di Giovanna Ceniccola Nel considerare il paesaggio come un «insieme di elementi e di processi che si collocano in un determinato territorio, pensati non come singoli oggetti ma come parti di un sistema interconnesso» [Tosco 2009, p. 5], è possibile distinguere un paesaggio soggettivo da uno oggettivo: se il primo è il frutto di elaborazioni personali di un contesto ambientale, il secondo è legato maggiormente all’ambito geografico [Tosco 2009, p. 4]. Il paesaggio "soggettivo" è legato alla sensibilità e alle emozioni individuali mentre quello "oggettivo" può essere campo di indagini scientifiche, sebbene è evidente come sia necessario interpretare entrambe le dimensioni per poter comprendere i valori del paesaggio. Se per il primo ambito il ruolo svolto dalla rappresentazione artistica con l’iconografia e la pittura appare essenziale, per studiare i caratteri del paesaggio "oggettivo" è necessario conoscerne le componenti quali «rimanenze del passato che testimoniano l’assetto di antichi paesaggi» [Tosco 2009, p. 5]. Si indagano, dunque, sia le permanenze naturali sia quelle legate all’antropizzazione del territorio nel corso del tempo e conservate in maniera più o meno evidente. Un territorio che si eleva a paesaggio si identifica come il luogo in cui sono riconoscibili plurimi valori di carattere estetico, ambientale, sociale, economico oltre che storico-culturale, legati tra loro da interconnessioni in equilibrio che lo rendono unico. Seguendo tali indicazioni di metodo, la ricerca ha mosso i suoi passi verso la conoscenza del paesaggio dell’area sannita della Valle Telesina a ridosso della parte bassa del fiume Calore, compresa nei territori di Guardia Sanframondi, San Lorenzo Maggiore e per una porzione di Solopaca e Castelvenere, che si presenta come un territorio in cui ben sono riconoscibili valori naturali oltre che plurimi segni legati all’antropizzazione dei luoghi, tali da creare un paesaggio, appunto, riconoscibile e identificativo. L’area si caratterizza per un marcato carattere rurale inteso come l’insieme degli aspetti agronomici, insediativi, delle forme dell’abitare e della viabilità. A sua volta, all’interno di questo paesaggio rurale se ne distingue uno agrario - secondo la definizione che ne dà Emilio Sereni di «forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale» [Sereni 1956, p. 29] - caratterizzato dalla intensiva coltivazione della vite, integrata da limitate porzioni olivate. La coltura di vite, in particolare, definisce e disegna l’area con i suoi filari di vitigni che scandiscono l’immagine del paesaggio al mutare delle stagioni: per cui il verde tappeto rigato - che si genera tra la primavera e l’estate - lascia poi il posto alle sfumature autunnali del rosso e del giallo per poi cedere il passo ai sottili filamenti delle viti prive di visibile vegetazione. Architetture rurali punteggiano delicatamente il paesaggio nel suo assecondare la morfologia del territorio che, da pianeggiante a ridosso del fiume Calore, diviene collinare risalendo verso gli agglomerati urbani posti sul crinale della collina stessa. E la comunità trova nel paesaggio rurale, che così si è definito, il luogo di deposito di una memoria collettiva come stratificazione di testimonianze del passato e di valori condivisi che continua costantemente a rigenerarsi. IDENTITA' CULTURALE PER L'IMMAGINE DEL PAESAGGIO Il paesaggio, che nell’area considerata si conserva da oltre un secolo, è il luogo dell’interazione tra spazio territoriale e attività lavorativa che vede nell’agricoltura l'impegno comune della comunità locale. In particolare, le attività connesse alla coltivazione della vite, ancora oggi, si riconoscono come fondamento identitario delle popolazioni del luogo, che sono accomunate da tradizioni, linguaggi e modi di vita a testimoniare uno straordinario patrimonio immateriale; a queste si affiancano le testimonianze 'materiali' dell'interazione tra uomo e natura leggibili nel paesaggio quali manufatti o ‘elaborazioni’ del territorio naturale per fini produttivi. La condivisione dell’attività produttiva prevalente è un primo fattore che contribuisce a caratterizzare l’identità culturale del luogo: tempi, luoghi, esigenze della coltivazione accomunano la vita quotidiana della comunità facendo dell'agricoltura un processo dinamico in continua rigenerazione. Ed è la stessa che ha imposto a fini coltivi e produttivi la definizione dell'immagine del territorio. L’azione dell’uomo per la definizione del paesaggio, tuttavia, non si traduce solo in un’azione di aggiunta del costruito quanto, ancor più, nelle modalità di rapportarsi con il contesto naturale, di modellarlo nel trasformarlo. Le necessità di coltivazione della vite, in particolare, si pongono come elementi che maggiormente determinano l’immagine del paesaggio attuale: i sesti d’impianto - disposizione geometrica delle piante per filari - influenzano fortemente la percezione del luogo per l'aspetto che attribuiscono al territorio. Rispetto ai manufatti presenti sul territorio è leggibile una stratificazione delle modalità di antropizzazione dei luoghi che si relaziona con le logiche di gestione dei fondi rurali, oltre che con le istanze colturali, traducendosi in differenti forme dell’abitare. Caratteri e ‘forme’ diffuse delle masserie e case coloniche ottocentesche testimoniano di un sistema di gestione delle grandi proprietà terriere che richiedeva la presenza di coloni sui fondi agricoli in maniera permanente e, dunque, di un sistema caratteristico della società ottocentesca. Luoghi provvisori dell’abitare, invece, testimoniano di una civiltà contadina che vive la ruralità nel suo essere solo il luogo del lavoro, contrapponendosi alla loro residenza nell’agglomerato urbano. In tal senso, si riconosce identità nell'attività produttiva prevalente, che impone tempi e azioni e che, nel senso etimologico di identitas, si riconosce anche nei luoghi dell’abitare provvisori disseminati sul territorio agricolo: questi, infatti, ripropongono funzione (di riparo temporaneo), composizione, materiali, approssimative dimensioni oltre che modalità di viverne la spazialità. L’essere incidente e centrale di tale coltivazione per le comunità locali è dimostrato anche da dati oggettivi e scientifici che vedono il territorio beneventano primeggiare nella produzione vinicola in ambito regionale [Zagari 2002, pp. 183-200]; l’area di studio, in particolare, ne detiene il primato in ambito provinciale garantendo specifiche tipologie produttive legate alle peculiarità del luogo. Carattere sociale, oltre che identitario, si riconosce anche nella presenza dei medesimi luoghi di lavorazione dei prodotti della coltivazione - cantine - a carattere collettivo (cantine sociali), tra cui una delle più grandi del Mezzogiorno per numero di soci oltre che di produzione. Il paesaggio attuale appare «componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità» - come suggerisce la Convenzione europea del Paesaggio (2000): è inteso, dunque, come stratificazione storica nel suo essere rielaborazione consapevole del presente che ‘assorbe’ l’esistente senza cancellarlo o mutarne i significati intrinseci. La memoria collettiva, dunque, è consolidata su un paesaggio che trova, in particolare nella viticoltura e nelle attività ad essa connesse, il suo fondamento. L'ALTA VALLE TELESINA NELLA CARTOGRAFIA STORICA: LA PIANTA GEOMETRICA DI ACHILLE MAROTTA (1827) L’iconografia storica dedica poca attenzione alle aree interne del Sannio concentrandosi sulla città di Benevento e sul territorio di Terra di Lavoro. Tuttavia, le documentazioni ad oggi note - conservate in larga parte presso l’Archivio Storico del Museo del Sannio - consentono di elaborare riflessioni sugli elementi che hanno definito il paesaggio evidenziando quali siano i valori sottesi tuttora riconoscibili. ![]() Fig.2: A. Marotta, Pianta Geometrica, 1827 (Archivio del Museo del Sannio, Fondo ‘Progetti e grafici’, n.inv. 8381). Il grafico restituisce il progetto proposto dall’ing. Petrilli circa il miglioramento della viabilità stradale tra la valle del Calore e i centri di Guardia Sanframondi e San Lorenzo Maggiore. Di particolare interesse è la Pianta Geometrica del 1827[i] [Fig. 2] per la possibilità di leggere i segni apposti dall'uomo sul territorio che hanno contribuito a determinare i caratteri del paesaggio attuale. Elaborata dal disegnatore Achille Marotta, questa è finalizzata a rappresentare le proposte dall’ingegnere Petrilli relative alla viabilità tra l’area di valle a ridosso del fiume Calore e i centri urbani di Guardia Sanframondi e San Lorenzo Maggiore. Nel 1819 è già decisa la costruzione della Strada Consolare Sannitica (o di Campobasso) avendo avuto la priorità rispetto alla via verso l’Abruzzo per la necessità di agevolare l’approvvigionamento dei cereali - di cui le aree montane dell’Appennino erano le maggiori produttrici - per Napoli (Galanti 1819, p. 107; Vacca 1837, p. 651; Grimaldi 1839, p. 74). E' previsto che la nuova strada, che al 1819 risulta già del tutto eseguita fino a Caserta, debba seguire il tracciato della via del Procaccio fino a Vasto prevedendo di «rendersi la strada (del procaccio) piana e spedita» nei tratti ardui fino a Campobasso per poi proseguire con il suo andamento (Galanti 1819, p. 109). A quest’ultimo obiettivo risponde il progetto dell’ingegnere Petrilli che propone un miglioramento dell’andamento del tratto di strada consolare che dalla Valle del Calore conduce al centro urbano di Guardia Sanframondi. La planimetria riporta anche l’originario tracciato della via consolare che conduceva in località Ferrarisi, asse viario (segnato con le lettere AHIP nella Pianta) tagliato dall’andamento del fiume Calore e affiancato da un ‘tratto provvisorio’ che costeggia il piccolo agglomerato di Limata garantendo il superamento dell’interruzione. Seguendo le direttive del Governo, l’ingegnere Petrilli nel progetto tende ad eliminare quelli che sono i tratti estremamente ripidi o tortuosi, proponendo una viabilità alternativa: per cui per la strada consolare che si dirige verso Guardia - e l’attraversa congiungendosi a San Lorenzo Maggiore - individua i tratti da aggiungere, segnati con un tratteggio in rosso, e le porzioni di strada esistente per le quali è previsto l’abbandono [Fig. 3]. La strada per San Lorenzo, invece, trovando il suo incipit nella vecchia strada consolare per Ferrarisi (punto B nella Pianta), è totalmente da realizzare. Se i due precedenti tratti stradali descritti garantiscono il collegamento Sud-Nord, secondo le indicazioni planimetriche, invece, sono i tratturi, l’uno che «mena a Benevento» proveniente da Piedimonte Matese e l’altro detto «di S. Barba»[i] a garantire l’attraversamento del territorio da Est ad Ovest. Sebbene sia una planimetria di carattere tecnico, finalizzata a localizzare gli interventi a farsi nel territorio, nel segnalarne trasformazioni ed elementi che la compongono, intesi come i segni che l’uomo incide su di esso, questa consente di leggere il paesaggio della parte alta della valle Telesina nel 1827. Dunque, nei primi anni Trenta dell’Ottocento il paesaggio è definito dal corso del fiume Calore nella parte centrale della valle e dai centri urbani arroccati sulla collina, messi in collegamento dai tracciati dei torrenti e dalla strada Sannitica lungo il cui sviluppo si individuano masserie e case rurali. Sul tracciato della vecchia via Consolare per Ferrarisi e della sua nuova traccia emergono l’edificato di Limata ed il complesso monastico di Santa Maria della Strada; non appare, invece, il complesso di Santa Maria la Grotta che è segnalato, invece, dal successivo rilievo IGM del 1880. Il primo era territorio autonomo fino al XVI secolo dotato di un suo castello tuttora visibile sebbene conservato allo stato di rudere; il secondo, di origini benedettine poi ceduto all’ordine dei francescani, nel periodo di realizzazione della Pianta era già in stato di abbandono. Rappresentando anche complessi che non sono direttamente legati alle necessità della nuova viabilità, il Marotta suggerisce come l’assenza di manufatti nel territorio - che gli assi stradali scandiscono con i loro tracciati - non sia legata ad un disinteresse dipendente dalle finalità dell’elaborato, quanto ad un effettiva mancanza di costruzioni. La planimetria fornisce solo scarni dati rispetto all'aspetto naturale definito dalla vegetazione se non della presenza di un bosco a Sud del fiume Calore e di ‘cipressi’ in un fondo attraversato dalla nuova strada per San Lorenzo Maggiore. Il paesaggio in mutamento - in quanto è rappresentata una fase di trasformazione del territorio - suggerito dal Marotta nel suo disegno, è determinato, quindi, da un contesto naturale disegnato dai corsi d’acqua, da pochi assi viari che attraversando le campagne collegano i centri urbani e punteggiano di rade architetture rurali. Le indicazioni date dalla planimetria trovano, inoltre, effettivo riscontro in un ulteriore documento - Carta delle diverse strade tra Pontelandolfo, Montesarchio e Piedimonte presenti comune pe' comune di Molise de' Principati degli Abruzzi - databile alla prima metà dell’Ottocento, in cui la strada per San Lorenzo Maggiore risulta in fase di avvio, mentre è abbandonata la consolare per Ferrarisi (Ceniccola 2014, p. 970, fig. 5). Rispetto, invece, al rilievo IGM del 1880 [Fig. 4], si nota come gli insediamenti rurali vedano aumentato il loro numero lungo gli assi viari principali così come all'interno dei fondi dove sono raggiungibili solo con tratturi o sentieri. ELEMENTI E CARATTERI COMPOSITIVI DELLE ARCHITETTURE RURALI NELLE RAPPRESENTAZIONI DELL'OTTOCENTO La poca documentazione ad oggi nota relativa al territorio sannita della Valle Telesina non consente un’ampia riflessione sui caratteri delle architetture storiche nel paesaggio. La Pianta di Marotta individua le masserie, i casini, il monastero, specificandone gli impianti planimetrici sebbene per linee semplificate. La successiva e molto dettagliata Carta dei dintorni di Napoli[i], realizzata tra il 1836 ed il 1840, esclude questa porzione di territorio fermandosi ai vicini paesi di Cerreto Sannita e Castelvenere per cui nulla suggerisce al riguardo. Tuttavia, un disegno su carta conservato presso il Museo del Sannio, datato 1811 e riferibile ad una cartografia non ufficiale legata alla fase esecutiva della Commissione feudale del 1807 (Bencardino 1987, p.57), rappresenta un fondo rustico nel territorio di Guardia Sanframondi in cui emerge un’architettura rurale[ii]. Il disegno [Fig.5], realizzato dall’agrimensore Guidi, propone due fabbricati all’interno di un cortile chiuso a cui si accede tramite un ingresso privato (via propria) che si dirama da una strada pubblica. La stessa via propria si incrocia con uno stradone e siepe propria, suggerendo differenze funzionali e compositive. La prima - che si sviluppa a partire dal punto ‘A’ segnato sulla planimetria - appare delimitata da due muretti in pietra, mentre lo stradone, oltre ad essere delimitato da una siepe propria sul lato di confine con altra proprietà, appare di larghezza inferiore rispetto alla via. E’ probabile, dunque, che lo stradone fosse funzionale alla sola percorribilità interna del fondo o di collegamento tra varie proprietà. Le due costruzioni all’interno del cortile sono rappresentati in prospettiva: un deposito agricolo, definito da un tetto e poggiato alle mura di recinzione su due lati ed aperto sugli altri, fronteggia un’abitazione che appare incastrarsi tra le mura stesse. Secondo le indicazioni fornite dall’autore, il fondo si trova in località Rio, dunque nei pressi del torrente omonimo: sebbene non sia stato possibile riconoscere sul territorio strutture a questa assimilabili e presenti nei pressi del torrente - per probabile demolizione o trasformazione tale da non riuscire ad individuarne i caratteri - si individuano sistemi compositivi similari di cui sono ancora ben conservati gli elementi collocati in altri punti del territorio. A ridosso della nuova strada per San Lorenzo, come la definisce Marotta nella sua Pianta geometrica, ora Strada Provinciale, è tuttora presente una masseria che si può assimilare alla costruzione indicata con il nome ‘Sapenzie’ [Fig. 6]. Nella planimetria, infatti, si individuano due costruzioni: la prima è rappresentata da un impianto planimetrico regolare in cui, in un angolo, si incastra un ulteriore volume assimilabile alla torre colombaia, mentre in corrispondenza della seconda è oggi visibile un’aia. Alla masseria si accede tramite un portale posto lungo lo sviluppo di una recinzione in muratura di pietra - visibile nel suo sviluppo costeggiando la strada - che conduce ad una via privata delimitata da bassi muretti. Il portale si compone di un arco in pietra calcarea che definisce l’ingresso ad un piccolo portico con volta a botte estradossata finita con uno strato di battuto di lapillo, che, a sua volta, dà accesso ad una via privata. Nella porzione di muratura che sormonta l’ingresso è visibile l’alloggio in cui incastrare eventuali stemmi in pietra o rappresentazioni votive maiolicate. Nonostante le suddivisioni delle proprietà e, quindi, i differenti usi e trasformazione dei fondi agricoli e delle costruzioni di varia natura in essi presenti, attraverso una conoscenza diretta dei luoghi è stato possibile rintracciare elementi del costruito appartenenti ad un unico sistema insediativo. Il muro di recinzione del fondo, sebbene sia visibile in maniera discontinua, a differenza del disegno di cui sopra, delimita l’intero fondo rurale e non solo lo spazio strettamente annesso alle costruzioni. La recinzione è realizzata in conci di pietra calcarea appena sbozzati in abbondante malta a base di calce e, a Sud dell’ingresso e per circa centocinquanta metri, ha un’altezza di circa un metro e mezzo, mentre nel lato Nord è presente solo la sua traccia a terra. La cresta muraria è definita dalla presenza di un bauletto realizzato in scheggioni di pietra calcarea che, in relazione alla tecnica costruttiva, appare contemporaneo al muro di recinzione. Un ulteriore sistema insediativo basato sui medesimi elementi si riconosce in località Galano, nel territorio di Guardia Sanframondi: anche in questo caso, una recinzione in muratura, del tutto similare a quello presentato nel caso precedente, con i resti di due portali d’ingresso di cui uno in asse con la masseria, segna e disegna il paesaggio. Il sistema architettonico di insediamento rurale composto da fondo rustico, delimitato da recinzione con portale d’ingresso nei pressi della casa colonica, si differenzia dal similare sistema insediativo presente nella vicina Valle del Titerno: in quest'ultimo territorio, infatti, caratterizzato da una maggiore prevalenza dell’antropizzazione delle aree rurali rispetto alle urbane, le recinzioni non sono sempre presenti, limitandosi ai soli portali di accesso a viali che conducevano a masserie e non a case coloniche. CARATTERI E PECULIARITA' DEL PAESAGGIO. CASI-STUDIO Il paesaggio dell’alta Valle Telesina si caratterizza anche per la presenza di architetture, che, sebbene presentino elementi compositivi che si rintracciano in costruzioni rurali presenti in altre aree geografiche italiane – ad esempio, le torri colombaie - diventano peculiari del territorio in relazione alle modalità tecniche di realizzazione e agli aspetti antropici che le determinano e che, a loro volta, influenzano e definiscono la necessità di specifiche varianti compositive. Si nota, ancora, come al mutare della valle in cui si suddivide il Sannio e che l’orografia contribuisce a definire, le costruzioni rurali vedano mutata la loro composizione, i materiali e le soluzioni tecniche. Ne deriva che nel raggio di pochi chilometri si confrontino edifici in tufo dai più vani, case in pietra con soli due ambienti o, ancora, singolari costruzioni in pietra a secco o con pochissima malta che si compongono di edifici molto bassi e allungati, come si rintracciano nella contrada Mastramici nel territorio di Pietraroja. Nella porzione di Sannio considerata dal presente studio, si distinguono tre tipologie architettoniche che contribuiscono al disegno del paesaggio: caselle, case coloniche e masserie. Le architetture si distribuiscono in maniera tale da segnare le proprietà dei fondi agricoli e delle eventuale suddivisioni di cui sono state oggetto nel tempo, per cui, oggi, anche sullo stesso fondo, si individuano case coloniche e caselle. La distribuzione delle costruzioni, tuttavia, è strettamente legata anche al ruolo antropico che le stesse avevano in funzione delle necessità dettate dalla scansione del lavoro di coltivazione del terreno. Come già anticipato, la distribuzione fondiaria legata a poche proprietà ha determinato la necessità di vedere distribuite abitazioni nelle aree agricole destinate ai coloni o mezzadri che avessero la gestione diretta del fondo. Le case coloniche derivano da questa necessità e si compongono di due ambienti sovrapposti collegati da una scala interna o esterna, contemplando le varianti costruttive dovute alle mutevoli funzioni ed esigenze. La colombaia, concepita come volume-torre - con caratteristiche di elemento snello - o in maniera tale da interessare tutta l’area di copertura con la presenza dei fori nella muratura per l’ingresso dei colombi, connota questa tipologia. Il periodo di sua massima diffusione è la prima metà dell’Ottocento come si desume dai pochi dati iconografici intrecciati dalla lettura diretta della tecnica costruttiva che caratterizza le architetture. Il lavoro di coltivazione dei terreni, tuttavia, ha impegnato - ed impegna - gran parte della comunità locale che trovava la sua stabile residenza nell’agglomerato urbano, modalità dell’abitare che si rintraccia tuttora nonostante lo spostamento della centralità urbana a seguito dell’espansione edilizia degli anni Sessanta. Le distanze tra i luoghi di residenza e i luoghi del lavoro hanno reso necessaria la presenza di ripari temporanei nei fondi agricoli quali spazi per poter consumare i pasti o trovare rifugio in caso di condizioni metereologiche avverse. Sovente questi luoghi, soprattutto in corrispondenza del periodo estivo o di massima intensità dell’attività lavorativa, hanno assunto il ruolo di ‘residenze’ provvisorie in cui i contadini dimoravano anche per settimane: contraddistinte dal carattere dell’essenzialità si fondano in un unico ambiente coperto da un tetto a spiovente in legno e manto di coppi in cotto, con un solo ingresso, quasi sempre privi di finestre ma con la presenza di un oculo sul vano d’ingresso. La volumetria così ottenuta poteva essere anche ‘soppalcata’ in modo da creare un piano su cui poter dormire separati dagli animali che dimoravano nell’ambiente stesso. Ulteriore riparo era costituito dai pagliai, oggi non più esistenti e sostituiti da ‘moderne’ caselle realizzate tra gli anni Sessanta e Ottanta in muratura di tufo con copertura in legno e, in genere, con manto di copertura in tegole marsigliesi; le dimensioni di queste caselle sono molto ridotte (massimo 4m*4m) e nella maggior parte dei casi prive di alcuna apertura differente dall’ingresso. I casi studio individuati rispondono, in primis, alla volontà di mostrare architetture rurali che rispondono alle caratteristiche della casa colonica e della masseria. I casi, inoltre, sono esplicativi dello stato di conservazione di architetture ottocentesche, che, oltre a veder riconosciuti evidenti valori relativi alle caratteristiche compositive, sono il luogo di significati sociali a fondamento di una forte identità culturale che segna la comunità locale. La conservazione di questo sistema di antropizzazione rurale, dunque, appare un dovere etico. Esempio di costruzione rurale è la casa colonica di proprietà Perfetto [Fig. 7-8] posta a monte della Valle in una posizione di dominio e controllo del territorio, con esposizione Sud. Ad oggi non è stato possibile individuare documentazione storica ad essa riferibile e tale da fornire dati e conoscenze rispetto al suo periodo di fondazione e ad una eventuale funzione specifica nel territorio. In base alla sua posizione sul territorio e alle relazioni rispetto al contesto, confrontando lo stato attuale con le indicazioni fornite dalla mappa IGM del 1880 è possibile ipotizzare che la stessa sia identificabile con la ‘Masseria Fuschini’, come su quest’ultimo documento è indicata. La casa dotata di feritoie quali sistemi di difesa presenta un impianto planimetrico a base rettangolare che si sviluppa su due livelli con collegamento interno, priva di torre colombaia esterna ma con timpano dotato degli alloggi per l’ingresso dei colombi. Un portale in pietra, il cui concio di chiave è stato rubato ed integrato con mattoni, dà ingresso allo spazio del piano terra che è costituito da un unico ambiente coperto con volta a vela a cui si affianca una stretta volta a botte in corrispondenza della quale si sviluppa la scala di accesso al piano superiore, a partire dal lato dell’ingresso. La scala realizzata con gradini in pietra monoblocco, con finitura bocciardata, a doppia rampa, presenta una copertura con volta a crociera in corrispondenza del pianerottolo di riposo: in questo punto alcune mancanze dello strato di finitura evidenziano, oltre alla presenza di uno strato di intonaco molto sottile, un nucleo murario composto da scheggioni di pietra calcarea legati da abbondante malta in cui si nota una forte presenza di materiale terroso. Al secondo livello sono presenti due ambienti non collegati tra loro che si sviluppano in corrispondenza dello spazio voltato presente al piano terra mentre il loggiato su cui affacciano entrambi gli ambienti è sostenuto dalla stretta volta a botte di cui sopra. La presenza di mattoni in cotto rettangolari che ‘spuntano’ al di sotto del muro divisorio tra i due ambienti al primo livello, differenti rispetto a quelli che sebbene parzialmente divelti sono presenti negli ambienti, lascia ipotizzare che questo sia stato realizzato in tempi recenti, considerando anche il suo spessore, e che ci fosse un unico vano. Interventi databili al secondo Novecento hanno dotato la costruzione di un camino e di un forno realizzato al di sopra della volta che copre il pianerottolo della scala. Il loggiato predomina con la sua architettura l’immagine del paesaggio emergendo con le sue colonnine in calcare oltre a garantire, dal suo piano, una estesissima vista panoramica sulla valle. Si compone di un parapetto in muratura non regolare bensì realizzata con scheggioni di pietra calcarea, come la volta a crociera di cui sopra, su cui è posta una lastra di pietra priva di sporgenze e base delle colonnine in stile dorico di sostegno alle volte a vela. Una serie di catene, con delicati capochiave a forma poligona, incastrano’ le strutture voltate. Visibili sono i segni di dissesto che, tuttavia, con dispositivi provvisori (cavo in ferro) di ruskiana memoria, consentono agli elementi strutturali di assolvere al loro compito dal punto di vista statico. Attraverso una botola presente nel solaio che separa il secondo livello dal tetto - realizzato con travi in ferro e tavelloni - per cui risalente agli anni Sessanta o Settanta - è visibile un varco nella muratura oltre la quota del solaio che consente l’accesso all’area della colombaia. Singolare per l’area è la realizzazione di manti di copertura in coppi e tegole piane in cotto che nonostante i numerosi crolli dei tetti delle architetture rurali presenti nell’area, sono diffusamente realizzati in soli coppi. Cromie e finiture appaiono, oggi, nella casa di proprietà Perfetto così come nelle altre case coloniche, quasi del tutto scomparsi; tuttavia, ad un'attenta osservazione ne emergono rade tracce che suggeriscono come i colori che definivano il paesaggio ottocentesco tendessero al giallo e al rosso. La Masseria Marotta, come indicata nella Pianta geometrica del 1827, è una costruzione sita lungo l’asse di collegamento tra la valle del Calore e il centro di Guardia Sanframondi [Fig. 9-10]. si pone al centro di un fondo rurale che anche oggi, dopo vari frazionamenti, è molto esteso lasciando presupporre dimensioni maggiori. Come il caso precedente, l’edificio ha esposizione del fronte principale - oggi fortemente alterato - verso Sud, con la presenza di una pavimentazione lastricata esterna in pietra ancora ben visibile. La muratura a faccia vista con cui è realizzata la costruzione permette di ipotizzare che l’edificio sia il frutto di un'unica fase costruttiva in cui sono leggibili i cantieri. Costruita con muratura irregolare in conci di pietra appena sbozzati, con poca malta, conserva lacerti di intonaco solo sul fronte principale e sull'alzato Nord. Già esistente agli inizi dell’Ottocento, presenta cantieri di costruzione dell’altezza media di 43 cm irrigiditi da angolari in pietra. Al piano terra sono presenti due ambienti coperti da volta a padiglione (con un’altezza di circa 5m) mentre il secondo livello si compone di tre ambienti comunicanti, anch’essi coperti a volta, l’una a botte e le altre a padiglione. Sono estremamente evidenti, tuttavia, trasformazioni che hanno alterato le volumetrie dell’edificio: si riconosce, infatti, una struttura di copertura realizzata in laterocemento su di un cordolo in tufo, cosi come un parapetto in mattoni di cemento insieme ad un piccolo volume al secondo livello. Al primo livello, in corrispondenza del punto d’unione tra la terrazza e i vani presenti, è visibile un taglio della muratura oltre ad altri elementi che lasciano presupporre la demolizione di ambienti per poter realizzare una terrazza o ampliare una possibile già esistente. Dall’immagine 10, infatti, si leggono segni di demolizione di murature e chiusure di vani, oltre alla presenza di uno strato di intonaco che, conservandosi solo per una porzione, lascia pensare al suo essere presente su pareti che costituivano un ambiente interno e non uno esterno. Le tracce dell’intonaco, inoltre, segnano un limite in corrispondenza del quale la muratura subisce una diminuzione dello spessore: è possibile, dunque, che in corrispondenza della terrazza ci fosse un ulteriore vano. A tale ipotesi se ne può affiancare un’ulteriore secondo cui potrebbe essere esistito un secondo livello che fungeva da ambiente-colombaia, per l’individuazione di alcuni elementi che a tale tipologia possono essere riferibili. In primis, infatti, si nota la presenza di un alloggio per colombi delimitato da due piane di cotto sul fronte Ovest; all’interno, invece, è presente un piano pavimentato con un duplice strato di mattoni di cotto ad una quota che corrisponde al piano d’appoggio del cordolo in tufo, che si può ben leggere come limite della demolizione. La quota del piano pavimentato in cotto, collegata al primo livello con scala a collo d’oca in muratura a doppia rampa, può essere assimilato al piano della colombaia. Sistemi similari di realizzazione di interi volumi destinati a colombaia, differenti dalle torri, trovano grande diffusione nell’avellinese - si cita a titolo d’esempio la Masseria Lo Parco a Frigento - mentre nel territorio considerato dallo studio si rintraccia sia nei ruderi dell’Oratorio di San Filippo che nella Masseria Ciabrelli. CONCLUSIONI Nel proporre un’immagine del territorio sannita omogenea e storicizzata, il paesaggio dell’alta Valle Telesina mostra il suo essere estremamente vulnerabile e delicato. Allo stesso tempo si legge una forte conservazione delle tradizioni colturali; il senso di tradizione non è inteso come passiva reiterazione di medesime prassi quanto nel senso etimologico del termine di "azione del portare avanti" in senso dinamico evolutivo escludendo l'azione del congelamento di metodologie e tecniche. Ne deriva un'interpretazione in chiave contemporanea che con mezzi e tecniche rispondono alle esigenze della società attuale, generando una tutela intrinseca sul paesaggio nell'azione dell'uomo per la trasformazione dell'ambiente naturale a fini produttivi. Le architetture del paesaggio, invece, sono oggetto di differenti attenzioni. Il costruito storico è conservato in stato di abbandono con poche strutture allo stato di rudere ma ben inserite nell'equilibrio del territorio. Lo stato di oblio, tuttavia, se da un lato ha lasciato le costruzioni all'azione del degrado dall'altro ha permesso la conservazione di significativi esempi di architettura rurale e con essa di sistemi insediativi e costruttivi peculiari del luogo. Il nuovo costruito, invece, appare del tutto ignorare la presenza di equilibri: manufatti industriali si impongono - e non si inseriscono nel paesaggio contemplando i suoi valori corali - in risposta a pure esigenze di ordine produttivo-economico. Le costruzioni storiche, al di là del loro fondamentale ruolo nella determinazione dello specifico paesaggio della Valle, «costituiscono testimonianza dell’economia rurale tradizionale e, pertanto, fattore imprescindibile nel percorso di promozione e pianificazione della protezione del paesaggio campano» [Codice 2004, art.2/2], dunque suscettibili di azione di tutela rispetto alla legislazione al riguardo. Al di là della singola azione di tutela sulle singole unità costruite, essenziale appare l'azione di protezione sull'intero equilibrio generatosi tra ambiente e azione dell'uomo, dunque sul paesaggio, a garanzia della sua qualità per le generazioni future. In tale ottica si possono auspicare anche azioni di restauro del paesaggio. Azioni e interventi, che non rispondono all’equilibrio che sottende l’operato dell’uomo nei confronti di un ambiente naturale, rischiano di minare i valori di questo paesaggio. Si riconosce, infatti, una mancanza di consapevolezza da parte della comunità, così come delle istituzioni, dei molteplici valori di cui questo paesaggio è portatore, che hanno indotto e inducono all'inserimento di manufatti - in chiave 'moderna' - nel territorio che non contemplano l'equilibrio che sottende il paesaggio e la sua immagine storicizzata. Allo stesso tempo, si legge, invece, una forte conservazione delle tradizioni colturali, interpretate in chiave contemporanea e con mezzi e tecniche che rispondono alle esigenze della società attuale, dimostrando come il paesaggio, sebbene storicizzato, possa essere vissuto secondo le mutevoli esigenze della società attuale e, allo stesso tempo, essere conservato nei suoi valori intrinseci, senza necessità di un ‘congelamento’. Rispetto all'architettura rurale, appare necessaria un’azione di tutela del sistema insediativo generatosi nel corso di due secoli, in risposta anche a direttive regionali (L.R. 22.12.2006), che riconoscono che i suoi manufatti «costituiscono testimonianza dell’economia rurale tradizionale e, pertanto, fattore imprescindibile nel percorso di promozione e pianificazione della protezione del paesaggio campano», al fine di scongiurare la perdita di testimonianze materiali di civiltà [Codice 2004, art.2/2]. Ciò che appare ancor più importante è la diffusione della consapevolezza del valore di questo sistema insediativo nella comunità che quotidianamente lo vive, considerando l’azione del riconoscimento del valore come il primo atto di tutela e, probabilmente, quello che possa garantire una maggiore protezione al patrimonio. Infine, nel considerare il paesaggio come bene comune ne deriva la necessità di tutelarlo come dovere etico della società. BIBLIOGRAFIA BENCARDINO, F., Documenti geocartografici conservati nel Museo del Sannio in Benevento, in BARSANTI D., Documenti geocartografici nelle biblioteche e negli archivi privati e pubblici della Campania. Modelli organizzativo-territoriali e produzioni tipiche nel Sannio, Firenze: Olschki. CENICCOLA G., Identità e conservazione di un paesaggio storico. La Valle Telesina nel Sannio Beneventano. In BUCCARO A., DE SETA C., Città mediterranee in trasformazione. Identità e immagine del paesaggio urbano tra Sette e Novecento, atti del convegno, Napoli 13-15 marzo 2014, Napoli: ESI. GALANTI G. M. (1819), Nuova descrizione geografica e politica delle Due Sicilie, tomo III, Napoli: presso i soci del Gabinetto letterario. GRIMALDI CEVA G. (1839), Considerazioni sulle opere pubbliche della Sicilia di qua dal faro, dai Normanni sino ai nostri tempi, Napoli: Tip. Flautina. SERENI, E. (1956). Storia del paesaggio agrario in Italia. Bari-Roma: Laterza. TOSCO C. (2009), Il paesaggio storico, Bari: ed. Laterza. VACCA D. (1837), Indice generale alfabetico della collezione delle leggi e dei decreti per il regno delle due Sicilie distinto per materie in ordine cronologico dall’anno 1806 al 1836, Napoli: Stamperia dell’Ancora. ZAGARI, P. (2002). Il settore vitivinicolo. In BENCARDINO, F. Modelli organizzativo-territoriali e produzioni tipiche nel Sannio. Milano: Franco Angeli, 183-220. [1] Archivio del Museo del Sannio, Fondo ‘Progetti e grafici’, n. inv. 838. [2] E’ probabile che la denominazione «S. Barba» equivalga a S. Barbato, che è patrono del vicino comune di Castelvenere. [3] Reale Opificio Topografico, Carta dei dintorni di Napoli, 1836-1840 (IGM, sez. Cartografia Storica) [4] Archivio del Museo del Sannio, Sezione Cartografia, n. inv. 8395. ![]()
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