di Lucrezia Delli Veneri In un momento storico in cui i beni culturali sembrano essere appannaggio esclusivo di esperti di diritto, economia, marketing, l’attenzione rigorosamente e storicamente strutturata di Andrea Ragusa, storico dell’età contemporanea, al patrimonio culturale ed ambientale italiano, solleva un problema di cui mi sento di condividere l’assoluta gravità: la presenza cioè di un largo stuolo di umanisti (storici dell’arte, dell’economia, del sociale, ma anche archeologi, musicologi, ecc) rimasti tagliati fuori o – peggio – totalmente disinteressatisi a un contesto che, invece, dovrebbe loro forse appartenere di diritto. Tanto più che se si guarda alla centralità acquisita dal patrimonio culturale nel dibattito socio-politico del Paese, numerosissimi sono gli studi in materia economica e/o giuridica e le operazioni di marketing che continuano a ‘farla da padrona’ nella tutela, nella gestione, nella governance di beni, prescindendo - alle volte completamente - dallo studio e dalla conoscenza storica approfondita degli stessi. La difficoltà cui questo libro risponde è proprio quella tutta italiana dell’approccio ‘a compartimenti stagni’, che separa la scienza storica da tutte le altre discipline, che potrebbero invece attingere dalla prima strumenti metodologici e contenutistici di non poco conto. A. Ragusa supera la distanza tra la storia e le scienze sociali più proiettate verso l’analisi del presente, ricostruendo – in chiave storica – il dibattito culturale e l’azione legislativa in tema di patrimonio culturale, a partire dall’evoluzione concettuale di ‘bene culturale’ in relazione alle trasformazioni in corso a livello sociale, economico e politico di cui ha costituito nel tempo interessanti rappresentazioni. L’autore analizza la fase della ricostruzione italiana del secondo dopoguerra, attraverso – anzitutto - l’ampio dibattito parlamentare, e - poi - quello che ne seguì a mezzo stampa, ricostruendo il sempre più consapevole riconoscimento da parte di tutte le Costituzioni europee, in primis di quella italiana, del patrimonio culturale come oggetto di un fondamentale diritto al godimento della bellezza e del sapere. A partire dall’Assemblea Costituente, attraverso l’iter legislativo-istituzionale delle politiche culturali ed ambientali, Andrea Ragusa perviene agli anni ’70, quando la costituzione di un autonomo Ministero per i beni culturali ed ambientali diventa – sotto il coordinamento di Giovanni Spadolini – il punto di arrivo di una storia molto più antica e che, per certi versi, rappresenta forse il completamento attuativo di cui il principio sancito dall’art. 9 Cost. necessitava ormai da oltre trent’anni. L’introduzione di una struttura, cui affidare competenze, strumenti, risorse per la gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio, mutuò finalmente l’idea che il “diritto al bello” fosse non un privilegio per pochi, ma un diritto per tutti, la cui fruibilità dovesse essere ampliata ai più, per il suo risvolto pedagogico-educativo e per le positive ripercussioni del suo godimento sul benessere psicologico individuale prima, sociale poi. Lo studio condotto da Andrea Ragusa sovrappone il livello del dibattito culturale a quello del dibattito politico e, oltre a fare uso delle fonti a stampa, utilizza prevalentemente fonti istituzionali, segnatamente gli atti parlamentari. Il risultato è un volume di grande interesse ed utilità e dal profondo valore simbolico e comunicativo: il patrimonio culturale necessita di un’interdisciplinarietà non più prescindibile. Solo la sinergia tra competenze e la commistione di settori disciplinari potrà apportare in futuro un contributo fattivo, consapevole e positivo all’evoluzione gestionale e valoriale del patrimonio culturale italiano.
Comments are closed.
|
Archivio
Gennaio 2023
Categorie
Tutti
Scarica qui i numeri completi della Rivista
|
Tutti i diritti sono riservati © Kinetès-Arte. Cultura. Ricerca. Impresa. 2016 |
|