di Vincenzo Santoro È ormai cosa nota che in questo anno “pandemico” proprio la cultura sia stata l’ambito che ha subito il maggiore calo dei ricavi, superiore persino al turismo. Se i settori culturali e creativi si rivelano decisivi nell’economia e per l’occupazione nel nostro Paese, questi detengono soprattutto il pregio di stimolare l’innovazione nel più vasto campo economico e di porsi come mezzi di produzione di un positivo impatto sociale, agendo contro la povertà educativa e a sostegno dell’istruzione, del benessere e della salute – temi nevralgici in un periodo di crisi sistemica come quello che stiamo attraversando – della rigenerazione urbana e dell’inclusione. Secondo il report esito di un’indagine commissionata dall’Unione Europea, Rebuilding Europe: The cultural and creative economy before and after the COVID-19 crisis, se nel corso del 2019 il settore artistico, nonostante l’occupazione culturale sia spesso sottostimata nelle statistiche, in tutta Europa era in rapida espansione e procurava stipendi a circa 7,6 milioni di persone, complessivamente nel 2020 queste realtà hanno subito un crollo dei ricavi pari al 31,2% in meno rispetto all’anno precedente (ad esempio nel confronto col turismo che ha registrato un meno 27%). D’altro canto la cultura è stata il settore che per primo ha sospeso gran parte delle proprie attività e molto probabilmente sarà quello che più a lungo dovrà fare i conti con le misure restrittive e con l’inevitabilmente lento recupero di una generalizzata partecipazione ad attività in presenza alla fine dell’obbligo di distanziamento sociale. Parlare di settore culturale e creativo ci pone peraltro di fronte ad una realtà estremamente complessa e varia – che richiede dunque interventi ponderati alle specifiche esigenze di settore – comprendendo il comparto dal cinema allo spettacolo dal vivo, editoria e attività espositive e museali, archivi, biblioteche, l’artigianato artistico, il patrimonio culturale materiale e immateriale, il design fino a tutte le arti performative. È inoltre un settore animato da imprese e organizzazioni no-profit (fondazioni, associazioni, cooperative), la maggior parte delle quali affronta in ogni caso margini economici ridotti e rischio costante. Ad alimentare l’offerta culturale nel nostro Paese sono 1,55 milioni di donne e uomini, che rappresentano oltre il 6% del totale degli occupati – tornando per un momento a guardare all’Europa la stima della percentuale di posti di lavoro a rischio, per lavoratori che già agiscono ai margini della sostenibilità finanziaria, è tra lo 0,8 e il 5,5% dell’occupazione nelle regioni OCSE – e molti sono lavoratori con contratti atipici, partite IVA, freelance, prestatori d’opera occasionale e a giornata. Anche per questo le politiche di sostegno alle imprese e ai lavoratori dei settori culturali attivate durante la pandemia non si sono dimostrate del tutto efficaci, considerati i modelli imprenditoriali e occupazionali non tradizionali che caratterizzano il settore. Riguardo agli interventi governativi, questi hanno finora seguito la logica del supporto immediato a favore dei soggetti di base – sostegno diretto e a breve termine per artisti e imprese, che fossero istituzioni culturali pubbliche, privati, associazioni, festival eccetera – scavalcando di fatto quasi completamente i Comuni. Questa impostazione ha consentito di distribuire una quantità consistente di sussidi a una platea molto vasta ma senza affrontare le specifiche peculiarità, date per esempio dalle diverse dinamiche territoriali – di cui, fra le istituzioni, solo i Comuni possono avere effettiva contezza e farsene interpreti, ponendosi come principali realtà di base del mondo culturale –, provocando da una parte degli sprechi nelle risorse pubbliche non facilmente quantificabili, ma certamente esistenti (in particolare di fondi andati a chi non ne aveva bisogno), dall’altra l’esclusione di intere filiere più “deboli”, molto parcellizzate e difficili da intercettare. In particolare sofferenza risulta essere l’associazionismo culturale, che ha ricevuto poco (se non proprio nulla) e male, pur svolgendo un ruolo decisivo per la coesione sociale e l’animazione dei territori, attivando forme di economia orizzontale e di inclusione sociale determinanti nell’affrontare le criticità in corso. Sta di fatto che gli effetti della crisi, se non adeguatamente contrastati, porteranno inevitabilmente a un drastico ridimensionamento del settore culturale e creativo. In assenza di un sostegno pubblico realmente efficace e dell’attivazione di più dinamici modelli di governance, si corre il rischio che sulle città e sulle regioni si producano profonde vulnerabilità in termini di posti di lavoro e di reddito, di livelli di innovazione, di benessere dei cittadini. Si dovrà porre il focus proprio sulle economie locali, dunque, che dovranno essere messe nelle condizioni di fare leva sull’impatto economico e sociale generato dalla cultura, considerando i settori culturali e creativi e la partecipazione culturale come motore economico e fonte di innovazione, sia per le aree metropolitane più dense che per le più remote, trainate ad esempio dai cambiamenti prodotti dalla digitalizzazione, ricorrendo proprio alle competenze delle industrie culturali e creative come interpreti del dialogo tra settori tradizionali e turismo sostenibile. Sulla base delle prime analisi effettuate da Federculture nei prossimi mesi si stimano perdite di circa tre miliardi di euro in termini di consumi delle famiglie per attività culturali e ricreative. Inoltre, dall’attivazione delle politiche di contrasto alla pandemia, la spesa media mensile per famiglia, secondo un’indagine dell’Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, rivela consumi culturali comprensibilmente dimezzati, raggiungendo il 47% di spesa in meno. Di fronte a diminuzioni di incassi e fatturati che vanno dal 20% al 70% – sempre stando alle realtà interrogate da Federculture – si stima in modo prudenziale nel prossimo semestre una diminuzione del 20% dei consumi nel settore. Alla luce di queste considerazioni, l’Anci ha in questi mesi concorso a produrre proposte concrete per affrontare la crisi, anche se non possiamo fare a meno di rilevare che tali richieste non sono state finora sufficientemente prese in considerazione. Il principio ispiratore di queste proposte può essere sintetizzato nell’intento di ripristinare e potenziare le capacità di intervento dei Comuni, del loro ruolo di coordinamento delle politiche territoriali e, nello specifico, di più stretta relazione con il variegato mondo della Cultura. Ripartire dalle Città significa permettere alle amministrazioni locali di poter sostenere davvero il settore, mantenendo in attività la rete dei presidi culturali civici e, per quanto riguarda il rapporto con gli operatori del settore, superare la modalità della contribuzione ai singoli progetti, per giungere ad un conferimento di risorse che autenticamente e solidamente riesca a supportare i soggetti attivi nella produzione e nell’offerta culturale e creativa. Abbiamo perciò proposto una serie di azioni concrete, divise fra urgenti e di medio periodo, elaborate anche in collaborazione con il mondo dell’associazionismo e della cooperazione culturale. Senz’altro preliminarmente occorre poter contare su risorse certe, ed è stata perciò chiesta l’istituzione di un Fondo speciale – di almeno 100 mln di euro all’anno, da destinare ai Comuni su base triennale, in sinergia con ulteriori misure attivate dal Governo – diretto a sostenere la ripartenza dei luoghi della cultura a titolarità civica (musei, biblioteche eccetera) e i centri culturali attivi sui territori, e a rilanciare la domanda culturale nelle Città. Aspetto quest’ultimo decisivo per la ripresa complessiva del settore – in particolare nei contesti territoriali più deboli (Sud, periferie, piccoli Comuni delle aree interne) – tanto quanto il finanziamento diretto rivolto a operatori e attività, assicurando continuità alle azioni svolte da associazioni culturali che collaborano stabilmente con i luoghi della cultura. A ciò deve pertanto seguire l’apertura di una nuova stagione di investimenti su musei, archivi, biblioteche, sulla promozione della lettura e sui luoghi e i soggetti dello spettacolo. In questa direzione un nodo da sciogliere prioritariamente rimane quello del personale. I molti anni di blocco quasi totale delle assunzioni nel settore pubblico e le recenti agevolazioni per i pensionamenti hanno ridotto in maniera considerevole gli organici delle pubbliche amministrazioni. Questa dinamica esiziale ha colpito in particolare il settore culturale, che si ritrova sguarnito di risorse umane proprio quando ne avrebbe più bisogno. Oltre a rafforzare gli organici, se possibile con energie giovani, c’è bisogno di una politica di informazione e di formazione continua dei dipendenti dei Comuni nel settore culturale (e forse anche in qualche modo degli amministratori), perché siano aggiornati su un ambito molto dinamico e in perenne cambiamento, anche per quanto riguarda le pratiche amministrative e i riferimenti legislativi. Un altro tema strategico per azioni di medio termine ben orientate è quello che riguarda la necessità di diffondere i partenariati pubblico-privato per progetti di valorizzazione culturale di beni pubblici, secondo le modalità già introdotte con la norma prevista nell’art. 151 del Codice dei contratti, recentemente estesa anche ai Comuni. Riteniamo che, se verranno messe in campo adeguate politiche di affiancamento e di sostegno, che comprendano anche i necessari investimenti economici, un uso diffuso di questa pratica potrebbe consentire l’apertura di un significativo cantiere nazionale, con al centro in particolare il patrimonio “minore” e frammentato (e sottoutilizzato o inutilizzato), coinvolgendo in una coordinata operazione di sistema l’associazionismo e il mondo della cooperazione culturale. Riteniamo inoltre fondamentale che venga rilanciata l’idea di un Piano strategico per lo sviluppo del settore culturale e creativo, a partire dall’approvazione urgente delle misure riguardanti i Comuni inserite nel disegno di Legge recante Misure per lo sviluppo del turismo e per le imprese culturali e creative; Delega al governo in materia di spettacolo (collegato alla Legge di Bilancio 2020), portato in Consiglio dei Ministri nel febbraio del 2020 e bloccato dall’insorgere dell’emergenza pandemica. Riguardo invece il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la sezione cultura e turismo nella versione del PNRR approvata dal Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2021 (la Componente 3 della Missione 1, “Turismo e Cultura 4.0”), che mentre scriviamo pare sostanzialmente passata indenne da rimaneggiamenti conseguenti al cambio di governo, è stata notevolmente rafforzata rispetto alle prime versioni del provvedimento, portando la disponibilità di risorse a 8 mld di euro. Si tratta di uno stanziamento molto significativo, diviso fra diverse Linee di intervento finalizzate a costituire le condizioni per una migliore valorizzazione del nostro patrimonio culturale (nelle sue varie componenti, coinvolgendo tanto quello più “prestigioso” quanto quello diffuso, che comprende borghi, aree rurali e così via). Anche in questo caso l’Anci, facendosi portavoce del dibattito intercorso fra i Comuni, ha ritenuto di dover riportare ai decisori politici alcune osservazioni di merito e di metodo, con l’obiettivo di migliorare il piano e renderlo più efficace. In sintesi, l’Anci ha proposto che in tutte le Linee di intervento si persegua l’obiettivo di ridurre significativamente i divari territoriali in termini di presidi culturali attivi, offerta di servizi culturali ai cittadini e ai visitatori, livello della partecipazione culturale, livello dell’attrattività turistica, ricaduta economica delle attività di valorizzazione culturale, sviluppo dell’impresa culturale e creativa; che venga introdotta una nuova Linea di intervento che riguardi il tema della Cultura come elemento di cittadinanza e che preveda investimenti nelle infrastrutture culturali di base e in particolare nelle biblioteche di pubblica lettura e interventi per l’aumento della partecipazione culturale; che i Comuni siano coinvolti già a partire dalle fasi di individuazione e di progettazione degli interventi; che fra i beni e le strutture culturali oggetto di attenzione si considerino non solo quelli di proprietà dello Stato ma anche quelli dei Comuni (in particolare per la Linea “Piano strategico grandi attrattori turistico culturali”); che venga messo in campo un piano di rafforzamento della capacità di intervento dei Comuni nell’ambito della programmazione, della progettazione e della gestione degli interventi (in termini di potenziamento degli organici, formazione, affiancamento, assistenza tecnica eccetera); che si segua per la realizzazione degli interventi il paradigma della progettazione integrata e partecipata, cercando in particolare: di coordinare i nuovi interventi con le programmazioni territoriali già in essere; di dare attenzione al tema della fruibilità sul medio-lungo periodo dei beni e delle strutture oggetto di interventi – sperimentando forme di gestione realmente sostenibili e valorizzando il partenariato pubblico-privato (in particolare con l’associazionismo e la cooperazione culturale). Ad oggi la richiesta resta quella di aprirsi ai suggerimenti che giungono dai Comuni, con la costituzione di un tavolo permanente di confronto col Governo. Le città devono essere protagoniste del processo di ricostruzione che dovrà a breve assumere forme più nitide, sostenendo la riapertura graduale ma permanente dei luoghi della cultura come presidi per la stabilità sociale e la ripresa economica.
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