di Silvia Conti Dal titolo si potrebbe pensare che in questa sede si tratterà di quella serie di eventi che sovente spiccano dai cartelloni pubblicitari delle città… Il grande evento di restauro atteso da tutto il mondo, la grande mostra con rarissime opere e, perché no, le scarpe di quella marca famosa che sponsorizza il tutto. Non proprio, in questo scritto si vuole parlare del Restauro quale disciplina volta alla conservazione di beni di interesse storico artistico, dell’arte quale oggetto preferenziale del restauro e della moda quale fenomeno sociale che ci induce a scegliere un certo tipo di intervento di restauro piuttosto che l’altro, che ci fa preferire alcuni oggetti o alcuni stili ad altri. IL RESTAURO Il restauro è una disciplina con radici antiche, ma che vede il suo costituirsi sotto un profilo teorico e normativo in tempi piuttosto recenti [Conti, 1988; Brandi, 1963][i]. E’ una materia complessa, composita, in continua evoluzione, che riguarda una moltitudine di settori specifici che per ragioni di razionalizzazione normativa vengono suddivisi per materiali (lapidei, intonaci, legno, metalli, oreficeria, affreschi, dipinti su tela, dipinti su tavola, tessuti, vetri, carta, ecc.,ecc.,). La finalità unica del restauro in tutte le sue diramazioni, correnti e sfaccettature è la conservazione di oggetti di interesse storico artistico, ovvero è la disciplina deputata a tramandare fisicamente gli oggetti ai posteri. La figura professionale abilitata alla realizzazione del restauro è il restauratore, i requisiti necessari allo svolgimento dell’attività di restauro sono descritti e normati dal decreto Urbani [Dlgs n° 42 del 2004]. Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un incredibile fama o se vogliamo, fortuna critica, del “restauro”. Si parla molto di restauro ed è un termine che spesso evoca motti di stupore e meraviglia, conserva in se una specie di magico alone e il più delle volte viene accoppiato per via diretta alla frase “riscoperta dell’antico splendore” che, detto per inciso, c’entra assai poco con il restauro. Ma quando si assiste alla gloria del termine restauro si ha come la sensazione che si stia celebrando un nome, ricorda le parole di Marcel Proust, quando descrive la situazione tale per cui prima di conoscere fisicamente un luogo, esso sia solo una sensazione legata al suo nome[ii]. Anche il restauro è un luogo, più precisamente un mondo: dietro al termine restauro si nasconde un mondo complesso in continuo divenire. Basti pensare che solamente in tempi recenti si è assistito alla messa a punto di una tecnologia specifica per il restauro. Nella sua fase novecentesca il restauro, come un saprofita, ha dovuto sperimentare, assimilare e adattare materie e tecniche nate per i settori più disparati, si pensi agli ablatori dei dentisti utilizzati per rimuovere depositi coerenti e concrezioni da superfici lapidee seguiti a ruota dalla tecnica laser, oppure i detergenti, antibatterici, solventi e reagenti chimici, in uso nell’industria e nella sanità, applicati alle fasi di pulitura e trattamento biocida delle opere, e ancora, le materie di sintesi come le resine, i leganti polivinilici o alifatici plasmati ed utilizzati per i consolidamenti e i fissaggi della disgregazione materiale delle opere. Molti gli utilizzi e le sperimentazioni con un’unica sacra regola, la reversibilità. Ogni singolo atto, ogni singola fase che si compie per restaurare un’opera, dovrà assolutamente essere reversibile, ovvero dovrà poter essere rimossa qualora le condizioni future lo dovessero richiedere. Siamo dunque di fronte ad una disciplina con poche certezze, fatta di studio, progettazione, sperimentazione sul campo, polvere, pazienza e tanto metodo. Da questi soli brevi cenni descrittivi si potrà ben capire quanta e quale sia la distanza tra il restauro e la sua diffusa percezione. Dato per assodato che si ritiene positiva la fama attuale del restauro, non si può non rilevare che troppo spesso non esiste un collegamento tra il diffondersi del concetto di restauro e la reale cognizione di conservazione del patrimonio storico artistico quale conservazione di un bagaglio di oggetti materiali, che possano costituire riferimenti concreti per la formazione della memoria collettiva futura. L’epoca contemporanea appare spesso in un atteggiamento bipolare nei confronti della conservazione dei beni culturali: se da un lato si sta assistendo ad un diffondersi a tutti i livelli del concetto di restauro, dall’altro appare poco chiaro cosa sia giusto, etico e legittimo conservare. Ci si trova spesso di fronte ad una scelta selettiva di ciò che va restaurato, e quindi conservato, e ciò che può tranquillamente essere sacrificato sull’altare dell’utilità o della contemporaneità. Non è insolito trovarsi di fronte ad interventi su immobili di pregio di cui vengono conservati gli affreschi, i portali, ma non gli intonaci, non i pavimenti o alcuni altri dettagli ritenuti di privi di importanza. Gli intonaci, ad esempio, sono il luogo dove si possono trovare gli affreschi; soltanto lì, se ci sono, si potranno trovare. Eppure vengono frequentemente demoliti. Complici alcune teorie dell’architettura divenute consuetudine, che definivano l’intonaco “superficie di sacrificio”, teorie che sono state terreno di studio e confutazione per gli stessi teorici dell’architettura [Marconi, 1987; Bellini, 1990][iii], ma che, tuttavia, si sono diffuse a macchia d’olio, con gravissime ricadute sulla conservazione dei beni di interesse storico artistico. Ancora oggi, sebbene tutte le normative in materia dedichino ampio spazio alla conservazione degli intonaci, la loro attuazione fatica non poco ad affermarsi. Ma cosa rende così frammentaria la consapevolezza riguardo il nostro patrimonio culturale? Che sia un problema di costi? Si certo, la conservazione e il restauro possono avere costi alti, ma non più di qualsiasi altra attività professionale. Nella maggior parte dei casi non si provvede neppure ad effettuare una banale comparazione dei costi prima di procedere ed affidare, senza alcun indugio, i lavori su manufatti storici a ditte edili. Che sia colpa di un vuoto legislativo? Non proprio: l’Italia ha una tradizione legislativa in materia di beni culturali di alto profilo ed ha contribuito alla legislazione dei beni culturali a livello europeo ed internazionale, oltre a tutte le carte del restauro[iv]. Che sia un problema culturale? Probabilmente si! Senza dubbio vi è scarsa chiarezza quando si parla di conservazione del patrimonio. Un’incertezza che ha inizio dalla difficoltà nel comprendere cosa sia da considerarsi patrimonio culturale e prosegue con una forte cesura tra gli addetti ai lavori, intesi a tutti i livelli, e il resto del mondo. Questa situazione nel suo complesso risulta dannosa in termini di amore e cura per il nostro paese e per la nostra storia. L’ARTE Veniamo ora agli oggetti di cui si occupa il restauro e dunque al capitolo Arte. L’arte è l’ambito preferenziale su cui agisce il restauro, in una infinita gamma di diramazioni, tante quante sono le manifestazioni artistiche. Arte antica, arte contemporanea, sculture, dipinti, filmati, performance, oggetti della cultura materiale e chi più ne ha più ne metta. L’arte è azione e materia, espressa in una serie di categorie universalmente conosciute e diffuse, ma la sua più profonda essenza semantica non è di facile approccio. Forse per la moltitudine di discipline attraverso le quali si manifesta e spesso per l’assenza di un senso pienamente comprensibile o di una sua precisa funzione, l’arte in molti casi ‘non serve a nulla’. Eppure è una delle espressioni più alte e potenti della società. Attraverso l’espressione artistica possiamo indagare e dedurre dati su civiltà lontane o scomparse e possiamo interpretare dati storici. L’arte parla di noi, del nostro carattere, del nostro pensiero e della nostra storia ed è per questo che va conservata, in tutte le sue forme, anche quelle ritenute più basse o popolari, poiché la miopia della vicinanza e della dimestichezza con il contemporaneo potrebbe non farci cogliere pienamente il significato storico sociale di alcune espressioni artistiche. Va detto che se l’arte è oggetto preferenziale su cui agisce il restauro, essa non è però l’unica: il restauro si occupa anche di manufatti che non hanno connotazioni spiccatamente artistiche, si veda ad esempio il caso degli oggetti di interesse documentale. Se ci troviamo dinnanzi ad un vecchio registro dei conti di un ente, molto probabilmente questo oggetto non avrà nessuna connotazione spiccatamente artistica, ma certamente conserverà una miriade di dati storici di fondamentale importanza per l’ambito sociale di cui è espressione, e per questo va conservato. LA MODA E dal concetto di arte al concetto di gusto e di moda il passo è breve. Ci chiediamo come influisca la moda sulla conservazione dei manufatti di interesse storico artistico? Influisce eccome, e detiene un immenso potere! Il gusto in materia estetica è da sempre un’espressione della società e, come una sorta di barometro, indica lo spostarsi della sensibilità sociale in una data direzione. I fattori che influiscono sull’affermarsi del gusto estetico dominante sono molti e intrecciati tra loro, vi sono impulsi di carattere politico, culturale, economico, sociale. E spesso siamo in grado di riconoscerli solo nella loro fase di massima espressione o nella fase di declino, quasi mai all’esordio. Il gusto in materia artistica ha indotto la creazione di grandi opere e nel contempo ha mietuto morti e feriti al suo passaggio. Per esemplificare, si pensi alla riscoperta ottocentesca dello stile medioevale. Possiamo vedere con i nostri occhi quali e quante opere abbia prodotto: grandi dipinti a tema storico, complessi architettonici ricchi di decori eclettici. Questa riscoperta attenzione per un dato periodo storico va di pari passo con l’interesse culturale per le patrie e le origini ed è legata a sua volta agli impulsi socio-politici e culturali del periodo. Di conseguenza è stata intrapresa la ricerca materiale dei manufatti originali medioevali - una sorta di ricerca del Santo Graal -, e in tale ricerca, diffusa e indotta dal gusto dominante, è stata spazzata via una moltitudine di opere ritenute non “originali”. Per essere più chiari, pur di mettere in luce i conci di pietra di una o di un’altra chiesa romanica, sono stati rimossi gli affreschi che negli anni avevano ricoperto e decorato le pareti, per non parlare dei decori barocchi che, in moltissimi casi, vennero distrutti, quasi fossero orrende sovrastrutture. Pensare oggi a simili interventi, appare come un’aberrazione lontana. Fortunatamente l’attuale legislazione non li consente! Ma la legislazione può agire in ambiti tutelati da atti di vincolo diretto o indiretto, per il resto è la sensibilità di ognuno di noi che può decidere della sorte di un decoro a graffito, di un intonaco, di un vecchio libro o di una fotografia. Il concetto di “originale” può essere tutt'oggi fuorviante. Quante superfici architettoniche vediamo nelle nostre città, private degli intonaci, per favorire la messa in mostra “dell’originale”, con quei poveri mattoni che mestamente mettono in mostra la loro disgregata nudità? Pur nella consapevolezza che i casi in cui le superfici architettoniche siano nate per essere prive di intonaco sono veramente pochi! Così, pensando di aver scoperto l’originale, abbiamo in realtà messo a nudo lo strutturale che, per quanto non privo di fascino e di informazioni, è tuttavia lontano da una presunta originale finalità estetica. Probabilmente è soltanto un’idea, del tutto contemporanea, di ciò che noi pensiamo dovesse essere, in quel dato periodo, l’aspetto di una superficie architettonica. Non dobbiamo pensare che gli interventi di restauro, nel senso stretto e tutelato del termine, siano immuni dalle tendenze di gusto, basti vedere il gusto nel ritocco delle lacune dei dipinti: per un periodo non vennero integrate, si preferivano le zone neutre, poi si affermò l’uso di un ritocco distinguibile dall’originale, il rigatino, più tardi si optò per il ritocco mimetico… Non c’è scampo: noi tutti siamo parte integrante dell’onda della moda, l’importante è che tutto quanto si faccia non sia dannoso e irreversibile per l’opera. In via conclusiva possiamo dire che il restauro è una disciplina deputata a tramandare ai posteri gli oggetti di una data civiltà, il suo oggetto preferenziale è quanto fornito dall’espressione artistica della civiltà stessa, ma il gusto del tempo o più semplicemente la moda induce a conservare degli oggetti piuttosto che altri. La nostra convinzione è che il migliore atteggiamento che si possa tenere, sia quello di conservare il più possibile e tramandare ai posteri affinché possano trarne buona conoscenza. NOTE [i] A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, Electa, 1988; C. Brandi, Teoria del restauro, Roma, 1963. [ii] M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Dalla parte di Swann,Torino, Einaudi, 2008. [iii] P. Marconi, La questione delle superfici di sacrificio e le sue conseguenze metodologiche: il recupero critico e le sue conseguenze metodologiche, in F. Perego (a cura di), Anastilosi, L’antico, il restauro, la città, Roma-Bari, Laterza, 1987; A. Bellini, La superficie registra il mutamento: perciò deve essere conservata, Milano,1990. [iv] L. 1089 del 1 giugno 1939; Dlgs n° 112 del 31 marzo 1998; Dlgs n°490 del 29 ottobre 1999; Dlgs.n° 42 del 22 gennaio 2004.
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