 481, p.470. [53] P. Chierchi, R. Morosini, Adone mediterraneo, cit., pp. 87-88. [54] G. I. Bottazzo, Dialogi maritimi di Gioan Iacopo Bottazzo ed alcune rime marittime di M. Nicolò Franco, et altri diversi spiriti dell’Accademia degl’Argonauti, per Iacopo Ruffinelli, Mantova, 1547. [55] P. Regio, Siracusa pescatoria, appresso Gio. de Boy, Napoli, 1569. [56] G. C. Capaccio, Mergellina. Ecloghe piscatorie, presso gli eredi di Melchior Serra, Venezia 1598. [57] D. Caracciolo, La Mergellina (1598): un “universo acquatile” tra arte e natura, in D. Caracciolo, Giulio Cesare Capaccio tra arte e letteratura, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2016, pp. 111- 147. Sullo sviluppo secentesco del genere, cfr. M. Leone, Geminae voces: poesia in latino tra Barocco e Arcadia, Congedo, Galatina 2007, pp. 241-271; V. Giannantonio, Tra angeli e dei. La parabola dell’amore e del sacro nella poesia barocca napoletana, Pensa Multimedia, Lecce 2012, pp. 147-183. [58] G. B. Marino, Rime amorose, marittime, boscherecce, eroiche, presso G.B. Ciotti, Venezia 1602; Idem, Rime marittime, a cura di O. Besomi e A. Martini, Panini, Modena 1988. [59] P. Chierchi, R. Morosini, Adone mediterraneo, cit., pp 92ss. [60]T. Megale, Tra mare e terra, p. 131. [61] Notizie di tali allestimenti, tratte da lettere del duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, dei primi del Seicento si trovano nell’archivio informatico del “Centro di Studi Mantova Capitale Europea dello Spettacolo” istituito nel 1999 per la documentazione dell’attività spettacolare patrocinata dai Gonzaga nel periodo di massimo splendore, 1480 – 1630, archivio HERL, www.capitalespettacolo.it. Cfr. Ma. Sirago, La “poesia marinaresca o piscatoria”, cit., p.211. [62] S. Ferrone, Il teatro, in E. Malato, a cura di, Storia della letteratura italiana, III, Il Quattrocento, pp. 955-992, p. 972ss. [63] A. Ongaro, Alceo favola pescatoria Recitata in Nettuno Castello de' signori Colonnesi et non più posta in luce, Francesco Ziletti, Venezia 1582. [64] R. Luzi, L’Alceo. Nacque a Nettuno la prima favola pescatoria della letteratura italiana, in http://www.100libripernettuno.it/Arte%20e%20cultura/testi%20storici/alceo.html [65] E. Ragni, Una mappa per le pastorali “bagnate”, in A. Beniscelli, M. Chiarla, S. Morando, a cura di, La tradizione della favola pastorale in Italia, archetipolibri, Bologna 2013, pp. 573- 632. [66] G. Britonio, Trionpho de lo Britonio nel quale Parthenope Sirena narra et canta gli gloriosi gesti del gran Marchese di Pescara, nella stampa di M. Evangelista di Presenzani di Pavia, Napoli 1525. [67] G. Britonio, Gelosia del Sole, a cura di M. Marrocco, La Sapienza, Roma 2016; G. Britonio, Gelosia del Sole, a cura di M. Romanato, Droz, Genéve 2019. [68] T. R. Toscano, Schede sul noviziato poetico napoletano di Vittoria Colonna, in T. R. Toscano, Letterati corti accademie. La letteratura a Napoli nella prima metà del Cinquecento, Loffredo, Napoli 2000, pp. 13-24, p. 15. [69] M. Marrocco, Ischia e il suo cenacolo di primo Cinquecento: un rinnovato Parnaso delle muse meridionali, in B. Alfonzetti, G. Baldassarri, F. Tomasi, a cura di, I cantieri dell’italianistica. Ricerca didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo, Atti del XVII congresso dell’ADI, Associazione degli Italianisti, Roma, Sapienza, 18 – 21 settembre 2013, ADI editore, Roma 2014, pp. 1-6, http://www.italianisti.it/ Atti-di-Congresso?pg=cm&ext=p&cms_codsec=148&cmscodcms=581 [70] G. Ballistreri, Girolamo Britonio, voce a cura di, Dizionario Biografico degli italiani, 14, 1972, www.treccani,it. [71] G. Britonio, Elegantissimo dialogo pastorale et maritimo et ninfale, diviso in atti ed in diverse rime composto in gloria della creazione di P. Paolo III, per Antonio Baldo de Asola, Roma 1535, dedicato “Al Magnanimo et illustre Segnore Don Francesco di Toleto, cavalliero degnissimo”. [72] G. B. Basile, Le avventurose disavventure Favola marittima di Gio.Battista Basile, Il Pigro Academico Stravagante di Creta, nella Stampa di Gio, Battista Gargano, e Lucretio Nucci, Napoli 1611. [73] Per una visione d’insieme sul palazzo della Sirena trasformato in palazzo donn’Anna cfr. P. Belli, a cura di, Palazzo Donn’Anna Storia, arte e natura, Allemandi, Torino 2017. [74] T. Megale, “Sic per te superis gens inimica ruit”. L’ingresso trionfale di Carlo V a Napoli (1535), in G. Galasso, A. Musi, a cura di, Carlo V Napoli e il Mediterraneo, Atti di Convegno, «Archivio Storico per le Province Napoletane», Napoli 2001, pp. 587 – 610, p. 589. [75] Megale, “Sic per te superis, cit. p. 591. [76] Archivio HERLA, Mantova, www.capitalespettacolo.it, doc. L- 200, 1587, C -706, 8/11/1608, e C – 1248, 26/12/1610. [77] Archivio HERLA, Mantova, www.capitalespettacolo.it, doc. C-911, 1070, 1071, 1073, 1075, 1076, 1077, 1082, 1083, 1325, 2342, lettere del 1605 e 1606; doc. C – 91, 1611; doc. C-257, 1611. [78] N. Partenio Giannettasio, Nicolai Parthenii Giannettasii neapolitani e societate jesu, Naumachica, seu de bello navali libri V. Ad Excellentissimum Principem Antonium Rambaldum Collalti comitem. // Bellica editio secunda emendatior, Apud Bernardum Michaelem Raillard, Neapoli 1714 - 1715., t. I, Naumachia seu bello navali, t. II, Pisatoria, nautica et halieutica. [79] B. Baldi, La nautica e le ecloghe, con prefazione e note di G. Romeo, R,Carabba, Lanciano 1913. [80] M. Sirago, La navigazione con le galere nelle opere di Luigi Tansillo e Berardino Baldi, in E. Malato, a cura di, La letteratura del mare, Atti del Convegno. Napoli, 13-16 settembre 2004, Salerno Editrice, Roma 2006, pp. 733-749. [81] G. De Blasiis, Frammento di un Diario inedito napoletano, «Archivio Storico per le Province Napoletane», 13 (1888), pp. 788-820; 14 (1889), pp. 34-68, 265-352. 1889, p. 321. [82] L. Tansillo, Sonetti per la presa d’Africa, s.n.n., ma Napoli 1551; R. Pestarino, Lirica narrativa: i Sonetti per la presa d’Africa di Luigi Tansillo, Loffredo ed., Napoli 2011. [83] A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli 1650-1717, Rubbettino ed., Soveria Mannelli 2012, pp. 206-207. [84] G. Muto, La costruzione dell’immagine del sovrano nei cerimoniali napoletani del Cinque e Seicento, in A. Antonelli, a cura di, Cerimoniale del viceregno spagnolo di Napoli (1535 – 1637), arte’m, Napoli 2019, pp. 27-43. p. 28. [85] M. Sirago, Dalla galera al vascello. Esigenze diverse per la realizzazione di una darsena a Napoli, in Napoli e la marina dal XVI secolo ai giorni nostri, Atti del Convegno, Napoli 30 maggio 2008, “Sala Caracciolo” della Base Navale di Napoli, Ufficio Storico della Marina Militare Italiana Supplemento al Bollettino d’Archivio, Dicembre 2008, pp. 17 – 35; cfr. anche eadem, La flotta napoletana nel contesto mediterraneo, pp. 301ss. [86] A. Rubino, Notitia di quanto è occorso in Napoli (1648-1669), Società Napoletana di Storia Patria, Napoli, Biblioteca, ms. XIII D XIV-XVII, IV, ff. 164ss., ora digitalizzato in http://rubino.polodigitalenapoli.it/ a cura di I. Mauro; Eadem, Spazio urbano e rappresentazione del potere. Le cerimonie della città di Napoli dopo la rivolta di Masaniello (1648-1672), Federico II University Press, Napoli 2020, pp.188-189: l’A. nel primo capitolo fa una lunga disamina su Andrea Rubino e la sua opera. [87] V. Gleijeses, Feste farina e forca, pp. 7-12.
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