di Antonella Pagano Il mio rito poetico insieme al grande concerto dell’Orchestra Filarmonica di Benevento sono stati l’abbraccio al millenario cuore del Sannio. Dentro l’abbraccio tutta l’indispensabile sostanza antica e lo slancio nuovo per decretare la nascita del primo “Cantiere della Bellezza” a Morcone. Eccomi, infatti, in viaggio alla volta dell’Appennino centrale, nella cittadina a mezz’ora da Benevento, la bella Morcone nella bella Campania della piccola-infinita Italia delle tante Italie. . I Cantieri della Bellezza, fertilizzati dai Cantieri della Bella Parola, si muovono con virtuose trame e solidi orditi nel grande telaio dove da secoli tesso la Poesia dei territori, fisici e dell’anima che da secoli alacremente coltivo. E si moltiplicano concimando, di volta in volta, tutto il territorio circostante la città, il borgo, il paesino ove porgo e spargo le mie sillabe innamorate, dove intreccio i volti con le storie e le storie con la Storia. Insomma, il pensiero che da sempre mi anima, che mi metteva e mi mette forza: fare e cantare la poesia dei territorii, ebbene quel pensiero, nella sua semplicità, già conteneva il seme colmo e gonfio di voglia ardente di germogliare. Dunque, continuo a inchinarmi dinanzi alla Poesia sacra, alla Poesia dei Territorii che conosco, quelli fisici e dell’anima che da sempre alacremente coltivo: piccoli borghi, paeselli, cittadine e grandi città, monti, vallate, vette, acque e deserti, anziani e bambini, bambini, bambini e ragazzi, studenti, adulti -veramente adulti e adulti solo nella sommatoria di anni-, professionisti, operai e agricoltori; m’intrigano molto i nuovi giovani agricoltori con le loro straordinarie buone nuove, per esempio le colture idroponiche o l’imprenditore pugliese leader mondiale per le pareti realizzate con la canapa, accipicchia abbattono l’uso dei sistemi di riscaldamento o di raffrescamento delle case con tutto l’abbraccio pulito alla Terra. Le politiche di oggi hanno coniato il lemma: glocal; sostengo dica qualcosa, ma non contempla neppure minimamente tutta la poesia e tutto l’umanesimo che sostanzia la poesia dei territorii nella sua materia antica che fertilizza e mette i muscoli e la luce alla sostanza dell’oggi. Sicchè persevero nel ripetere, a me stessa per prima, che la Bella parola, la Poesia, la Musica e l’Arte tutta sanno darci il respiro più alto, fertilizzano di autenticità il quotidiano e ci offrono il modo meno stupido di stare al mondo. Morcone Eccomi dunque in autostrada. Percorro valli, monti, ponticelli su fiumicelli, la vegetazione prende verdi e stature diverse, i monti alture diverse, gli odori dell’aria mutano e muta l’azzurro del cielo quando decido di deviare prediligendo le strade interne. Ho bisogno di lasciarmi accarezzare dai territorii. Lascio che il contachilometri segni costantemente i sessanta orari, abbandono i centotrenta autostradali che bruciano le immagini, peraltro non sono neppure congeniali a me che amo velocità più ardite. I sessanta chilometri orari hanno i tempi che mi consentono di fotografare con l’anima ogni chilometro, leggerne l’essenza e l’apparenza e archiviarli per bene, senza perderne neppure un metro. Mi cibo dell’arte che incontro, dei nomi, dei monumenti, delle edicole votive, delle architetture; v’è cibo in abbondanza per la mente e per l’anima, v’è sostanza antica in abbondanza per concimare la sostanza dell’oggi, poesia in abbondanza per scriverne di nuova, storia in giacimenti per insegnare al mondo come fare al meglio la nuova. Non mi piaccio tutta sola dinanzi al computer! Mi dispiace l’Umanità di singoli, tutti soli dinanzi al computer! La singolarità arida uccide la pluralità fertile e gioiosa. Uccide anche la parola. V’è energia in abbondanza per esplodere di P.I.F., Prodotto Interno di Felicità, piuttosto che essere schiacciati dagli squilibri del PIL, prodotto interno lordo e tutta quella pletora di sigle, sigle e codici da memorizzare, che già di per loro ci rendono tristi. Dobbiamo imparare a memoria quelli a discapito dei magnifici versi di poesia! Che perversa assurdità! Anche i problemi dell’economia, micro e macro, affondano le radici nell’aridità di questi infiniti deserti di sigle e codici. Non c’è respiro in questi deserti, l’immagine è fissa e priva d’acqua. E intanto continuo a viaggiare nel Sannio, ecco venirmi incontri il Matese, l’Appennino centrale, i piccolissimi borghi sui cocuzzoli, quelli in cui le maestranze costruivano come fossero gioiellieri; far gioielli, diademi, tesori d’umanità e storia. E’ il venti di agosto, l’aria è bollente, eppure l’odore della boscaglia arriva. Quanti incontri? In, con e tra le bellezze, ogni bellezza; poesia e poesie territoriali che rigenerano cuore e anima e ossigenano i pensieri. E arriva la prof.ssa Del Prete, PhD in Storia Economica, Prof. Aggregato di Storia Economica del Turismo e Storia dell’Industria presso l’Università degli Studi del Sannio, Dipartimento di Diritto, Economia, Management e Metodi quantitativi e Dipartimento d’Ingegneria; Donna bella, solare e madre di quattro figli. Rossella mi accoglie alle soglie di Morcone e mi accompagna di là dal grande invaso d’acqua, nell’agriturismo di Carla Di Fiore. La dice tutta il suo cognome. Vivrò qui per due notti e tre giorni. Ci viene incontro Carla, insegnante, la donna coraggiosa che ha lasciato la cattedra in una scuola milanese per mettersi al servizio della Cattedra della Natura. E’ tornata nelle terre degli avi per fondare un paradiso di alberi e frutti e animali e occuparsi anche del vecchio padre, della vecchia madre e dei pavoni, delle galline, dei galletti, dei pony, dell’olio e del vino, delle marmellate e dei corredi ricamati, del suo piccolo museo delle meraviglie create da mani maschili e femminili, della cucina tradizionale e degli ospiti che coccola in tutti i possibili modi, sapori, odori, attenzioni solerte, narrazioni e didattica della fattoria. Direi che la scintilla di divinità che abita l’uomo qui è possibile leggerla, toccarla, gustarla, ascoltarla insieme ai suoni del vento - magistrale musicista tra le fronde dei ciclopici e secolari alberi di frassino, e gli olmi, e tutti gli alberi da frutta, insieme al frinire delle cicale sulla piscina dove i bambini possono tornare all’habitat del pre-venire al mondo eppure esser già nel mondo che è l’utero materno, straordinario medium con il mondo universale; insieme alle galline con tutte le loro voci, il loro uscir danzando da dentro la grande casa circolare costruita tutt’attorno al grande tronco del più antico albero e la poesia delle sillabe: pìcciri pìcciri pìcciriiii con cui Severino, il 92enne padre di Carla, le chiama a raccolta per il becchime! Chi afferma che gli incantesimi sono inesistenti non ha avuto il dono di vivere anche solo qualche ora in campagna, tra cielo e terra, secondo le regole delle stagioni, con la signorìa del tempo scandito dall’orologio del gallo, della gallina, del pony, del gatto, del cane, del cavallo, dei grilli e anche delle zanzare, che arrivano puntualmente alla stessa ora, insieme a quello del sole e della luna e a quello delle prugne, dei fichi, dell’uva, delle mandorle, delle nocciole, delle sementi. Tre ore con il padre di Carla son valse una vita, un corso di studi, mille master, un lungo viaggio con una voce novantaduenne ed un cuore ventenne. Due fichi raccolti e offerti a me sotto l’ombra del vecchio guardiano dell’appezzamento, il fico di tant’anni, due belle prugne che mi ha porto con la grazia generosa dell’AgriColtore, meglio di sacrale AgriCultore. Mi ha condotto da un albero all’altro presentandomeli uno ad uno, dicendomi l’anno e la stagione in cui lo ha piantato, il genere cui appartiene, il perché l’uno porta più frutti dell’altro pure a distanza di pochi metri; un cammino lento e solenne, una narrazione serena, lenta e sapiente, dolce e gustosa, propria di chi sa che il tempo ha le sue ragioni e le sue leggi, propria di chi muove dolcemente il passo sulla terra che ama e rispetta infinitamente, attento quasi a togliersi il peso di dosso per esser lieve su lei; una narrazione affettuosa verso ogni pianta e animale che diventa presto affettuosa anche verso me. Dopo un paio d’ore manifesta un pochino di stanchezza, si appoggia all’albero, ma non smette di narrare, questa volta son io che gli chiedo del suo lungo matrimonio, di come ha conosciuto sua moglie…”la piccola ragazzetta che abitava vicino” e che guardandola se la figurava già moglie. “Non aveva baciato nessuno prima di me” e “di lei mi occupo ancora, son io a prenderla in braccio e riporla a letto dalla sedia a rotelle, ancora oggi”. Severino narra con quella luce che colma gli occhi di chi vede scorrere il film della sua vita, senza malinconie piuttosto a rinfocolare amore, e con tutto quell’amore Severino è ancora fortissimamente presente a se stesso e al mondo; questo è di chi tutela tutto l’amore e la tenerezza per quanto siano odorosi, laboriosi, faticosi e generosi; è di chi vive alla luce delle stelle e del sole, che va a letto col buio del cielo punteggiato di mille stellucce, ed è svegliato dall’imperturbabile puntualissimo regale gallo. E’ cambiata la postura, mi appare adesso spoglio di settanta dei suoi novantadue anni, lo vedo nei suoi vent’anni innamorati. La narrazione è pura magìa, crea la realtà dinanzi ai miei occhi. E’ la seconda volta che mi capita veder ringiovanire di molto una persona nel mentre racconta. Dico sul serio, non per metafora. Vidi un uomo di quasi settant’anni d’un tratto divenire sedicenne, in tutto il fulgore dell’adolescenza avviata alla piena giovinezza. Quella prima volta è stata dirompente, destabilizzante, ma fa parte d’un’altra storia. Son trascorse oltre tre ore “adesso vado da mia moglie” mi dice, e, inaspettatamente, mi dà un bacio sulla guancia destra. Un affetto neonato eppure così autentico, così grande…io non avvezza ai baci a alle strette di entrambe le mani…ne sono straniata, vertigini e lacrime trattenute sul ciglio, come tirare il freno a mano e inchiodare, un fermare tutto per stampare a fuoco quell’istante nella mente e nel cuore. Come fosse venuto mio padre a darmi il bacio che come tante donne della mia stagione non hanno avuto dal proprio padre. Un grazie riconoscente di Severino per essere stata alunna composta all’ascolto della sua prolusione magnifica. Accipicchia! Tutto questo mi porterò da Morcone, insieme allo scialle d’antica fattura che Carla m’ha donato, preso da quella magnifica catasta di manufatti femminili del suo museo. Adesso ho tre scialli preziosi, uno è turchese, in rara seta con frange come capelli d’angelo, gli altri due sono il dono di due persone che hanno pensato di dovermi proteggere e di abbracciarmi. Ma di Carla porterò con me anche la camera del suo agriturismo. Che biancheria! Linda, bianca, lenzuola ricamate a mano, pareti colorate di pastello, giroletto in merletto, finestrella con il geranio e la vista sull’aia e sul secolare frassino, tutto il profumo dei monti e dell’acqua e i canti dei due galli in perenne parapiglia, creste e bargigli al vento per l’affermazione della supremazia del pollaio… e delle pollastre! E le carezze dei bambini, il loro vociare nella gioia d’aver ritrovato la dimensione più appropriata allo sviluppo integrale della persona; e la pietra con cui Carla ha edificato i vari casaletti, pietra viva e autoctona, direi evangelica, viva di millenni di vita, possente e carezzevole, protettiva, romantica: che alla sera riflette la luce della Luna. La colazione col latte fresco e le marmellatine di Carla, e il miele e il burro. Ho veramente dormito in quel letto, ho allentato la mia perenne vigilanza, ho davvero dormito in quel lindore, tra quei ricami e quei merletti…tutto questo mi porto da Morcone. E poi? Tutto è appena cominciato. Eccomi dinanzi all’enorme spianata dove a Natale Morcone palpita più forte col suo presepe vivente e i pastori che scendono dalla Prece, il mastodonte di pietra che sovrasta e protegge la spianata. Il tempo mi ha condotto, minuto dietro minuto, al pomeriggio. Nella spianata sono state già disposte le poltroncine, tutto nel rispetto delle norme anti-proteina-assassina; sull’alto dei più alti alberi sono stati sistemati i fari per i giochi di luce che perforeranno la foresta, server e tecnico pronti, ma quel che mi scuote è la tanta energia che m’irradia tutta. Camminare dentro quel teatro naturale, quella Cattedrale naturale, è un vero terremoto emozionale. Vieppiù l’emozione prende a salire nell’osservare la Prof.ssa Del Prete perfezionare la regìa. Gli Orchestrali lucidano gli strumenti, li accarezzano con i panni morbidi, il direttore percorre da est a ovest la parte della spianata prospiciente la morbida collina da cui la grotta della natività irradia la sacralità. Qualcosa di più che magico pervade l’aria. Inalo tutto il respiro di ogni albero e pianta e fronda di quel luogo. Le note dei violini, tutte le note sciorinate su un pentagramma di prova, ancora informe, mi dicono che sto assistendo alla gestazione dell’orchestrazione. Ho i brividi! L’OFB, l’Orchestra Filarmonica di Benevento ha suonato con 200 Professori d’Orchestra, anche con l’appena scomparso Ezio Bosso, con Sir Antonio Pappano, che ne è il Direttore Onorario; parlo di 64 Orchestrali di cui 23 son solisti di fama internazionale, un’Orchestra d’età media ventiquattro anni, è pura meraviglia! Mescolare le loro note alle mie sillabe innamorate, fondere l’innamoramento di sillabe e note sconvolge il mio vocabolario sentimentale…e m’impaurisce, tutta questa magìa, tutto questo incanto! Il pubblico è seduto, la prof.ssa Del Prete introduce con il protocollo di circostanza condito della sua speciale empatìa; nella sua voce tutta la solerte illuminata passione che mette in Università, oltre che nella gestione dell’Assessorato alla Cultura e all’UNESCO del Comune di Benevento, la stessa che ha messo nel comporre la sua bella e numerosa famiglia. Eccola invitare il pubblico a suonare i campanellini che ha disposto su ciascuna poltrona, li ha deliziosamente allestiti con il nastro rosso di Kinetès. Ha onorato la Signora dei Campanelli, e questo mi commuove grandemente; mi ha evocato e invitato ad uscire dalla foresta per porgere le mie sillabe innamorate dal Podio del Direttore d’Orchestra, là dove accadrà, dove sarà celebrato lo sposalizio tra le note e le sillabe innamorate, quindi sparirò per ricomparire sulla collinetta della grotta della natività alla fine del primo tempo del concerto. Lì altre sillabe, altre dichiarazioni poetiche per tornare a sparire nuovamente. Resterò nel folto della foresta, ascolterò di là la sublime orchestrazione delle più prestigiose colonne sonore che mai siano state composte, per l’appunto da Oscar; sarò tra gli alberi, in un’avvolgente solitudine, in un abbraccio che sa di fascino e intrigo, nel buio che umettava la mia sostanza, mescolava il mio passato e mi spingeva verso un futuro di rinnovato umanesimo. La seconda parte del concerto termina, lo scroscio degli applausi colma la grande stanza naturale, io attraverso il ponticello accompagnata con la lucina del cellulare del collaboratore della professoressa. Sono nel folto della foresta, a destra della spianata, dentro una casupola di legno, piccina piccina, con un camino e due sole pareti disposte ad angolo retto. Adesso l’intera spianata è avvolta dal buio totale, i fari sono stati spenti, gli orchestrali dopo qualche istante si silenzio e buio accendono le torce dei loro cellulari e le dirigono verso la Casupola dove a Natale accade l’Annunciazione alla Vergine Maria, io sono là con tutto il corpo percorso da brividi…la voce trema quando principio a parlare nel buio. E’ come essere smaterializzata, tornata forse alla materia primigenia…poi, d’un tratto un faro spara letteralmente la sua luce su me illuminandomi e sdoppiandomi, la mia ombra fa eloquente apparizione, la vedo, mi rassicura e mi sconcerta ad un tempo. Tra pelle d’oca e brividi narro tutto quanto ho scritto appositamente per Morcone, la sua storia, l’importanza che il nuovo nasca e fiorisca e sia fertile e fruttifero. Non vedo il pubblico, ma sento l’energia del luogo moltiplicarsi. Anche la nenia che ho ideato danza in me e nella voce…quello Josca ne na ne, josca ne ne na alita e accarezza la Prece e gli alberi, solletica i cuori ed emoziona. Se magìa è stata è stata una magìa collettiva! Il grande rito nella spianata sacralizzata da tante anime, da tanti cuori e storia stratificata all’ombra della Prece guardiana. Tutto questo mi porterò da Morcone. Josca né nà né... Josca né né nààààààà….Josca né né nààààààà Josca né nà né…e poiché di fiabe non ve n’è abbastanza / noi da Morcone leviamo rimostranza. / Leviam doglianza e facciam rivoluzione / di questo nuovo evo ch’è degno di menzione. / Se la storia d’oggi / ancor di noi non ha parlato / vogliamo scriverne di pagine / e raccontarci a perdifiato. / Cominceremo qui con la dolcezza / che fa felici e scaccia ogni stoltezza. / Ordunque orsù scacciamo ogni malìa / e andiamo a raccontare e vivere magìa. Ogni altro scritto uscirà per i tipi di Kinetès Edizioni e sarà l’altro frutto del Cantiere della Bellezza, con un nuovo racconto in parola poetica su Morcone… Parlo del ciel sovrano e parlo di Morcone / della sua storia e di tutte le sue icone. / D’Osca la lingua d’antico italico sentire / nobil letteratura maestosa orale tradizione / che già sapeva in tempi non sospetti / che lingua e scrittura nongià per semplici detti / germinano economia, economia evoluta / c’ogni magnificenza par per magìa accresciuta… La convergenza che fa diventare le società comunità, ossia l’insieme in comunione d’intenti, porta Rossella Del Prete a generare l’Impresa Culturale Kinetès, spin-off Unisannio, per valorizzare economicamente e non solo i risultati della ricerca storico-economica e delle esperienze di governance del patrimonio culturale che il suo team aveva maturato in ambito accademico. Kinetès è Centro Studi- Progetti con l’obiettivo di aumentare e migliorare la conoscenza del territorio e le opportunità di circolazione delle idee e delle informazioni; che dirige l’Osservatorio sulle Politiche Culturali del Sannio. Kinetès è associazione, editoria, servizi teatrali, museali, turistici, educativi, archivistici, bibliotecari, comunicazione, marketing; Kinetès è rete d’Imprese Culturali. Una donna/madre/docente che pone in campo una Femminilità antica e molto moderna, anzi già nel futuro, talchè legge l’innovativa forma di scrittura che mi accompagna da sempre, e che l’editoria abbraccia solo oggi quale innovazione urgente e congrua all’oggi: “sguardo aperto ai saperi“ e “confluenza dei saperi“ come hanno dichiarato rispettivamente Elisabetta Sgarbi de’ La Nave di Teseo e Anna Gialluca, Direttore Editoriale della Laterza alla trasmissione di Rai 1 “uno mattina” dell’otto settembre 2020. In virtù anche di ciò, sarebbe un delitto non riportare, in questa magari lunga, ma giusta cronaca, rispettosa del Progetto Cantiere, le ragioni della scelta del luogo da parte della Prof.ssa Del Prete? “Il Covid chiede grandi spazi. Ma c’è un preciso progetto, un sogno, meglio, intorno a questo progetto. Pensando alle musiche da Oscar, m’è tornato alla mente il film drammatico/epico del 1982, per la regia di Werner Herzog, in cui Jose Fermin Fitzcarraldo, pur di realizzare il suo sogno, affitta un pezzo di terra nel profondo cuore dell’Amazzonia peruviana, avrà finanche bisogno dei nativi per raggiungere il posto dove concretizzare il sogno: portare nella Giungla un grande teatro d’opera. E ci riuscirà. Porterà il grammofono e la voce di Caruso, la musica di Verdi e Wagner agli indigeni, si proprio, Caruso, Verdi e Wagner nella Giungla, il tutto su una nave di ben trecentoventi tonnellate; non usò stunt nè modellini, né effetti speciali. Il suo dogma era di non rappresentare la realtà, piuttosto trasformarla attraverso le lenti della “verità estatica”, come la chiamava. Voleva fortemente offrire ai nativi il grandissimo patrimonio artistico della Musica Alta, l’opera lirica italiana. Ecco perché ho inteso mettere insieme le note con le sillabe innamorate della visionaria Antonella Pagano e sposarla alla nobile grande Orchestra Filarmonica di Benevento”. Tiene alla valorizzazione del territorio, la Del Prete, e di tutti i suoi talenti, anche per questo ha strutturato l’intera giornata organizzando un cammino in cui tanti artisti hanno animato il percorso di trekking e allietato, incuriosito e fatto festa metro dopo metro fino ad arrivare alla spianata dell’evento. “Tutta l’arte è stata offerta, non solo musica sentirete, anche sillabe innamorate e incantate che dialogheranno con tutto il verde che ci abbraccia, con le suggestioni che ci suggerisce la Prece e con il bisbiglìo naturale, il canto della brezza, le suggestioni delle luci del tramonto e del crepuscolo. Tutto questo potrete ascoltare. L’Orchestra sarà sul medesimo piano del pubblico, non già su di un palco ma sul terreno, anche scosceso, e i musicisti hanno accettato questa sfida: perché la magìa accada nella maniera più naturale possibile insieme alle stradine, ai beni culturali di Morcone, a tutti i partecipanti il compiersi della magìa. Perciò occorreva un’artista assai speciale: Antonella Pagano, con i suoi Grandi Riti; viene dalla Bella Matera, Capitale Europea della Cultura, lei che viaggia e apre dovunque vada Cantieri della Bellezza. Dunque, stasera qui inauguriamo, con lo spin-off dell’Università del Sannio, Kinetès, il primo Cantiere della Bellezza di Morcone. Abbiamo messo insieme il Patrimonio naturale, le stradine, la musica e le parole. In Morcone che ha avuto, nei tempi passati attività culturali d’un fervore e rilevanza nazionale, più ruoli internazionali, oggi, con questo primo Cantiere della Bellezza, insieme alla Regione Campania e alla Scabec si vuole continuare. Il Programma di questa sera è denso e monto coinvolgente, applaudiamoli calorosamente tutti questi giovani che hanno avuto il coraggio di guadagnarsi uno spazio nel nostro territorio e fuori dei confini, e di farlo in autonomia e professionalità indiscussa. Quindi invito tutti voi a suonare il campanellino che avete trovato su ciascuna poltroncina perché ciascuno contribuisca alla sonorità che oggi costruiamo insieme e….fate attenzione perchè la magia comparirà!”.
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