di Angelo Miraglia Esperienze da burattinaio A distanza di tanti anni e dopo innumerevoli volte , rimane sempre in me una sensazione che non so spiegare, anche perché è davvero inspiegabile. Provate ad immaginare ogni volta la scena: io arrivo nella piazza o nella strada, smonto la baracca dalla macchina, la posiziono dove gli organizzatori mi dicono, porto all’interno la cassa con i burattini , gli altri attrezzi che servono(scenari e sipario ) e sistemo la cassa altoparlante, mentre il pubblico segue attentamente tutte le varie operazioni. Risulta evidente che sono io quello che ha montato tutto l’occorrente per lo spettacolo e che, di li a poco, andrà all’interno della baracca per dare vita ai burattini che usciranno al proscenio e inizieranno a muoversi seguendo il canovaccio della commedia dell’arte che si va ad eseguire; e allora io non capisco ancora adesso come sia possibile che, in quei pochi secondi che intercorrono fra il mio ingresso nella baracca e l’inizio della rappresentazione, possa avvenire questa “magia”!!!!!! Il pubblico ha deciso che da questo momento io non esisto più, esistono solo i burattini sulla scena e tutto quello che ne consegue. La presentazione, l’apertura del sipario e le altre routine che vengono presentate appartengono ormai al teatro dei burattini, i personaggi hanno adesso ognuno la propria caratteristica, il pubblico entra nella rappresentazione e risponde alle sollecitazioni dei personaggi in scena. Le grida e gli applausi, le risate e le maledizioni, tutto è consentito nel teatro all’improvviso, dove , improvvisamente può uscire fuori un coccodrillo o un diavolo, o, addirittura “la morte” che viene a prendersi l’anima di Pulcinella. Sembra, e me ne scuso , di essere stati tutti catapultati in una dimensione “extracorporea”, lanciati in una realtà parallela, in un mondo “fantastico” che per qualche minuto ci farà dimenticare il presente e ci porterà nella “grande magia “ del teatro . Teatro, certo, teatro come molti grandi attori hanno sperimentato e fra i quali voglio citare due a me molto cari : Franca Rame e Dario Fo. La prima, erede di una grande famiglia di burattinai e il secondo che, nei suoi spettacoli più famosi,ha trasportato il ritmo e le cadenze degli spettacoli di burattini fino ad utilizzare una delle più note tecniche del teatro di figura per raccontare la storia in uno dei suoi testi più rappresentati, «Il Fanfani rapito», una Commedia in tre atti di e con Dario Fo [1]. Il teatro di figura un’arte minore? Un’opinione diffusa vorrebbe che il teatro di burattini, di marionette e di pupi fosse un tipo di spettacolo teatrale legato esclusivamente all’infanzia. Al contrario, il teatro di figura è destinato ad un pubblico variegato e di tutte le fasce d’età. Naturalmente, contenuti, letture e tecniche di rappresentazioni differenti si relazionano alle differenti tipologie di spettatori [2]. Un giusto approccio al pubblico, da parte del burattinaio, sarà quello di propendere a cercare il posizionamento dell’«anima» del personaggio per cogliere così, al meglio, la sua influenza sulla narrazione. L’«anima» del burattino (la mano che lo muove e quindi lo «anima») si trova all’interno del corpo stesso, fasciata dal «buratto», cioè dal suo vestito, spesso realizzato in tessuto povero, fatto di tela per setaccio [3.] L’«anima» della marionetta e dei pupi si trova in alto e, in questo caso, saranno i fili che li muoveranno a rappresentare l’anelito che spinge marionette e pupi a raggiungere il cielo. I burattini, sono decisamente più semplici e più vicini alle persone, è forse questo che li fa amare di più; i loro istinti ed i loro sentimenti sono spontanei ed immediati ed il raggiungimento dell’appagamento fisico e psichico (il cibo, il sesso, l’amore, la giustizia, la libertà) è tempestivo. Non c’è mediazione, non c’è aulicità, non c’è ricerca di una verità superiore, esiste solo il momento e la situazione che bisogna risolvere immediatamente, e così immediatamente compare il bastone nelle braccia di Pulcinella che amministra la Giustizia a modo suo [4]. Diverso è il discorso che riguarda marionette e pupi. Questi possono essere avvicinati più facilmente a quelli che sono i canoni del teatro tradizionale. Innanzitutto, le rappresentazioni hanno bisogno di uno spazio teatrale specifico (teatro o sala) con la presenza di un palco su cui costruire il «ponte» in legno dal quale marionettisti e pupari faranno scendere, legati ai fili, i vari personaggi che si esibiranno sulla scena. In molti casi, lo spazio scenico è condiviso con piccole orchestre che assicurano un accompagnamento musicale allo spettacolo. Spesso, soprattutto nell’Ottocento, presso i teatrini di corti private, in particolare i occasione della visita di altri sovrani o di ospiti autorevoli, pupi e marionette venivano utilizzati per mettere in scena opere liriche. Il teatro di figura, ha origini antichissime e diffuse in molti paesi del mondo e si è sviluppato combinando in vari modi le altre forme di spettacolo, utilizzando burattini, marionette, pupazzi, ombre, oggetti, tutte figure protagoniste di una particolare animazione teatrale fondata su un linguaggio fortemente visivo e sensoriale. Nelle differenze tra burattini, marionette e pupi, questi ultimi, in realtà, fecero da anello di congiunzione fra i primi due. Nella storia della Campania, per esempio, si sono succeduti grandi marionettisti che si sono esibiti con frequenza presso la corte borbonica e nei teatrini di corte, rappresentando opere liriche, di gran moda in quel tempo mentre, nelle piazze e nelle vie, i burattinai mettevano in scena storie spesso improvvisate in cui protagonista assoluta era la maschera di Pulcinella che si esibiva in Piazza Mercato a Napoli con frizzi e lazzi, spesso ironizzando sulla stessa corte regnante [5]. Dal canto loro, i pupari, attraverso le rappresentazioni delle gesta dei paladini di Francia, svolgevano un ruolo pedagogico e didattico, presentando quelli che potremmo definire “sceneggiati seriali” con l’intento di «educare» al rispetto, alla fedeltà, all’amicizia, alla fratellanza, all’amore che supera ogni ostacolo, in una sorta di vademecum dei sentimenti. Una lunga tradizione quella del teatro di figura campano, che secondo rigorose ricostruzioni storiche, avrebbe avuto inizio circa cinque secoli fa, proprio con l’introduzione della maschera di Pulcinella, che divenne la maschera simbolo di Napoli. Le sue origini vengono fatte risalire al secolo XVI con lo sviluppo della commedia dell’arte. Risultante campano di uno stereotipo di personaggio detto «Zanni», una sorta di servo, scaltro e maldestro, furbo e sciocco, ardimentoso e pieno di paure, Pulcinella continua a vivere nel teatro di figura grazie alla passione con cui i burattinai di tradizione cercano di tutelare un’arte solo apparentemente minore [6]. Pulcinella, risulta un personaggio particolarmente efficace nel teatro di figura, non soltanto per i suoi inequivocabili e distinguibili tratti estetici - maschera nera su vestito bianco e coppolone – ma anche per l’uso della sua pivetta, una piccola ancia che gli consente di produrre una voce «stridente» quasi come un pulcino, anzi come una gallina. E’ questo il famoso «segreto di Pulcinella»: uno strumento fatto da due lamelle di acciaio legate da un pezzo di stoffa e poste nella parte alta del palato che trasformano la voce del burattinaio, conferendole un suono stridulo e acuto, facile da ascoltare anche stando molto lontano dalla baracca dove i burattini si esibiscono. Si racconta che per avere una pivetta è necessario «rubare» la stessa al burattinaio senza farsi scoprire, oppure seguire il «maestro» fino a quando, nella sua bontà, consegni nelle mani del «discepolo» la sua pivetta [7]. La «mia» pivetta La mia testardaggine e la mia indole manipolativa , mi hanno portato a pensare che sarebbe stato molto più divertente ed appagante se, una volta vista una vera pivetta, avessi provato a costruirla con le mie mani , così come ho fatto con tutto quello che è il mio teatro, accompagnato sempre da Alessandra, la mia compagna di avventure burattinesche. Bene, ho cercato in giro ed ho trovato un pezzo di acciaio rotto appartenuto ad un vecchio bidone per olio, sono riuscito a tagliarlo nella misura giusta, poco più di due centimetri, ho comprato due metri di fettuccia larga un centimetro ed ho iniziato a costruirla. Il primo esperimento ha prodotto una “pivetta” floscia, il suono che doveva essere squillante e forte, era in realtà “sfiatato”, bisognava stringere più forte la stoffa sulla lamina, e così ho fatto, il risultato è stato sorprendente , dalla mia bocca è uscito il suono che avevo sentito tante volte echeggiare nelle piazze in cui avevo seguito l’esibizione di un grande burattinaio napoletano, e mi è venuto in mente dove ho sentito quel suono la prima volta: era a Napoli, nella villa Comunale, avevo sei anni e il maestro burattinaio che si esibiva era Nunzio Zampella, uno degli ultimi maestri di «guarattelle» ancora attivi a Napoli negli anni Settanta del secolo scorso8. Mi si è aperto un mondo , anche io ero entrato a conoscenza del «segreto di Pulcinella», avevo superato la soglia del mistero e mi ero impossessato dell’anima del personaggio , adesso ero veramente Pulcinella!!!!! Bene, ho cercato in giro ed ho trovato un pezzo di acciaio rotto appartenuto ad un vecchio bidone per olio, sono riuscito a tagliarlo nella misura giusta, poco più di due centimetri, ho comprato due metri di fettuccia larga un centimetro ed ho iniziato a costruirla. Il primo esperimento ha prodotto una “pivetta” floscia, il suono che doveva essere squillante e forte, era in realtà “sfiatato”, bisognava stringere più forte la stoffa sulla lamina, e così ho fatto, il risultato è stato sorprendente , dalla mia bocca è uscito il suono che avevo sentito tante volte echeggiare nelle piazze in cui avevo seguito l’esibizione di un grande burattinaio napoletano, e mi è venuto in mente dove ho sentito quel suono la prima volta: era a Napoli, nella villa Comunale, avevo sei anni e il maestro burattinaio che si esibiva era Nunzio Zampella, uno degli ultimi maestri di «guarattelle» ancora attivi a Napoli negli anni Settanta del secolo scorso [8]. Mi si è aperto un mondo , anche io ero entrato a conoscenza del «segreto di Pulcinella», avevo superato la soglia del mistero e mi ero impossessato dell’anima del personaggio , adesso ero veramente Pulcinella!!!!! Ciò che più mi ha sorpreso, in questo mio viaggio nel mondo dei burattini e del teatro di figura in generale, riguarda proprio la «pivetta». Ho conosciuto da ragazzo Rod Barnett (nella foto accanto in giacca marrone, mentre si riconoscono Bruno Leone in bianco, Otello Sarzi con camicia a scacchi e barba bianca, e, al centro, con maglietta rosa ci sono io), un burattinaio londinese scomparso da poco, che, quasi trent’anni fa, venne a presentare a Benevento, in occasione di un’edizione del Festival teatrale Benevento Città Spettacolo, la sua rappresentazione di «Punch and Judy», l’equivalente anglossassone del duo «Pulcinella e Teresina»[9]. Rod mi mostrò la pivetta che veniva usata nel teatro dei burattini inglese e mi parlò della «Punch and Judy Fellowship», un’associazione che reclutava, quasi fosse un «albo dei burattinai», i più bravi nell’uso della pivetta e della manipolazione. La «Punch and Judy Fellowship» fu fondata nel 1980 in Covent Garden, a Londra, dal prof. Percy Press. Lo scopo dell’associazione, ancora oggi attiva, è quello di preservare e promuovere le tradizioni, il patrimonio culturale e gli spettacoli di Punch and Judy, incoraggiando i giovani a fruire di certe forme culturali e promuovendo occasioni di amicizia. Costituita da professionisti, amatori e appassionati, la «Punch and Judy Fellowship», conta oggi circa 150 aderenti divisi in due categorie principali: provvisoria (aperta a tutti) e piena (aperta a chi ha completato con successo un'audizione). La sua gestione è affidata ad un comitato eletto su base annuale che organizza, ogni anno, in ottobre un suo festival e produce una newsletter bimestrale dal titolo The Swazzle. Nel 2010, Mark Andrews e David Wilde pubblicarono un libro per celebrarne i primi trent’anni di attività. Fu in occasione del mio incontro con Rod che gli mostrai i miei amati burattini e grande fu la mia sorpresa nel constatare che , come i burattinai inglesi, nei miei spettacoli, io facevo entrare in scena un coccodrillo, un espediente scenico molto usato anche dai burattinai inglesi. I laboratori educativi Vi è oggi un grande dibattito in corso, non solo fra gli addetti ai lavori, su quanto e come possa essere considerato il teatro di figura rispetto al teatro d’attore. Probabilmente, considerata l’evoluzione delle tecnologie, credo vada riconsiderato il rapporto esistente fra i vari generi teatrali, cercando di superare posizioni di forza o di sudditanza tra loro10. Il «teatro delle ombre», per esempio, che può essere considerato il primo passaggio alla rappresentazione teatrale (a partire dagli uomini delle caverne che vedevano proiettata sui muri delle stesse la loro ombra e quella di oggetti, che assumevano contorni e dimensioni diverse, dando vita a storie e racconti), negli ultimi tempi ha incrociato il «teatro d’attore» dando nuova linfa al linguaggio teatrale. Così come l’uso di materiali diversi (gommaspugna e stoffa) ha contribuito a sviluppare il rapporto fra teatro di figura e televisione (Topo Gigio di Maria Perego o gli americani Muppetts). Il fascino di tecniche e materiali sempre nuovi è nelle grandi possibilità espressive che il teatro di figura consente. Tra le mie innumerevoli e tutte intense esperienze da formatore di teatro di figura, ve ne fu, anni fa, una molto significativa. Si trattò di un percorso formativo svolto presso la Casa Circondariale di Detenzione di Benevento raccolta poi in un video, reperibile sul canale youtube, dal titolo Burattini in libertà. Le esperienze formative con i detenuti sono sempre molto impegnative sul piano del coinvolgimento emotivo di entrambe le parti, portatrici, ciascuna a suo modo, di un carico di umanità, di sentimenti e di impegno non facile da raccontare a posteriori ed a parole. In quel progetto, con i detenuti coinvolti, costruimmo insieme un teatro e i burattini che avremmo usato per mettere in scena una rivisitazione del Faust, l’uomo che vende l’anima per avere ricchezze caduche, metafora di coloro che hanno venduto la propria anima al diavolo (e compiuto reati), e che sono dunque costretti a pagare per gli errori commessi11. Particolare fu anche l’esperienza fatta in una scuola di periferia della mia città, Benevento, in una classe molto complicata e difficile, a detta di tutti. In realtà, quando entrai in classe, dopo essermi presentato, ascoltai uno alla volta tutti gli alunni cercando, nei loro racconti, l’età, il numero di fratelli, l’hobby preferito, la materia preferita e così via. Cercai punti di contatto con la mia esperienza di alunno e raccontai loro il mio essere “mancino” e quanto questa condizione in passato fosse una vera e propria sciagura: scrivevo e mangiavo con quella che chiamavano «la mano del diavolo» e mi costringevano, ogni volta che prendevo una penna o una posata, a cambiare per forza l’impugnatura. Questo episodio, semplice e banale, mi consentì di entrare immediatamente in sintonia con loro e mi offrì l’occasione per introdurre il mio progetto educativo sul teatro di figura che, nello specifico, fu uno spettacolo di ombre cinesi che li coinvolse totalmente. Le esperienze accumulate hanno rafforzato la mia convinzione circa l’universalità del linguaggio dei burattini, capace com’è di coinvolgere persone diverse in ogni parte del mondo. C’è un’immagine che mi è rimasta particolarmente impressa nella mente. Ho visto una foto che ritrae una zona della Siria in cui un intero quartiere è stato dilaniato da bombe e razzi, intorno solo macerie e distruzioni. Al centro di uno spazio, forse il cortile di una casa o di un palazzo, circondato da mattoni rotti e pezzi di intonaco, vi è una baracca di burattini. E’ fatta di legno e stoffa e dietro la baracca vi sono i burattinai e le loro mani protese sulla scena. Di fronte a loro un gruppo di bambini, seduti alla meno peggio su lastre di cemento, che segue attentamente la rappresentazione. Ecco, vedendo quella foto ho pensato che solo la bellezza dell’arte , la forza del teatro, la delicatezza del movimento dei burattinai che danno vita a dei pezzi di stoffa e legno, può superare ogni tragedia e darci la speranza di un mondo migliore. Note 1 Dario Fo, Il Fanfani rapito, Edizioni Bertani, Verona 1975. 2 Luigi Allegri, Per una storia del teatro come spettacolo: il teatro di burattini e marionette, Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Parma, 1978; Bil Baird, Le marionette. Storia di uno spettacolo, Milano, Mondadori, 1967; Centro Teatro di Figura (a cura di), In punta di mani. Mappa del Teatro Italiano dei burattini e delle figure, Ravenna, Longo Editore, 1991; Roberto Leydi, Renata Mezzanotte Leydi, Marionette e Burattini, Milano, Edizioni Avanti!, 1958. 3 Il termine burattino proviene proprio da “buratto” con cui, oltre ad indicare il setaccio di stoffa con cui veniva confezionato il vestito del fantoccio, generalmente di legno, poteva indicare anche la figura di saraceno che faceva da bersaglio nelle giostre. 4 Adele Cilibrizzi Chiancone, Maschere, marionette e burattini italiani, Edizioni Il Tripode, Napoli 1975. 5 Mimmo Cuticchio, La nuova vita di un mestiere antico, Liguori editore, Napoli 2010 6 Yorick figlio di Yorick (Pietro Coccoluto Ferrigni), La storia dei burattini, Bemporad, Firenze1902 [ristampa anastatica Arnaldo Forni Editore]. 7 Roberto De Simone, Le Guarattelle fra Pulcinella, Teresina e la Morte, Franco di Mauro editore, Napoli, 2003 8 Il 28 aprile 2019, nell’ambito del «Maggio dei Monumenti», fu inaugurata a Napoli, la “Casa delle Guarattelle” intitolata a Nunzio Zampella. «Popolare e colto, pensieroso e felice, naturalmente vocato alla socialità, il teatro delle guarattelle è la forma tipicamente napoletana di teatro di strada, con una storia antichissima e mai interrotta, praticato ancora, dopo centinaia di anni, da non molti ma bravissimi maestri. Una forma d’arte ingiustamente trascurata nei tempi recenti ma che oggi finalmente trova casa, per essere riscoperta, conosciuta dalle nuove generazioni, per tornare a vivere, coi suoni del nostro dialetto, con le figure delle maschere tradizionali. Con la “Casa delle Guarattelle” si apre dunque una fase nuova e ricca di promesse: un’arte antica in un contesto nuovo un contesto nel quale possa essere riproposta e fruita dai napoletani ma anche dai tanti turisti desiderosi, sempre più presi dalla curiosità di scoprire la nostra città e conoscerne la cultura». https://www.laprovinciaonline.info/inaugurazione-della-prima-casa-delle-guarattelle-nunzio-zampella/ 9 Claudio Salsi, Otello Sarzi: l’idea e la materia, La Bertaghi Stamperia, Cavriago (RE), 1999. 10 Sull’argomento sarà utile la lettura dei volumi che segnaliamo: Maria Signorelli, Il gioco del burattinaio, Nuove Edizioni Romane, Roma 1986; Sergio Sangiorgi, I burattini. Maschere, storia e atti unici, Ponte Nuovo Edizioni, Bologna 1980; Enzo Grano, Alberto Carpino, Il teatro di figura. Guarattelle e Pupi, Società Editrice Napoletana, Napoli 1980. 11 Gigio Brunello, Tragedie e commedie per tavoli e baracche, Dario De Bastiani Editore, Treviso, 2018
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