di Nadia Verdile «Un viaggio lungo settant’anni» lo definisce Patrizia Bove, autrice di Un posto per andar via, per la Iod edizioni, racchiudendo un tempo e un progetto in un desiderio di memoria e di futuro. Sì, e non è un ossimoro, non c’è memoria se non si è nel futuro che l’ha generata, non c’è futuro non si ha memoria del dove, del quando, del chi siamo stati. Settant’anni di vite e vita, tre quarti di secolo per mettere insieme frammenti di esistenza che solo quando diventano nero su bianco possono trasformarsi in storia. Patrizia Bove ha la penna felice, un dono che ha saputo coltivare e che ha trasformato in un’occasione per poter restituire ai suoi ricordi e a quelli di una collettività l’espressione dell’eternità. Da San Salvatore Telesino il mondo diventa piccolo, a misura di umanità, e da questo epicentro si dipanano storie vere e storie verosimili, fatti persone eventi che hanno caratterizzato quel borgo ma accomunano tutti i luoghi delle radici, che spesso coincidono con quelli dell’anima. Così, tra reminiscenze e ricostruzioni, Bove traccia una strada da percorrere, quella della memoria. A tratti si incespica, perché qualche ricordo fa più male, a tratti si salta, perché la narrazione si veste di commozione. Il Novecento, il secolo breve, è il tempo della narrazione. La macrostoria si incontra e si fonde con la più interessante microstoria che è la vera protagonista. Dai monti lussureggianti dell’antico Sannio si dipanano matasse di vita, a tratti i fili si spezzano e si riannodano, danno speranza. Donne e uomini, ma soprattutto donne le forti conduttrici dei fili di vita. Donne, come nello stile di Bove, consapevoli e coraggiose, donne di idee, capaci di riscatto, desiderose di vita, testimoni di una società ostile che faticava a vederle conquistare pezzi di autonomia. Ma anche uomini come il Sindaco di tutti. Sette capitoli, sette storie, un sostrato di vite. Anni diversi, luoghi apparentemente diversi, un entrare e uscire nei meandri del Sannio tra figure epiche e personaggi eterni. Sono coprotagoniste nella narrazione vita e morte nelle varie declinazioni, la parca Atropo, senza cuore, porta con sé bambini, giovani, anziani, ognuno con un attimo o una vita di gloria. La scrittura di Patrizia Bove si muove nella schiettezza di una lingua semplice, che ha il privilegio di arrivare dritta al cuore. Si muove così, semplice e veloce come accade a chi maneggia la penna con la semplicità della complice naturalezza. Senza sovrastrutture, nessuna ricerca dell’enfasi eppure così accattivante, ritmica, modulata. Centoventi pagine di bellezza, che meritano lettura. Lettura che sarà rapida, intensa, dalla quale con dispiacere ci si accommiaterà. Un valore aggiunto, se si può dire, è l’aver destinato i diritti di vendita di questo libro a sostegno delle attività della “Casa delle Donne” di Sant’Agata dei Goti. Come dire che tra il narrare e il fare solo chi crede in quello che scrive fa.
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