di Rossella Del Prete Un’occasione importante quella organizzata a Roma dal MIBACT lo scorso febbraio: per la prima volta nella storia italiana, si è tenuta una giornata degli Stati Generali delle Imprese Culturali e Creative allo scopo di rafforzare le sinergie tra patrimonio culturale e settore produttivo. Tutto è nato da una call lanciata dal MIBACT che chiamava a raccolta le imprese (quelle “profit”, non quelle “no profit”!!![1]) per accompagnarle nella redazione di migliori business plan per il settore culturale e creativo. Di fatto, la ragione principale di tale convocazione stava nella necessità di divulgare meglio il bando Invitalia Cultura Crea, cercando di fare il punto della situazione sul suo andamento e di capire come affinare gli strumenti di finanziamento in favore delle imprese culturali messi a disposizione dal PON Cultura. La lunga fila di aderenti che per un bel po’ ha affollato l’ingresso dello straordinario Palazzo romano dell’Istituto Nazionale per la Grafica, adiacente la Fontana di Trevi, dopo la fase del riconoscimento, si è poi distribuita nella bellissima sala Dante, strapiena, intorno a 5 tavoli tematici costruiti per settore di riferimento:
Kinetès – Arte.Cultura.Ricerca.Impresa. ha partecipato al tavolo n. 1, quello delle imprese culturali, cui sedevano, in qualità di esperti, Cristina Loglio, referente MIBACT per l’Anno Europeo del Patrimonio, e Antonio Formichella, consulente INVITALIA. L’evento ha senza dubbio suscitato un grande interesse, sebbene sia stato comunicato poco e male, sia prima che a conclusione dei lavori. Vi hanno preso parte oltre 250 tra operatori economici di tutt’Italia, associazioni di categoria, esperti e testimonial che hanno avuto l’opportunità di confrontarsi, come recita il sito del MIBACT, “in un primo milestone di un percorso di ascolto, condivisione e progettazione partecipata che contraddistingue la governance del Programma Operativo Nazionale (PON) “Cultura e Sviluppo” FESR 2014-2020, primo programma operativo interamente dedicato alla cultura, che ha raggiunto gli obiettivi di spesa ad oggi previsti”[2]. L’obiettivo primario della due giorni era quello di orientare le prossime attività, ribadendo le connessioni necessarie tra patrimonio culturale e settore produttivo. Tante le criticità emerse dai tavoli di discussione. La prima, quella su cui tante volte ci siamo già espresse: fare chiarezza sulla definizione di impresa culturale e creativa, ma anche la necessità di fare rete, rafforzando così l’intera filiera culturale e creativa, in cui il turismo rientra a pieno[3]. Gli Stati Generali voluti dal MIBACT si proponevano anche d’implementare le forme di confronto fra le innumerevoli realtà e le diversificate competenze imprenditoriali del Paese, costruendo uno spazio di lavoro duraturo e proficuo di scambi, suggerimenti e approfondimenti. L’evento è stato molto partecipato e decisamente stimolante, ma ha lasciato irrisolte molte delle criticità che frenano il decollo di un settore strategico come quello culturale e creativo. Resta innanzitutto l’esigenza di perimetrare meglio la definizione di impresa culturale, demandando poi alle fonti normative di secondo livello la definizione delle procedure per il riconoscimento di tale qualifica e la definizione dei servizi culturali e creativi; persistono le enormi difficoltà di confronto tra i soggetti istituzionali (MIBACT ed i suoi organi periferici, ma anche Regioni ed Enti Locali) e gli operatori del settore (ICC); enormi sono poi le difficoltà di accesso al credito per le ICC, a causa di una forte diffidenza da parte degli istituti bancari, ma anche delle Camere di Commercio che incontrano ostacoli, apparentemente insormontabili, nell’attribuzione dei codici ATECO. Insomma, seppur apprezzabile, l’iniziativa del MIBACT che, per la prima volta nella storia della legislazione italiana dei beni culturali, si è aperto ad un confronto dialettico con il variegato mondo degli imprenditori culturali e creativi, incitandoli a partecipare al bando di finanziamento Cultura Crea, nell’ambito del PON Cultura 2014-2020, lascia insuperati alcuni elementi di criticità basilari per lo sviluppo del settore: - non cognizione totale delle proposte culturali per le quali si richiede il sostegno pubblico, soprattutto quando si tratta di attività imprenditoriali particolari; - carenza o non adeguatezza dell’accompagnamento tecnico nella strutturazione delle proposte progettuali; - mancanza di figure professionali che orientino le domande in relazione alla tipologia (non sempre chiara) di attività proposta nell’ambito del settore culturale; - esigenza di maggiore chiarezza e diffusione delle informazioni; - difficoltà nei rapporti con le banche; - frammentazione delle procedure di rendicontazione; - risposte dalle istituzioni che spesso si limitano a riprodurre il dettato normativo; - questioni giuridiche aperte (reti; normativa in tema di diritto d’autore, codici ATECO che costituiscono uno sbarramento, con impatti anche sul terzo settore) - e per ultima, ma non ultima, la questione della confusione e dell’impari competizione tra imprese profit e “imprese” no profit. A livello nazionale, la Legge di Stabilità per il 2018[4] ha introdotto in Italia una nuova qualifica giuridica che, per la prima volta, catalizzando nuova attenzione su un driver economico e sociale di enorme rilevanza, riconosce le Imprese Culturali e Creative (che chiameremo da ora ICC). Con tale denominazione ci si riferisce ad enti (società, ma anche associazioni, fondazioni, ecc.) che operano in un settore ormai strategico per l’Italia, ai quali viene oggi riconosciuto un credito d’imposta del 30% su alcune spese fondamentali[5]. Secondo studi recenti, al sistema produttivo culturale e creativo italiano si deve il 6% della ricchezza prodotta in Italia, pari a 89,9 miliardi di euro e, nel 2017, si è registrata una crescita di tale ricchezza dell’1,8% rispetto al 2016, calcolando un effetto moltiplicatore pari ad 1,8. Cioè, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori e i quasi 90 miliardi prodotti ne stimolano altri 160, che conducono ai 250 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale. Parliamo del 16,7% del valore aggiunto nazionale, di cui il turismo è il principale beneficiario se consideriamo che il 37,9% della spesa turistica nazionale è attivata proprio dalla cultura e dalla creatività[6]. Una delle specificità delle ICC sta nella capacità di conciliare valore economico, valore culturale e valore sociale, ma proprio in virtù di questa ampia e complessa capacità di condivisione, è difficile addivenire ad un’unica definizione per tali imprese[7]. Un’altra disposizione importante, di recente approvazione in Italia, è la Riforma del Terzo Settore che, almeno apparentemente, sembra essere in contraddizione con la legge che riconosce le imprese culturali e creative e, dunque, con la necessità di un approccio imprenditoriale e gestionale alla cultura che crei vera economia anziché “economia assistita”[8]. Storicamente in Italia l’offerta di cultura fronteggia un doppio mercato della domanda: quello del pubblico e quello del settore pubblico, che, al di là del gioco di parole, non coincidono. La marginalità dei fondi derivanti dalla fruizione diretta di cultura e la crescente ossessiva rincorsa per l’ottenimento acritico di risorse hanno spinto le organizzazioni culturali a trascurare le esigenze del consumatore, per concentrarsi quasi esclusivamente sul mercato dei finanziamenti. Tra Stato e operatori culturali resta un rapporto autoreferenziale che, nel migliore dei casi, si sostanzia in uno scambio asfittico di denaro basato sul dato storico e sulle opinioni soggettive della critica o degli esperti (quando non sulle autovalutazioni delle parti). La cultura e i beni culturali sono stati considerati fino ad oggi di esclusiva competenza del settore pubblico. Oggi è lo stesso MIBACT (Ministero per i Beni, le Attività Culturali ed il Turismo) che ritiene che il settore privato possa contribuire a far fronte a tale impegno, mentre i Privati riconoscono il proprio interesse per iniziative ed oneri, anche finanziari, per la conservazione e la diffusione di beni e attività culturali. Sembra finalmente giunto il momento di superare la vetusta dicotomia Pubblico/Privato e d’iniziare a parlare di Impresa Culturale (lo strumento più adatto alla nuova gestione patrimoniale), al fine di delineare nuovi ambiti imprenditoriali nel settore culturale fino ad ora sconosciuti. L’introduzione nel comparto culturale di logiche imprenditoriali rappresenta una prima basilare chiave di volta per il sistema, da declinare sugli approcci sia degli operatori sia del decisore pubblico. Senza considerare gli aspetti societari formali, gli assetti, lo scopo di lucro, si vada ad alcuni concetti semplici e lineari: obiettivi, gestione delle risorse e risultati, e una logica di profitto che non si sostanzi solo nel ritorno economico (spesso additato dagli stessi operatori come male del mondo), ma anche, e soprattutto, nella massimizzazione dell’impatto socio-culturale di un’attività, composto da indici ben più eterogenei del corrispettivo economico. La maturazione e la diffusione di questo nuovo settore produttivo passa attraverso una consapevolezza sempre più diffusa in cui la giovane arte del management culturale abbia il ruolo cruciale di adattare modelli imprenditoriali – per certi versi ancora troppo generici -, a un comparto che costringe al rispetto di precise peculiarità. Per esempio, come incentivare lo sviluppo dei nuovi istituti di diritto privato, e quindi dell’Impresa Culturale, per la gestione di Musei, dei Palazzi, dei Parchi, delle Biblioteche, dei Teatri? Nonostante alcune situazioni testimonino possibili interazioni tra Pubblico e Privato e sperimentino sul campo le capacità del nuovo modello imprenditoriale, capace di adattarsi alle più svariate situazioni, in Italia, i freni istituzionali e “culturali” alla creazione di imprese culturali sono ancora tanti e, guardando alle nuove disposizioni ministeriali, ci vien da chiedere se la Pubblica Amministrazione Italiana sia realmente pronta a riconoscere l’entità dei nuovi modelli produttivi e ad affidare il “suo” immenso patrimonio culturale ai Privati, oggi più intraprendenti, efficienti e decisamente più competenti. E’ tempo di riformulare gli spazi culturali, aprendo le porte a nuove idee imprenditoriali e soprattutto a nuove professionalità, opportunamente formate e selezionate; è tempo di nuove politiche orientate alla produzione e alla rigenerazione del patrimonio e non più soltanto alla fruizione culturale. Nell’ambito del Quadro Strategico Comune 2014-2020, uno degli obiettivi è dedicato alla «tutela e valorizzazione delle risorse culturali, considerate non solo per il loro valore intrinseco, di per sé meritevole di tutela, ma soprattutto in quanto asset potenzialmente decisivo per lo sviluppo del Paese, anche con riferimento al sistema turistico. I dati relativi al patrimonio culturale italiano, pongono inevitabilmente al centro del dibattito l’evidenza contrastante tra l’imponente consistenza delle dotazioni materiali e immateriali, da un lato, e il loro sottoutilizzo dall’altro. In considerazione del livello di sottoutilizzazione di tali risorse e della disomogeneità dello stesso sul territorio nazionale, s’impone una decisa presa in carico del problema, soprattutto a partire dalle politiche di valorizzazione di tali asset: rafforzamento dell’identificazione del patrimonio culturale con il territorio, facendo leva sull’integrazione con le restanti dotazioni materiali e immateriali (saper fare diffuso, conoscenze scientifiche, sistemi produttivi, ecc.); miglioramento degli standard di fruizione attraverso l’implementazione di modelli competitivi di organizzazione dei servizi culturali»[9]. Definire, identificare e misurare il settore delle ICC è una questione ancora aperta. I confini delle imprese culturali e creative sono infatti in continua evoluzione e il dibattito recente sembra aver accresciuto piuttosto che ridotto le differenze tra le varie definizioni: ai settori culturali tradizionali (musica, teatro, patrimonio culturale ...) si aggiungono oggi design, architettura, grafica, moda, turismo, pubblicità e tanto altro. Alcuni autorevoli protagonisti dell’intenso dibattito in corso sono addirittura giunti alla conclusione che tutte le industrie sono culturali perché ogni prodotto incorpora una quota di creatività, anche se solo nel packaging. E così, mentre si lavora per riconoscere e definire le ICC, c’è chi ne annulla il valore di categoria produttiva[10]. Innanzitutto, dalla definizione “tradizionale” di industria culturale (Heritage, Visual e Performing Arts) si è passati a quella più complessa di industria creativa - che includeva la prima[11] -, per poi passare alla definizione - adottata dal Libro Verde dell’UE -, di ICC e arrivare alle specificità ed alle differenze tra le attività più culturali e quelle più creative[12]. L’approvazione della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 – Legge di Stabilità del Bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2018 e Bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 è un importante passo in avanti. Il nuovo testo di legge stabilisce innanzitutto quali siano i requisiti necessari affinché un'impresa possa essere qualificata come culturale e creativa e possa iscriversi nell'elenco tenuto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Dunque, un’ICC per essere tale dovrà: - avere per oggetto sociale esclusivo o prevalente l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell'ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all'audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei, nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati[13]; - avere sede in Italia, ovvero in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio Economico Europeo, purché si abbia una sede produttiva, una unità locale o una filiale in Italia; - svolgere un'attività stabile e continuativa. La legge garantisce, inoltre, come misura di agevolazione, la possibilità di chiedere la concessione di beni demaniali dismessi (in particolare caserme e scuole militari inutilizzabili) previo bando pubblico; si tratta di una previsione finalizzata alla costituzione di studi di giovani artisti che ancora non ha trovato piena attuazione. Ovviamente, c'è ancora molto da fare, ma l'approvazione di questa legge rappresenta un primo passo per portare alla luce un universo di pratiche ancora poco conosciute. Attraverso il riconoscimento giuridico e disciplinare delle ICC sarà possibile dare solidità a un settore tanto complesso, ma con grandi possibilità di sviluppo. Saranno in grado i nuovi ministri dei Beni Culturali, dell’Istruzione e del Turismo (staccato dal MIBAC-T per passare al Ministero dell’Agricoltura[14]!!!) di comprenderlo? Chissà! Una volta si diceva “Viviamo nel Bel Paese”, oggi si sente più spesso dire “Viviamo in uno strano Paese”! [1] https://www.kinetes.com/uploads/6/8/7/0/68706149/c.s._impresa_culturale.pdf [2] http://ponculturaesviluppo.beniculturali.it/stati-generali-delle-imprese-culturali-e-creative/ [3] R. Del Prete, Le imprese culturali e creative in Italia: un settore produttivo in crescita, tra occupazione e sistemi di governance, in Margareth Vetis Zaganelli - Luiz Síveres- Maria Célia da Silva Gonçalves-Rossella Del Prete (Organizadores), GESTÃO PÚBLICA: responsabilidades e desafios contemporâneos - estudos interdisciplinares, Paracatu, CENBEC-FINOM, 2018, pp. 22-47. [4]Legge 27 dicembre 2017, n. 205 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020. [5] Il comma 57 prevede un credito d’imposta pari al 30% delle spese sostenute per attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 58. Per approfondimenti scientifici, sia consentito il rinvio ad Mazzullo A., Stabilità 2018 – Le imprese culturali e creative, in corso di pubblicazione su il Fisco, Ipsoa n. 5, del 2018. [6] Cfr., in particolare, i dati del Rapporto 2017 Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Vedi pure l’interessante rapporto di Federculture, Impresa Cultura. Gestione, innovazione, sostenibilità, Roma, 2017. [7] Si vedano le interessanti riflessioni di Bocci C., La gestione tra tutela e valorizzazione; Zandonai F. e Venturi P., L’impresa di comunità nei processi di innovazione culturale; C. Fiaschi, Cittadinanza, socialità ed economia del futuro oltre le macerie dei nostri terremoti. Consultabili sempre in Federculture, Impresa Cultura. Gestione, innovazione, sostenibilità, cit. [8] Il 28 giugno 2017 il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha approvato, in via definitiva tre decreti legislativi di attuazione della legge delega per la Riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale (L. 6 giugno 2016 n. 106). [9] Elementi Proposta PON Cultura 2014-2020 - Accordo di Partenariato, sezione 1° paragrafo 1.1 [10] Mato, D. (2009), All Industries Are Cultural, in “Cultural Studies”, Volume 23, Number 1, pp. 70-87. [11] Questa nuova categoria, spiega Pietro Valentino, è un’invenzione della politica e fu introdotta dal Labour Party britannico subito dopo la vittoria del 1997 in un documento elaborato dal Department of Culture, Media and Sport, DCM, (1998) in Valentino P., L’impresa culturale e creativa: verso una definizione condivisa, in “Economia della Cultura” – a. XXIII, 2013, n. 3. [12] Cicerchia A. (2013), Europa: dalla cultura alla creatività e ritorno. Proposte e dilemmi politici, in “Economia della Cultura” – a. XXIII, 2013, n. 3. [13] Varrà la pena ricordare che, ai sensi dell'art. 2 del D.lgs. n. 42/2004, Codice dei Beni Culturali, il patrimonio culturale italiano è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici [14] Lo scorso 13 luglio è entrato in vigore il decreto-legge del 12 luglio 2018, n. 86, con il quale viene sancito il trasferimento al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali delle funzioni esercitate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in materia di Turismo. http://ponculturaesviluppo.beniculturali.it/turismo-pubblicato-in-gazzetta-ufficiale-il-decreto-legge-del-12-luglio-2018-n-86/
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